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Home » Esteri

Cosa sappiamo finora dell’uccisione del leader di Hamas e che può succedere tra Israele, Libano e Iran

Immagine di copertina
Credit: AGF

Due attacchi aerei per colpire altrettanti obiettivi di alto profilo: il capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh, e il principale consigliere militare di Hezbollah, Fuad Shukr. In poche ore Israele, che ha rivendicato il bombardamento a Beirut ma non ha ancora commentato l’attacco a Teheran, ha messo a segno due colpi che rischiano di far saltare le trattative per un cessate il fuoco e per la liberazione degli ostaggi nella Striscia di Gaza, di incendiare la Cisgiordania e di alimentare l’escalation in Medio Oriente contro la Repubblica Islamica e i suoi alleati dal Libano allo Yemen.

Il raid a Teheran
Il capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh, che si trovava a Teheran per partecipare alla cerimonia di giuramento del nuovo presidente iraniano Masoud Pezeshkian, è rimasto ucciso insieme a una delle sue guardie del corpo in un raid che intorno alle 2,00 del mattino ora locale (circa mezzanotte e mezza in Italia) ha colpito la residenza speciale a lui riservata nel nord della capitale. Stando a quanto riportato dall’agenzia di stampa Fars, si tratterebbe di “una residenza per veterani”.

Una prima ricostruzione emersa dalle indagini in corso da parte del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica, divulgata dall’agenzia di stampa locale Tasnim, vicina ai Pasdaran, sostiene che l’edificio sarebbe stato colpito da un missile teleguidato da un aereo. L’indiscrezione risulterebbe verosimile, anche vista la precisione del raid, che ha provocato danni limitati alla struttura e un basso numero di vittime.

Secondo l’emittente israeliana Channel 12, al momento del attacco, all’interno della palazzina di Teheran in cui alloggiava Haniyeh era presente anche il segretario generale della Jihad islamica palestinese, Ziad Nakhaleh, che però era stato sistemato a un piano diverso e che, non figurando tra gli obiettivi del bombardamento, è stato risparmiato.

Malgrado Hamas abbia subito puntato il dito contro Israele, le forze armate dello Stato ebraico non hanno ancora ufficialmente commentato la notizia che, come vedremo, ha al contrario scatenato la reazione dell’Iran e di molti Paesi stranieri. Ma la situazione è ancora in evoluzione.

“Sulla posizione dell’Iran in merito all’assassinio di Haniyeh, sono passate solo poche ore dall’omicidio. Dobbiamo dare seguito a molte cose, e non siamo ancora disponibili a prendere una decisione definitiva”, ha dichiarato oggi alla stampa l’ambasciatore iraniano in Libano, Mojtaba Amani. “Tutti i dettagli politici, compreso l’attacco di ieri nel sud di Beirut, sono in fase di discussione”, ha aggiunto il diplomatico riferendosi al raid israeliano condotto contro la roccaforte di Hezbollah
nel sud della capitale libanese
per colpire Fouad Shukr,
consigliere militare
del leader Hassan Nasrallah.

Quello di Haniyeh infatti è il secondo tentato assassinio di alto profilo
riconducibile in poche ore a Tel Aviv che, a differenza del raid a Teheran, ha confermato di essere responsabile del bombardamento a Beirut.

L’attacco a Beirut
Almeno tre persone sono morte e 74 sono rimaste ferite, secondo il ministero della Salute libanese, durante il raid avvenuto intorno alle 19,40 ora locale (circa le 18,40 in Italia) nel quartiere di Haret Hreik, vicino al Consiglio della Shura di Hezbollah, il principale organo decisionale del gruppo armato sciita.

“Le forze armate di Israele (Idf) hanno condotto un attacco mirato a Beirut contro il comandante responsabile dell’omicidio dei bambini a Majdal Shams e dell’uccisione di numerosi altri civili israeliani”, si legge in un comunicato diramato ieri dai militari israeliani a seguito del raid condotto nella capitale libanese per rappresaglia per la strage del 27 luglio in cui sono morti 12 minori in un villaggio a maggioranza drusa sulle alture del Golan occupate dallo Stato ebraico.

Malgrado Israele sostenga di aver compiuto un attacco mirato con missili di precisione, metà degli edifici presi di mira nel quartiere densamente popolato di Beirut sono crollati e un ospedale nelle vicinanze ha subito una serie di danni, mentre le strade circostanti sono state disseminate di detriti e vetri rotti.

Obiettivo del bombardamento era il comandante di Hezbollah, Fouad Shukr, nome di battaglia Hajj Mohsen, principale
consigliere militare
del segretario generale del gruppo armato sciita Hassan Nasrallah ed ex collaboratore dello storico leader Imad Mughniyeh, ucciso a Damasco nel 2008 in un attentato con un’autobomba attribuito anche allora a Tel Aviv.

Shukr era stato anche inserito nella lista dei soggetti sanzionati dagli Stati Uniti, che avevano offerto una ricompensa da 5 milioni di dollari a chiunque fosse in grado di offrire informazioni sulla sua ubicazione. L’uomo infatti, che ha giocato un ruolo chiave nel sostenere l’esercito del presidente Bashar Al Assad durante i 13 anni di guerra civile in corso in Siria, ha anche avuto, secondo il dipartimento di Stato Usa “un ruolo centrale nell’attentato del 23 ottobre 1983 alla caserma dei Marines a Beirut, in cui persero la vita 241 militari americani e altri 128 rimasero feriti”.

Tuttavia, secondo Hezbollah, Shukr sarebbe sopravvissuto al raid israeliano. I due attacchi aerei però, soprattutto quello in cui è morto Haniyeh, rischiano ora di alimentare l’escalation nella regione. 

La reazione di Hamas
Le prime reazioni sono arrivate proprio da Hamas, che attraverso il membro dell’ufficio politico del gruppo terroristico, Musa Abu Marzouk, citato dall’emittente al-Jazeera, ha voluto avvisare Israele: “L’assassinio del comandante Ismail Haniyeh (…) non resterà impunito”.

In seguito è stato il portavoce del gruppo, Sami Abu Zuhri, a parlare di una “grave escalation che non raggiungerà i suoi obiettivi”, promettendo che Hamas intraprenderà una “guerra aperta per liberare Gerusalemme”. Anche le Brigate Ezzeddine al-Qassam, l’ala militare di Hamas, hanno definito l’omicidio di Haniyeh un “evento critico” che porta lo scontro con Israele a “nuovi livelli” e avrà “importanti ripercussioni sull’intera regione”.

D’altronde Haniyeh è stato solo l’ultimo dei leader di Hamas a essere assassinato da Israele: nel gennaio del 1996 toccò a Yahya Ayyash, ucciso a Beit Lahiya nella Striscia di Gaza; nel marzo 2004 fu la volta del fondatore Ahmed Yasin, ammazzato in un attacco aereo a Gaza; il mese successivo poi fu eliminato anche il co-fondatore Abdel Aziz al-Rantissi, in un altro raid a Gaza City; finché, nel gennaio scorso, fu ucciso Saleh al-Arouri, un importante esponente di Hamas in Libano, in un raid dell’Idf a Beirut.

Ma anche la stessa famiglia della vittima, i cui funerali si celebreranno domani in Iran prima di trasferire il giorno dopo la salma in Qatar, è intervenuta per esecrare il raid. “Mio padre è sopravvissuto a quattro tentativi di assassinio durante il suo viaggio patriottico, e oggi Allah gli ha concesso il martirio che ha sempre desiderato”, ha dichiarato il giovane figlio Abdul Salam Haniyeh. “Desiderava davvero raggiungere l’unità nazionale e si è battuto per l’unità di tutte le fazioni palestinesi e affermiamo che questo assassinio non scoraggerà la resistenza, che combatterà fino al raggiungimento della libertà”. D’altra parte sono mesi che la famiglia Haniyeh è a lutto.

Diversi parenti del leader di Hamas infatti sono stati uccisi a Gaza nel corso della guerra. Ad aprile tre dei suoi figli, Hazem, Amir e Mohammad, e quattro suoi nipoti (tre ragazze e un ragazzo) erano rimasti uccisi in un raid aereo israeliano nel campo profughi di Shati, nel nord di Gaza. A giugno, altri 10 suoi parenti erano morti in un altro attacco contro la stessa località. All’epoca, Haniyeh dichiarò di aver perso oltre 60 membri della sua famiglia dall’inizio della guerra. A ricordarlo però oggi sono soprattutto i suoi alleati nella regione.

Le minacce degli alleati di Hamas
In primis il gruppo terroristico palestinese della Jihad islamica, con cui Hamas ha compiuto i brutali attentati del 7 ottobre in Israele, che ha condannato l’assassinio del capo politico alleato, affermando che il raid a Teheran “non scoraggerà il nostro popolo dal continuare a resistere”.

Ma anche i ribelli yemeniti Houthi hanno voluto dire la loro. In un post pubblicato su X (ex Twitter) il membro dell’ufficio politico del movimento Ansarullah, Mohammed Ali al-Houthi, ha definito l’omicidio un “crimine terroristico atroce”. Persino il regime di Damasco in Siria ha condannato l’assassinio di Haniyeh, affermando che il raid rischia di “incendiare l’intera regione”. “La Siria condanna questa sfacciata aggressione sionista (di Israele, ndr)”, si legge in una nota diramata dal ministero degli Esteri di Damasco, citata dall’agenzia di stampa ufficiale del regime Sana, che definisce un “atto spregevole” l’uccisione di Haniyeh. Il regime, prosegue il comunicato, “ritiene che il continuo disprezzo delle leggi internazionali da parte dell’entità israeliana (…) potrebbe incendiare l’intera regione”.

Poi è arrivata la reazione di Hezbollah, che in una nota diramata su Telegram ha espresso il proprio cordoglio per l’uccisione di Haniyeh, affermando che la sua morte rafforzerà la “determinazione e la testardaggine” dei “combattenti della resistenza” contro Israele. “Noi di Hezbollah condividiamo con i nostri cari fratelli del movimento di Hamas tutti i sentimenti di dolore per la perdita di questo grande leader, i sentimenti di rabbia per i crimini del nemico, i sentimenti di orgoglio per il fatto che i leader dei nostri movimenti stanno conducendo il loro popolo e i loro mujaheddin al martirio”, si legge nella nota del gruppo armato sciita libanese, che ha anche un altro conto in sospeso con lo Stato ebraico dopo il raid di ieri a Beirut.

Dopo una riunione dell’esecutivo, convocata proprio per discutere del bombardamento israeliano, il ministro libanese dell’Informazione Ziad Makary ha fatto sapere alla stampa che il governo si aspetta una reazione di Hezbollah ma che si impegnerà a livello diplomatico per calmare le tensioni. Ma temo, ha sottolineato il ministro citato dall’agenzia di stampa ufficiale Nna, che la situazione possa degenerare.

La “vendetta” dell’Iran
Ad alimentare le tensioni ci hanno pensato i vertici dell’Iran, dove è stato ucciso il capo politico di Hamas. A caldo il neo presidente riformista, Masoud Pezeshkian, ha minacciato Israele promettendo di far pentire Tel Aviv per quello che ha definito un “atto codardo”.

“Oggi, il mio amato Iran è in lutto per il suo compagno di dolori e gioie, il compagno costante e orgoglioso del cammino della resistenza, il coraggioso leader della resistenza palestinese, il martire di al-Quds, Haj Ismail Haniyeh. Ieri ho alzato la sua mano vittoriosa e oggi devo seppellirlo”, si legge nella dichiarazione di Pezeshkian, come riportata dai media di stato iraniani. “Il martirio è l’arte degli uomini di Dio. Il legame tra le due nazioni orgogliose dell’Iran e della Palestina sarà più forte di prima, e il cammino della resistenza e della difesa degli oppressi sarà più forte che mai”, ha aggiunto. “L’Iran difenderà la sua integrità territoriale, la sua dignità, il suo onore e il suo orgoglio e farà sì che gli occupanti (Israele, ndr) terroristi si pentano del loro atto codardo”.

Ancora più dura è stata la Guida suprema della Rivoluzione, l’ayatollah Ali Khamenei, che ha promesso “vendetta” e una “dura punizione” contro Israele. “Con questa azione, il regime sionista, criminale e terrorista (Israele, ndr) si è preparato il terreno per ricevere una dura punizione”, si legge in una nota firmata da Khamenei, citata dall’agenzia di stampa ufficiale Irna.”Noi consideriamo nostro dovere cercare vendetta per il suo sangue, poiché è stato martirizzato nel territorio della Repubblica islamica dell’Iran”.

Le stesse Guardie della Rivoluzione hanno assicurato in una nota “una risposta dura e dolorosa” contro lo Stato ebraico: “L’Iran e il fronte della resistenza risponderanno a questo crimine”. Una promessa che alimenta ancora di più l’escalation.

La condanna internazionale
Al raid hanno reagito negativamente diversi Paesi stranieri, in primis gli alleati più stretti di Teheran. La Russia ad esempio, in una nota diramata questa mattina dal ministero degli Esteri di Mosca firmata dal viceministro Mikhail Bogdanov, ha definito la morte di Haniyeh “un omicidio politico inaccettabile”. Ma anche il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha “fermamente condannato” il raid: “Riteniamo che tali azioni siano dirette contro i tentativi di ripristinare la pace nella regione e potrebbero destabilizzare significativamente una situazione già tesa”.

La Cina invece, per bocca del portavoce del ministero degli Esteri di Pechino Lin Jian, ha prima condannato l’uccisione del capo politico di Hamas e poi si è detta “profondamente preoccupata che questo incidente possa portare a ulteriore instabilità nella regione”.

Ma anche la Turchia ha alzato la voce. “Questo attacco aveva lo scopo di espandere la portata della guerra a Gaza a una regionale”, si legge in una nota pubblicata questa mattina dal ministero degli Esteri di Ankara, mentre il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha parlato di “assassinio a tradimento”.

“È un atto spregevole”, ha scritto Erdogan su X (ex Twitter), “che mira a distruggere la causa palestinese, la gloriosa resistenza di Gaza e la giusta lotta dei nostri fratelli palestinesi, demoralizzare e intimidire i palestinesi”. “La barbarie sionista non riuscirà a raggiungere i suoi obiettivi come ha fatto finora”, ha promesso il presidente turco, che ha definito Haniyeh un “fratello” e che nel fine settimana aveva addirittura paventato un attacco militare diretto contro Israele.

L’Egitto invece, impegnato a mediare tra Tel Aviv e Hamas per una tregua a Gaza, ha parlato di una “pericolosa escalation” che potrebbe infiammare la regione. In un comunicato diramato oggi il ministero degli Esteri del Cairo ha condannato entrambi i raid a Beirut e Teheran affermando che minano “gli strenui sforzi compiuti dall’Egitto e dai suoi partner per fermare la guerra nella Striscia di Gaza” e “indicano l’assenza di volontà politica israeliana di calmare la situazione”. Tanto che il governo egiziano ha invocato l’intervento del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per “impedire che la situazione della sicurezza nella regione vada fuori controllo”.

Per ora, Israele e gli Stati Uniti si sono rifiutati di commentare la morte di Haniyeh. L’ufficio del premier israeliano Benjamin Netanyahu ha però annunciato la convocazione per oggi del gabinetto di sicurezza del governo. Intanto, da Singapore, il segretario di Stato Usa Antony Blinken ha assicurato che Washington non era a conoscenza né è stata coinvolta nell’assassinio di Haniyeh ma ha comunque definito “imperativo” raggiungere un cessate il fuoco a Gaza in questo momento. Eppure la prima “vittima” collaterale dei due raid potrebbero essere proprio i negoziati.

Vane speranze di pace?
A segnalare questo rischio è stato il Qatar, che ospita la leadership politica di Hamas e insieme a Usa ed Egitto sta mediando per una soluzione nella Striscia. In una nota diramata oggi dal ministero degli Esteri dell’emirato, citato dall’agenzia di stampa ufficiale Qna, Doha ha definito l’omicidio di Haniyeh un “crimine atroce” e una “pericolosa escalation”, che “potrebbe portare la regione nel caos e compromettere le possibilità di pace”.

Ma il premier qatarino Sheikh Mohammed bin Abdulrahman al-Thani ha fatto di più, mettendo in dubbio la volontà di Israele di arrivare a una sospensione delle ostilità. “Come può avere successo la mediazione quando una parte assassina il negoziatore dell’altra?”, ha chiesto retoricamente al-Thani in un post pubblicato oggi su X (ex Twitter). “La pace ha bisogno di partner seri e di una posizione globale contro il disprezzo per la vita umana”.

Se i negoziati erano già in fase di stallo prima dei due raid delle ultime ore, adesso questi rischiano di far saltare del tutto il banco, alimentando le tensioni in Libano, a Gaza e persino in Cisgiordania. Qui infatti da questa mattina le fazioni palestinesi hanno proclamato uno sciopero generale invitando la popolazione a scendere in piazza per protestare. Una situazione esplosiva che potrebbe costare altro sangue, in primis quello degli ostaggi ancora vivi in mano a Hamas nella Striscia, contro cui il gruppo terroristico potrebbe rivalersi.

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