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Home » Esteri

Iran, Onu: “Oltre 400 persone giustiziate soltanto quest’anno”

Immagine di copertina
Credit: AGF

“La pena di morte, così come è attualmente praticata nella Repubblica islamica dell'Iran, equivale a un'esecuzione illegale", denuncia un gruppo di sei esperti dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani

Oltre 400 persone, tra cui 15 donne, sono state giustiziate soltanto quest’anno in Iran. La denuncia arrivata da un comitato di sei relatori speciali dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, preoccupati per l’aumento delle esecuzioni compiute nel mese di agosto, quando le autorità di Teheran hanno messo a morte almeno 81 persone, quasi il doppio rispetto alle 45 uccise a luglio.

“Siamo profondamente preoccupati per questo forte aumento delle esecuzioni”, si legge nel rapporto pubblicato ieri dagli esperti incaricati dall’Alto commissariato Onu. “Secondo le informazioni ricevute, delle 81 esecuzioni di agosto, solo una frazione è stata ufficialmente segnalata dalla Repubblica islamica dell’Iran, evidenziando l’urgente necessità di trasparenza”.

“Quasi la metà (41) delle esecuzioni sono state eseguite per reati di droga. Il Patto internazionale sui diritti civili e politici (ICCPR), di cui l’Iran è parte, limita l’applicazione della pena di morte ai ‘crimini più gravi’, intesi come omicidi volontari”, ricordano i relatori a Teheran. “Le esecuzioni per reati legati alla droga violano gli standard internazionali”.

Ma i dubbi degli esperti riguardano anche i procedimenti che portano alle condanne a morte. “I Paesi che mantengono la pena di morte devono garantire che gli individui non siano sottoposti a tortura o a trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti durante tutto il processo di giustizia penale”, sottolineano i relatori. “Il loro diritto a un giusto processo e all’uguaglianza di fronte alla legge e ai tribunali deve essere rispettato in tutti i procedimenti penali”.

L’Onu ha ripetutamente invitato l’Iran a imporre una moratoria sulle esecuzioni, con l’obiettivo di abolire finalmente la pena di morte nella Repubblica Islamica. Diverse associazioni a tutela dei diritti umani accusano invece Teheran di ricorrere alla pena di morte come strumento di intimidazione contro i movimenti di protesta scesi in piazza negli ultimi due anni dopo l’uccisione di Mahsa Amini, una ragazza di origini curde arrestata per non aver indossato correttamente il velo e morta in custodia delle autorità iraniane.

Nella loro relazione, i sei esperti citano anche il caso di Reza Rasaei, un 34enne arrestato durante le proteste scoppiate nel 2022 in Iran per l’uccisione di Mahsa Amini e impiccato il 6 agosto scorso nella prigione di Dizel Abad, il decimo manifestante ucciso dall’inizio delle contestazioni. “Sulla base di una confessione ottenuta presumibilmente sotto tortura, Rasaei è stato condannato a morte per l’omicidio di un membro del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica mentre partecipava a una cerimonia per un musicista della sua stessa fede Yarsani e brandiva cartelli su cui era scritto: ‘Donna, vita, libertà’”.

La Corte suprema iraniana, denunciano i relatori, ha confermato la sua condanna a morte nonostante i coimputati abbiano ritrattato le loro testimonianze sul coinvolgimento di Rasaei nell’omicidio e malgrado un medico legale abbia fornito una testimonianza che metteva in dubbio la sua complicità.

“Le segnalazioni di gravi violazioni del giusto processo e del diritto al giusto processo significano che la pena di morte, così come è attualmente praticata nella Repubblica islamica dell’Iran, equivale a un’esecuzione illegale”, concludono gli esperti incaricati dall’Onu.

Il caso aveva portato a un ulteriore, drammatico sviluppo quando il premio Nobel per la pace 2023, Narges Mohammadi, imprigionata dalle autorità iraniane dal novembre 2021, è stata picchiata dalle guardie della sezione femminile del carcere di Evin, a Teheran, per aver partecipato a una protesta contro l’esecuzione di Rasaei.

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