A che punto è il Russiagate in attesa dell’interrogatorio di Trump
Il presidente degli Stati Uniti verrà ascoltato dal procuratore Mueller. Ripercorriamo le tappe del caso che riguarda l'ingerenza del governo di Mosca nelle elezioni statunitensi del 2016
Il Russiagate è l’indagine che riguarda i rapporti intercorsi tra il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump e il governo russo nel corso delle elezioni americane del 2016.
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La tesi è quella secondo cui i funzionari amministrativi di Mosca abbiano interferito con il voto americano per favorire la vittoria di Trump.
Già prima della sua elezione erano emersi numerosi particolari sulle relazioni pericolose del nuovo inquilino della Casa Bianca con i vertici del Cremlino.
Ai tempi delle primarie sono iniziati i rumors
I primi sospetti su un appoggio di Vladimir Putin al tycoon sono nati durante la campagna per le primarie del partito Repubblicano, che Trump vincerà nonostante sia stato da subito fortemente osteggiato dalla maggioranza del suo partito.
Nel marzo 2016 Trump nomina Paul Manafortmanager della sua campagna elettorale e Carter Page suo consulente, due figure date molto vicine alla Russia.
Pochi mesi più tardi, ad agosto, Manafort viene costretto a lasciare l’incarico, dopo essere stato accusato di aver ricevuto dei finanziamenti da Mosca.
La “bomba” però scoppia quando alcuni hacker russi pubblicano i contenuti di alcune mail dell’entourage dell’avversaria democratica di Trump, Hillary Clinton.
Il repubblicano non perde l’occasione per attaccare la sua sfidante, accusandola di essere la candidata dei poteri forti.
Proponendosi come figura di rottura nei confronti dell’establishment politico, “The Donald” riesce contro ogni pronostico a vincere le elezioni.
Le nomine di Flynn e Sessions
Da neo presidente Trump nomina il generale dell’esercito in pensioneMichael Flynncome consigliere per la sicurezza nazionale e Jeff Sessions come ministro della Giustizia.
I due saranno figure chiave nell’indagine istruita dall’Fbi all’inizio del 2017.
Proprio Flynn, in un colloquio con il vicepresidente Mike Pence, omette di aver incontrato l’ambasciatore russo negli Stati Uniti, Sergey Kislyak, per discutere riguardo alle sanzioni inflitte dall’ex presidente Obama al governo di Mosca.
Questa mancanza costringe Flynn a lasciare la poltrona, innescando l’inchiesta dell’Fbi e della commissione istituita dal Congresso per far luce sui rapporti di Trump e del suo staff con la Russia.
Dopo Flynn tocca a Sessions, che di fronte al Senato nega di aver mai incontrato l’ambasciatore russo Kislyak, venendo poi smentito da altre fonti.
Nel frattempo era giunto un rapporto di un ex agente dei servizi segreti del Regno Unito che rivelava l’esistenza di un dossier realizzato proprio dai russi allo scopo di ricattare Trump.
Nelle pagine di questo rapporto si parlerebbe degli affari poco chiari del tycoon a Mosca e di comportamenti sessuali poco adeguati che metterebbero in seria difficoltà il presidente.
Mentre le indagini proseguono arriva l’inatteso intervento del diretto interessato.
La cacciata di Comey
Trump, infatti, decide di licenziare il capo dell’Fbi James Comey, nominato a suo tempo da Obama, ma che in campagna elettorale aveva tirato fuori una vecchia inchiesta contro la famiglia Clinton.
I media e l’opinione pubblica si scagliano contro l’operato del presidente, accusato di voler insabbiare il caso.
Intanto Flynn viene chiamato a testimoniare sui suoi rapporti con la Russia, mettendo nei guai Trump che rischia di non riuscire a frenare l’uragano Russiagate.
Così il presidente decide di ammettere, attraverso Twitter, di aver condiviso con il ministro degli Esteri russo Lavrov informazioni riservate inerenti al tema terrorismo.
As President I wanted to share with Russia (at an openly scheduled W.H. meeting) which I have the absolute right to do, facts pertaining….
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 16 maggio 2017
Una decisione, quella del presidente statunitense, che prende alla sprovvista anche il suo stesso staff, che aveva sempre negato il fatto.
Anche Comey parla, rivelando che Trump a febbraio gli chiese di far calare il silenzio sull’indagine riguardante Flynn, insabbiando così lo scandalo.
La Casa Bianca, da parte sua, nega ogni circostanza riportata nel memorandum dell’ex numero uno dell’Fbi.
In audizione al cospetto del Senato, Comey dichiara come non ci siano dubbi sul fatto che la Russia abbia interferito nelle elezioni presidenziali statunitensi, accusando Trump di aver mentito.
Adesso per Trump si mette male, con il rischio di un impeachment nei suoi confronti che diventa sempre più concreto.
“Trump è ufficialmente indagato”
Arriva anche la notizia del Washington Post secondo cui il presidente è ufficialmente tra gli indagati del Russiagate per ostruzione alla giustizia.
Trump conferma lo scoop via Twitter, difendendosi spiegando di essere “indagato per aver licenziato il direttore dell’Fbi dall’uomo che mi ha detto di licenziare il direttore dell’Fbi!”.
I am being investigated for firing the FBI Director by the man who told me to fire the FBI Director! Witch Hunt
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 16 giugno 2017
Non basta, nel Russiagate entrano in scena anche componenti della famiglia di Trump.
Il primo è Jared Kushner, marito della figlia Ivanka, che secondo gli inquirenti sarebbe a conoscenza di importanti informazioni sui legami tra il suocero e il Cremlino.
Poi tocca anche a Donald Trump Jr., figlio del presidente, che ammette di aver avuto un incontro con un’avvocatessa vicina a Mosca alla vigilia delle elezioni, pubblicando anche il contenuto di alcune mail a conferma dell’accaduto.
Here’s my statement and the full email chain pic.twitter.com/x050r5n5LQ
— Donald Trump Jr. (@DonaldJTrumpJr) 11 luglio 2017
Agli sgoccioli della campagna elettorale, Donald Junior avrebbe ricevuto alcune offerte per ricevere materiale compromettente riguardante l’avversaria del padre, Hillary Clinton.
Il rampollo di casa Trump si sarebbe poi difeso sostenendo di non aver mai fatto accenno degli incontri avvenuti al padre, che ha sempre confermato questa circostanza.
A fine agosto, intanto, la Cnn riporta una notizia secondo cui esisterebbe una mail, arrivata ai membri della commissione inquirente sul Russiagate, dove si parla dei tentativi del comitato elettorale di Trump di organizzare un incontro con il presidente russo Putin prima del voto negli Stati Uniti.
Il ruolo dei social
Anche i social network non sono rimasti estranei alle vicende del Russiagate.
Prima Facebook ha reso noto che, a partire dal 2015, alcuni falsi account con base in Russia avevano postato 80mila contenuti giunti a 126 milioni di americani nel tentativo di influenzare l’esito delle elezioni presidenziali statunitensi.
Poi è stata la volta di Twitter, che ha ammesso che nel 2016 circa duecento account riconducibili a società russe, poi tutti sospesi, avrebbero speso 274mila dollari in pubblicità volta a screditare gli avversari politici di Trump.
Il super procuratore vuole sentire Trump
Il rischio più grande per il presidente però riguarda la testimonianza di Flynn, che ha confessato di aver mentito all’Fbi riguardo i suoi rapporti con l’ambasciatore russo Kislyak.
Resta da capire se Trump fosse a conoscenza, o addirittura fosse il mandante, delle manovre con la Russia da parte dell’ex consigliere alla Sicurezza Nazionale.
Paul Manafort, nel frattempo, si è consegnato all’Fbi dopo essere stato accusato di frode fiscale, cospirazione contro gli Stati Uniti, false attestazioni e riciclaggio di denaro.
Robert Mueller, il procuratore speciale dell’inchiesta, dopo aver convinto a deporre l’ex stratega della Casa Bianca Steve Bannon, intende interrogare nelle prossime settimane lo stesso Donald Trump riguardo alla cacciata di Flynn e Comey.
Lo stesso Trump ha dichiarato il 25 gennaio 2018, poco prima di partire per Davos dove è atteso per il World Economic Forum, che vuole parlare col procuratore speciale Mueller. “Non vedo l’ora di farlo. Sì, credo che accadrà entro due o tre settimane, ma di questo si stanno occupando i miei avvocati”.
“Non ci fu collusione con la Russia”, ha aggiunto il presidente, e tanto meno ostruzione della giustizia: “Ho reagito: e la chiamano ostruzione”.