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Home » Esteri

L’ambasciatore israeliano Peled a TPI: “La guerra non è una nostra scelta: ecco perché Israele ha ricominciato le ostilità a Gaza”

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L’ambasciatore di Israele in Italia, Jonathan Peled. Credit: Giandotti/uff stampa / AGF

"Ci stiamo difendendo. A Gaza abbiamo solo cattive opzioni ma il nostro obiettivo era e resta liberare gli ostaggi. Hamas usa i palestinesi come scudi umani. Dobbiamo continuare a lavorare per una soluzione nella Striscia, coinvolgendo anche gli Stati arabi, l'Europa e gli Usa e offrendo alla popolazione un futuro migliore. La Soluzione dei due Stati? Prematuro parlarne". L'intervista di TPI all'ambasciatore di Israele a Roma, Jonathan Peled

Ambasciatore Jonathan Peled, Israele ha ripreso i bombardamenti e le operazioni di terra a Gaza dopo due mesi di tregua: perché ora e qual è l’obiettivo?
L’accordo per il cessate il fuoco prevedeva che, non appena conclusa la prima fase di negoziati, si sarebbe passati alla seconda. Ma, 17 giorni dopo la fine della prima, Hamas si è rifiutato di liberare gli altri ostaggi e di accettare le proposte avanzate dall’amministrazione degli Stati Uniti. Quindi Israele non ha avuto altra scelta che esercitare nuove pressioni militari per poter liberare gli ostaggi. Quest’ultimo era e resta il nostro obiettivo principale fin dall’inizio».

Ma per liberarli le famiglie dei rapiti in Israele e anche alcuni dei rilasciati, come Sasha Troufanov, Yarden Bibas, Iair Horn e Keith Siegel, hanno chiesto al governo di riprendere i negoziati.
«Stiamo facendo tutto il possibile. Abbiamo cercato di raggiungere questo obiettivo con il negoziato e ora proviamo con una nuova pressione militare. Non abbiamo altra scelta: è una decisione molto difficile da prendere. Dovremmo continuare a lasciar morire lentamente gli ostaggi, alcuni dei quali sono ancora imprigionati nei tunnel bui di Hamas, o essere più pro-attivi e cercare di liberarli? Purtroppo non esiste una soluzione giusta, bisogna scegliere tra due opzioni molto difficili, entrambe cattive, ma dobbiamo scegliere. Nessuno vuole la guerra, nessuno vuole dover combattere di nuovo. Ma Israele non ha altra scelta».

Di fronte all’alto numero di vittime civili denunciato dalle istituzioni di Gaza controllate da Hamas e dalle Nazioni Unite, nel corso di un colloquio con il vostro ministro degli Esteri Gideon Sa’ar, l’Alto rappresentante dell’Ue Kaja Kallas ha definito “inaccettabile” la ripresa dei raid israeliani nella Striscia. Lei ha sentito il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani? Quali reazioni ha registrato dall’Italia?
«Non ho parlato con il ministro Tajani negli ultimi giorni, ma siamo in stretto contatto con i nostri amici e colleghi italiani qui a Roma. Noi spieghiamo all’Italia i nostri interessi, i nostri scopi e obiettivi e tra amici dobbiamo essere molto aperti e trasparenti. Spesso siamo d’accordo e, a volte, non lo siamo. È il motivo per cui manteniamo un dialogo positivo e molto stretto con il vostro Paese. L’Italia, l’Europa e sicuramente gli Stati Uniti capiscono che Israele sta affrontando una crudele, oscura, terribile organizzazione terroristica che si chiama Hamas e che non ha alcun rispetto per la vita umana, nemmeno per quella dei palestinesi. Usano il loro stesso popolo e più palestinesi vengono uccisi e più lo considerano un buon risultato. Questo è il nemico che, per vostra fortuna, nessun altro Paese al mondo deve affrontare. Soltanto Israele deve confrontarsi con questa terribile minaccia e il mondo lo capisce, anche se a volte non si è d’accordo o non piacciono i metodi a cui siamo costretti a ricorrere. Tutti capiscono che stiamo fronteggiando qualcosa che, in fin dei conti, può essere affrontato solo con la forza».

Il ministro della Difesa, Israel Katz, ha avvisato Hamas che «le regole del gioco sono cambiate». Vuol dire che l’accordo di tregua mediato da Egitto, Usa e Qatar è stato accantonato?
«Credo che tutte le proposte ad oggi sul tavolo siano insufficienti e che si debba continuare a proporre piani, idee e iniziative, nel solco tracciato dagli Stati Uniti. Abbiamo bisogno del coinvolgimento di tutti gli attori interessati, regionali e internazionali, compresi l’Europa, l’Italia e, ovviamente, gli Usa. Ma dobbiamo lavorare tutti insieme perché trovare una soluzione per Gaza non può essere una responsabilità solo di Israele. Sempre più Paesi, non solo nella regione, capiscono che dobbiamo sconfiggere Hamas e assicurare non solo pace e sicurezza a Israele ma un futuro migliore per i palestinesi. Dobbiamo lavorare meglio e di più per un domani e un futuro migliori».

Il cosiddetto “Piano Riviera” proposto dal presidente Trump prevede però l’espulsione della popolazione palestinese. Come vede questa prospettiva Israele?
«Come ho già detto, il futuro di Gaza non può ricadere solo sulle spalle di Israele. Non può essere soltanto una nostra responsabilità. Pertanto l’iniziativa degli Stati Uniti e tutti i diversi piani che ora iniziano a essere proposti costituiscono di per sé uno sviluppo positivo perché, in definitiva, noi dobbiamo offrire un futuro migliore ai palestinesi in una Gaza che sia libera da Hamas e permetta alla popolazione di restare e sviluppare la propria società e la propria economia senza minacciare né attaccare Israele. Questo è l’obiettivo e per riuscirci abbiamo bisogno di molti partner e di una vasta cooperazione. Non si farà in un giorno. Ma credo sia fattibile, ora che in molti comprendono e sono pronti a pronti a contribuire».

Ma l’espulsione dei palestinesi da Gaza è un’opzione?
«Preferisco non commentare questa o quella proposta in particolare. Non ho letto il piano del presidente degli Stati Uniti Trump. Ciò che conta, in definitiva, è che tutto si faccia con il consenso volontario della popolazione. Se i palestinesi desiderano emigrare liberamente, è un loro diritto. Se alcuni Paesi sono liberamente e volontariamente disposti ad accoglierli, anche quello è un loro diritto. Ciò a cui dobbiamo guardare, in ultima istanza, è il risultato finale. Gaza sarà libera da Hamas, priva di armi, de-radicalizzata e non rappresenterà più una minaccia per Israele? Se la risposta a tutte queste domande è sì, qualsiasi accordo andrà bene per noi».

Israele però è sotto accusa per “genocidio” presso la Corte Internazionale di Giustizia dell’Onu. Chiariamo una volta per tutte: lo Stato ebraico vuole cancellare l’identità e il popolo palestinese?
«Credo che la domanda sia inappropriata. Ripeto: Israele si sta solo difendendo. Siamo stati attaccati il 7 ottobre (2023, ndr) e stiamo adottando tutte le misure militari necessarie per proteggere i nostri civili. Israele sacrifica vite e spende miliardi di dollari per (il sistema di difesa aerea, ndr) Iron Dome e per proteggere i suoi ospedali e le sue scuole. A Gaza, invece, Hamas sta facendo esattamente il contrario. Ricercano la morte dei palestinesi e stanno sacrificando il loro stesso popolo: usano le persone come scudi umani. È tutto il contrario dei vostri e dei miei valori, dei valori dell’Occidente. Mi spiace ma non ho una risposta migliore».

Il presidente francese Emmanuel Macron e il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman hanno annunciato una conferenza internazionale per rilanciare la soluzione dei due Stati: è ancora una strada percorribile per la pace?
«Al momento mi sembra prematuro parlarne: Gaza non è uno Stato e la Cisgiordania riesce a malapena a resistere contro Hamas e altre organizzazioni armate. Ovviamente siamo tutti d’accordo sul fatto che per il futuro dovremo trovare una soluzione pacifica e negoziata con i palestinesi. Ma prima dobbiamo liberarci di tutti quegli elementi come Hamas, la Jihad islamica e l’Iran che li manovra, fomentandoli contro qualsiasi tipo di coesistenza con Israele. Ecco perché è un discorso prematuro. Ma Lei ha menzionato l’Arabia Saudita, che può giocare un ruolo importante».

Quale?
«L’Arabia Saudita stava per aderire agli Accordi di Abramo ma poi Hamas ha colpito il 7 ottobre. Tra gli obiettivi dei terroristi, come sappiamo, non c’era solo quello di distruggere Israele e di uccidere il maggior numero possibile di israeliani ma anche di impedire al regno arabo di normalizzare i nostri rapporti. Ora che è evidente che i terroristi hanno fallito e che noi prevarremo, in futuro l’Arabia Saudita potrà aderire agli Accordi di Abramo».

Per quanto riguarda la Siria invece? A quattro mesi dalla caduta del regime di Bashar al-Assad, Israele continua a occupare la zona cuscinetto demilitarizzata sulle alture del Golan, istituita con l’accordo del 1974, e a bombardare obiettivi all’interno del Paese arabo. È possibile un accordo anche con Damasco?
«Certamente. Abbiamo impegnato le nostre forze e attaccato i depositi di armi in Siria perché non volevamo che cadessero nelle mani di un regime jihadista. Al-Jolani (il capo dell’amministrazione per la transizione Ahmed al-Sharaa, ndr) resta ancora, in fin dei conti, un leader jihadista. Ma auguriamo alla Siria un futuro prospero e di successo: si sono sbarazzati di un macellaio e assassino di massa come Bashar al-Assad, ora però devono assicurarsi di rispettare la vita e i diritti di tutte le minoranze. Alcune di queste vivono dalla nostra parte del confine, sulle alture del Golan. Dobbiamo quindi assicurarci che la Siria non diventi un altro Libano, un altro Iraq o un’altra Gaza. Questo è il nostro obiettivo. Vogliamo essere sicuri che non diventi un Paese ostile o una piattaforma per attacchi contro Israele ma desideriamo vivere in pace con la Siria».

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Allargando lo sguardo al resto della regione, stanotte gli Houthi hanno lanciato un altro missile dallo Yemen contro Israele. Come risponderete?
«Israele si sta difendendo: siamo riusciti a intercettare questo missile balistico proveniente dallo Yemen. Anche se siamo a più di 3.000 chilometri di distanza, siamo sotto attacco, non solo da Hamas, da Hezbollah, dalla Siria o da Gaza ma purtroppo da tutte le organizzazioni terroristiche che minacciano Israele e l’Occidente dal 7 ottobre (2023, ndr) e anche da prima».

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump è stato esplicito nel legare lo scontro diretto con gli Houthi al più ampio confronto regionale con l’Iran, a cui la Casa bianca ha dato due mesi per riprendere i negoziati su un nuovo accordo nucleare. Rischiamo un ulteriore allargamento delle ostilità?
«Siamo già impegnati in una battaglia tra l’Occidente e Israele da una parte e le forze oscure del terrorismo guidate dall’Iran dall’altra. Crediamo che la cooperazione internazionale e la solidarietà tra l’Occidente e Israele contro questa minaccia dovrebbero essere sufficienti, senza bisogno di alcun conflitto. Nessuno vuole la guerra ma non possiamo certo permettere all’Iran di diventare un regime terroristico nucleare. Già adesso assistiamo ai danni, allo spargimento di sangue e al terrore che l’Iran cerca di infliggere a tutto il Medio Oriente e al mondo, senza possedere armi atomiche. Immaginate cosa sarebbe l’Iran se possedesse anche capacità nucleari».

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