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Intervista al Nobel per la pace

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Una reporter indiana ha incontrato il premio Nobel per la pace Kailash Satyarthi. In esclusiva su The Post Internazionale

La scorsa settimana l’attivista per i diritti dei bambini Kailash Satyarthi è diventato il primo indiano a vincere il premio Nobel per la pace insieme alla studentessa 17enne pakistana Malala Yousafzai.

La vittoria del 61enne e quasi sconosciuto Kailash Satyarthi è stata accolta da molti indiani con sorpresa. Lontano dai fotografi e dalle prime pagine, Satyarthi ha silenziosamente portato avanti il suo lavoro di volontariato con Bachpan Bachao Andolan, o anche Save the Child Movement, l’organizzazione da lui fondata nel 1980.

Da allora, Bachpan Bachao Andolan ha salvato oltre 82mila bambini coinvolti nel traffico e lavoro minorile. Kailash Satyarthi ha subito diversi attacchi e ha perso due colleghi, assassinati dalle gang durante operazioni di salvataggio.

Priyanka Gupta, una reporter indiana di Al Jazeera, ha incontrato il premio Nobel Kailash Satyarthi. Pubblichiamo in esclusiva in Italia, su sua concessione, l’intervista.

D: La vittoria del Nobel è un grande riconoscimento, quali obiettivi si pone per il futuro?

R: Il premio Nobel ha dato un riconoscimento al problema di tutti questi bambini, visibilità a questo tema e forza agli attivisti di tutto il mondo, ma questo non significa che l’annoso problema del lavoro minorile sia stato risolto. Dobbiamo continuare la nostra lotta.

Ho parlato con Malala. Le ho chiesto di unire i nostri sforzi affinché nessun bambino nasca in condizioni di guerra, terrore e violenza. Dobbiamo lavorare insieme per la pace dei bambini. Dobbiamo coinvolgere i bambini di tutto il mondo per la creazione di un nuovo movimento – Pace per i bambini – bambini per la pace.

D: Che cosa farà con il premio in denaro che ha ricevuto?

R: Ogni singolo centesimo verrà devoluto alla nostra causa: la lotta contro il lavoro, la prostituzione e la schiavitù minorile.

D: Lei e Malala collaborerete nella battaglia per assicurare un futuro migliore ai bambini nel sub-continente indiano?

R: Sarebbe per me un grande piacere. I problemi dell’India e del Pakistan sono collegati tra loro. Quando parliamo dell’istruzione femminile, trattiamo un tema molto vicino a quello del lavoro dei bambini. Sono 33 anni che porto avanti campagne per favorire un’istruzione di qualità. L’analfabetismo e il lavoro minorile sono due facce della stessa medaglia. L’istruzione non potrà essere conseguita a meno che ai bambini venga dato prima un ambiente sicuro e pacifico.

D: Che cosa l’ha portata sulla strada dell’attivismo?

R: Avevo sei anni quando vidi un bambino della mia età davanti alla scuola che frequentavo. Era un calzolaio. Parlai con il mio maestro e con il preside, e gli chiesi: “Perché lui non è a scuola?”. Loro mi risposero che lui doveva lavorare. Questo è molto comune. La risposta non mi convinse granché. Mi domandai perché non tutti i bambini posso andare a scuola. Quello fu l’inizio.

Bisogna partire dallo zero assoluto. Combattere l’ignoranza e la negligenza.

Noi iniziamo conducendo operazioni di salvataggio segrete, il che è molto difficile. A volte il responso è buono e altre è molto violento. Ho perso due dei miei colleghi in questa battaglia. Uno di loro è stato picchiato a morte, all’altro hanno sparato. Ci hanno picchiato molte volte. Combattiamo contro la mafia. Non è una lotta facile. Sono contento che le persone stiano cominciando a realizzare che si tratta di un tema serio.

D: Come si sente ad aver vinto il premio insieme a Malala? Si sente oscurato dall’attivista pakistana?

R: Sono molto felice. Adoro questa ragazza, per me è come una giovane figlia. È una ragazza coraggiosa.

D: Qual è secondo lei la sfida più grande per l’India quando si parla di lavoro minorile: le leggi e la loro applicazione?

R: La sfida più grande è cambiare la mentalità. La gente deve realizzare che i bambini nascono con diritti umani fondamentali. I loro diritti legali e costituzionali devono essere protetti, questa realizzazione deve arrivare. Ai bambini deve essere data una voce, importanza e visibilità.

D: Lei è conosciuto per essere un’attivista di stampo gandhiano. Quali insegnamenti di Gandhi pensa di avere adottato? Quali idee ha difficoltà a far sue?

R: Sono un normale cittadino indiano, un lavoratore del settore sociale come tanti. Cerco di evitare molta della confusione che si crea intorno a me. Certo, voglio cambiare le cose partendo dal basso e voglio anche continuare a lavorare al vertice. Cerco di connettermi alla società di massa per portare avanti la causa dei bambini.

D: Come le ha cambiato la vita il premio Nobel?

R: L’unica cosa è che non sono riuscito a dormire opportunamente, a causa delle molte richieste avanzate dai media e le migliaia di telefonate provenienti dall’India e dall’estero.

Anche mentre le sto parlando, bambini vengono venduti e messi in catene. Ci sono ragazzine che vengono obbligate a prostituirsi. Ci penso sempre. Se mi viene concessa una “paisa” – ovvero: una qualsiasi attenzione – penso a come poter aiutare questi bambini.

L’unica speranza che ho è che nell’arco della mia vita nessuno venga abusato o trafficato.

L’intervista originale di Priyanka Gupta è stata pubblicata qui da Al Jazeera

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