Internet, in Africa
Gli sviluppatori della Silicon Savannah vogliono cambiare un continente. Usando il web e gli smartphone
In un loft con ampie finestre, pavimento in legno e lunghi tavoli, giovani donne con treccine e ragazzi in t-shirt colorate sono seduti davanti ai loro portatili. Sono studenti, blogger, web designer e programmatori. I loro uffici, chiamati iHub, potrebbero essere posizionati da qualche parte nella tecnologica California, ma sono invece in un luogo che poche persone associano alle nuove tecnologie: Nairobi.
Le persone lavorano negli iHub per sviluppare il futuro di internet in Africa, un futuro che non solo cresce velocemente, ma che ha anche le potenzialità per cambiare le infrastrutture del continente, la sua economia e anche la politica.
Wesley Kirinya, un imprenditore trentenne dell’era dot-com, ha abbandonato la scuola di medicina tre anni fa per fondare la sua compagnia, Leti Games. Ora ha sei dipendenti sparsi per l’Africa, oltre che un tavolo di un metro e mezzo di fronte ad una finestra nell’iHub, ad un passo dalla caffetteria.
Questo è il suo quartier generale, mentre Leti Games è nella sua fase di start up.
Quando Kirinya prende un caffè al bar di iHub paga con un SMS 100 scellini keniani (0,85 euro). Prima digita il numero di telefono del locale e poi inserisce un codice. Preme “invio” e la transazione è completa.
Questo metodo di pagamento è conosciuto come M-Pesa. M sta per “mobile” e “pesa” indica il termine denaro in Swahili, la lingua locale. M-pesa trasforma un telefono in conto bancario, carta di credito e portafoglio, tutto in uno. Ideato in Kenya, il sistema è ora usato in quasi tutti i paesi sviluppati. A oggi, un terzo dell’economia keniota utilizza M-pesa – mentre in alcune delle maggiori città europee si sta solo pensando a sperimentare il pagamento via mobile dei parcheggi.
Kirinya programma anche giochi per smartphone. Il suo ultimo progetto, “Ananse” vede protagonista l’omonima divinità-ragno, figura della mitologia ghanese, combattere i politici senza scrupoli.
“Abbiamo cercato di portare Ananse ai nostri tempi,” spiega Kirinya. Il gioco è stato lanciato sul mercato di Ghana e Kenya in ottobre e da allora è stato scaricato più di 100mila volte. Da gennaio Ananse inizierà a dare i suoi frutti, quando Kirinya farà pagare un dollaro per il download. Per scaricare gli aggiornamenti bisognerà pagare una cifra extra, ovviamente via M-Pesa.
Grazie a tutto questo Kirinya ha iniziato a farsi un nome non solo in Africa. A marzo lui e i suoi colleghi sono volati a San Franciso per una fiera di videogames. “Hanno preso i nostri progetti molto seriamente,” spiega. “Ci siamo finalmente sentiti un’impresa globale. Alla fine, ce l’abbiamo fatta”.
“Logicamente negli Stati Uniti i game designers sono più evoluti a livello tecnologico, e hanno condizioni lavorative che qui possiamo solo sognare” continua Kirinya. “Ma possiamo dire che hanno apprezzato quello che siamo stati in grado di creare con i mezzi a nostra disposizione”.
I giochi low-tech sviluppati in Kenya per il mercato africano sono un buon esempio del successo ottenuto. Gli americani con cui si è confrontato, dice, hanno ripensato ai loro giorni da pionieri. Kirinya passa almeno 12 ore presso iHub per mandare avanti la sua carriera. Pensa in grande, e capisce il notevole potenziale del mercato online africano. La sua prossima idea è sviluppare un nuovo portale africano per telefoni cellulari.
Tutti i lavoratori negli iHub hanno storie simili.
Il centro è stato creato dal fondatore di eBay, Pierre Omidyar, e doveva fungere inizialmente per lo sviluppo delle migliori idee informatiche del Kenya. Il progetto, una specie di aiuto alla crescita digitale, è stato pensato in l’India, dove il boom dell’era IT è cominciato nel 1980 e ha portato il paese a essere una nazione dove milioni di persone sviluppano software, giochi per computer e lavorano in call center.
Dal canto suo, in Kenya il settore delle comunicazioni ammonta già al 5 per cento del PIL del paese. Le grandi multinazionali come Google, Mircosoft, IBM e Cisco hanno riconosciuto il potenziale africano e preso uffici vicino ad iHub. Ora Ngong Road, sede di iHub, è conosciuta come Silicon Savannah.
E non è una presa in giro, ma una promessa. L’Africa sub-sahariana è la parte del mondo dove si sta sviluppando più velocemente il mercato di smartphone, tablet e pc; ci sono più SIM card in uso che in Nord America.
E con circa la metà della popolazione del continente sotto i quindici anni, gli esperti stimano che da qui al 2050 gli smartphone saranno in mano ad un altro miliardo di persone.
Nel giro di appena dieci anni i telefoni cellulari e internet hanno cambiato radicalmente la vita quotidiana di molti africani, più di ogni altro stravolgimento sociale del continente dal tempo dell’indipendenza dalle colonie.
Da quel momento gli africani hanno sempre sperato di colmare definitivamente il gap con il resto del mondo.
Oggi, dopo cinquant’anni di fame, guerra e corruzione l’obiettivo sembra essere quasi raggiunto -grazie soprattutto agli smartphone, che hanno avuto successo dove la maggior parte dei governi ha fallito, colmando il vuoto delle infrastrutture, il più grande ostacolo allo sviluppo.
Dove ci sono telefoni cellulari, c’è meno bisogno dei cavi delle tradizionali linee telefoniche. C’è anche meno necessità di costruire autostrade, cliniche e scuole, perché gli smartphone sono tutte queste cose in una -oltre che banche, stazioni metro, atlanti, bussole, libri di testo, stazioni radio e tv.
Gli africani possono ora mandare soldi attraverso la giungla cliccando un bottone, i commercianti comparare prezzi e gli agricoltori controllare le previsioni del tempo per programmare il raccolto o avere consulenze dai veterinari.
I blogger e i social media user fungono da sostituti della stampa tradizionale, dando punti di vista diversi da quelli di chi è al potere.
E soprattutto quello che serve agli smartphone viene fornito da compagnie private, non dai governi.
“Tecnologicamente parlando, oggi è più facile garantire a un villaggio un accesso internet che acqua pulita”, dice Mo Ibrahim, l’uomo che ha maggiormente contribuito alla rivoluzione digitale africana.
Time magazine ha nominato l’uomo d’affari del Sudan una delle persone più influenti del pianeta. Ai meeting delle persone più potenti del mondo, normalmente, partecipa anche lui. Lo scorso giugno, ad esempio, si è incontrato con il cantante Bono Vox, il direttore del fondo monetario internazionale Christine Lagarde e il direttore operativo di Facebook Sheryl Sandberg per discutere della lotta all’HIV, a un convegno organizzato a New York da Bill Clinton.
Ibrahim ha fondato la Celtel, uno dei primi operatori mobili africani, nel 1998. Nonostante una carriera di successo come ingegnere presso la British Telecom e la creazione di importanti società di consulenza informatica a Londra, Ibrahim non era soddisfatto.
“Non sono mai diventato europeo al cento per cento, l’Africa è semplicemente parte di me”.
In quegli anni il vantaggio era che le licenze per la telefonia mobile, che in Europa e Nord America costavano miliardi di dollari, in Africa erano disponibili per pochi milioni, poiché nessuno a parte Mo Ibrahim le voleva. Successivamente la Celtel ha allargato il suo raggio d’azione a 13 paesi, con 24 milioni di persone che usufruivano dei suoi servizi, e 5000 impiegati.
Quando Ibrahim ha venduto la compagnia a Kuwaiti Mobile nel 2005, ha ricevuto 3,4 miliardi di dollari. Ibrahim, il figlio di un mercante di cotone, ha catapultato l’Africa nell’era dell’informazione.
“L’Africa è il futuro, siamo finalmente parte della globalizzazione”. L’ha detto a Marrakech, dove era ospite d’onore presso la conferenza dell’African Development Bank. L’argomento della presentazione era il ruolo della legge e della trasparenza come requisiti per il progresso africano, e Ibrahim ha sottolineato come abbia fondato e fatto crescere la Celtel senza pagare tangenti.
Il miliardario sudanese percorreva le sale della conferenza da solo. Non sentiva il bisogno di un entourage, di essere protetto, esigenza invece di altri facoltosi uomini africani. Non aveva uno staff e non convocava coloro che volevano parlargli. Anzi, si recava personalmente presso la reception dell’hotel per incontrarli.
Ibrahim non sembra un insolente uomo d’affari, ma piuttosto una persona che pesa con attenzione quello che dice, un intellettuale. Indossa occhiali rotondi e completi semplici, solo le iniziali ricamate rivelano che sono fatti su misura. Il suo telefono cellulare, sorprendentemente, è un vecchio Samsung.
Tutto questo non gli da certamente le sembianze di un uomo che ha proprietà a Monaco e Londra, oltre che un yacht parcheggiato a Montecarlo.
Raramente è a casa, la maggior parte del tempo viaggia in giro per il mondo promuovendo la causa africana. Ibrahim ha creato anche una fondazione che annualmente pubblica un ranking delle nazioni africane, basandosi su vari indicatori.
Ad esempio le libere elezioni danno a un paese un punteggio positivo, mentre la corruzione ne abbassa la classifica. La fondazione inoltre stanzia ogni dodici mesi un premio di 5 milioni di dollari destinati al miglior politico africano. Quest’anno, per il secondo di fila, la giura non ha ritenuto nessun politico meritevole del prestigioso riconoscimento.
Significa che le cose non stanno migliorando? Ibrahim scuote la testa e dice che crede che stia avvenendo un cambiamento positivo, in primis grazie a smartphone e internet.
“Il telefono cellulare è un importante mezzo per la società civile. Se la polizia di confine cerca di estorcervi denaro, scattate una foto e mettetela online. Se qualcuno vi mette pressione durante le elezioni, fate lo stesso”.
Anche le tensioni tra tribù e gruppi etnici possono essere superate, secondo Ibrahim, attraverso internet, che rimedierebbe all’isolamento dei singoli villaggi. “Più sappiamo gli uni degli altri, più difficile sarà litigare. Grazie alla comunicazione moderna, gli africani stanno imparando che fare affari è meglio che odiarsi”.
Il miliardario Mo Ibrahim e l’imprenditore Wesley Kirinya sono due facce della nuova Africa. Uno ha già cavalcato l’onda del successo tecnologico, mentre l’altro sta iniziando solo ora. Il continente non ha ancora prodotto un miliardario grazie a internet, ma Kirinya ci ha confidato che accadrà presto.
“Dateci un paio d’anni”.
Gli africani sono sempre più ricercati per le conferenze di consulenza informatica: le loro conoscenze sono molto apprezzate giacché gli sviluppatori africani devono essere molto creativi, a causa delle limitazioni tecniche del continente.
Il più grande ostacolo per il loro lavoro è che solo una piccola percentuale dei cellulari usati in Africa è abilitata all’uso di internet.
Ma i programmatori africani hanno cercato di rendere disponibili più funzioni possibili anche sui modelli base dei telefonini. Programmi speciali, ad esempio, possono trasformare semplici messaggi di testo in email, permettendo alle persone di inviare SMS alle autorità governative, università, banche che possono continuare il processo online.
Questa è la funzione del social network sudafricano Mxit. Il sito ha sette milioni di utenti che non devono far altro che partecipare a chat o aggiornare i loro status attraverso messaggi, e Mxit fa il resto.
Oltre a questo l’applicazione può anche connettere i suoi utenti a Yahoo e Facebook.
Un’altra applicazione di successo che funziona via sms è iCow. L’idea è degli agricoltori della fattoria keniana di Su Kahumbu, e questo programma riceve fondi per lo sviluppo tecnologico da una fondazione britannica.
I piccoli produttori del sistema terziario di tutto il paese possono registrarsi al programma usando il codice *285#. Devono quindi introdurre l’età, la razza, il peso, il sesso e la data dell’ultimo parto delle mucche, e iCow gli manderà automaticamente consigli scritti ad hoc dai veterinari su alimentazione, salute e fertilità.
Per rendere possibile la comprensione anche ai contadini analfabeti vengono usati prevalentemente messaggi vocali
Ma internet aiuta anche a curare le persone. Difficilmente in Africa i dottori lavorano solamente offline, anche nelle località più remote. Infatti nei piccoli villaggi i medici sono soliti mandare i test effettuati alle cliniche universitarie, ricevendo così diagnosi e suggerimenti sul trattamento.
Questo sistema è molto efficace e permette anche di identificare e fermare sul nascere molte epidemie. I telefoni cellulari possono essere usati anche per determinare l’autenticità e la qualità delle medicine, cosa molto importante in Africa, dove migliaia di persone ogni anno muoiono a causa di farmaci contraffatti.
Alcuni informatici del Ghana hanno sviluppato un semplice sistema di sicurezza.
Primo, il paziente scansiona il codice a barre del medicinale con il suo telefono, o si segna il numero identificativo.
Poi manda quest’informazione a un ufficio che controlla l’autenticità e risponde con il risultato, assieme a consigli sulle dosi di assunzione.
Questo sistema, chiamato mPedigree, è supportato dalle autorità governative e dalle compagnie farmaceutiche dell’Africa Occidentale.
Ma gli smartphone non aiutano solo i malati, gli agricoltori e i bambini: possono anche salvare vite in caso di catastrofi e guerre.
Il miglior esempio è una piattaforma creata da una compagnia keniota che, come prevedibile, ha i suoi uffici presso iHub. L’applicazione, Ushahidi, ovvero “testimone” in Swahili, è l’app che permette ai suoi utenti di riportare in tempo reale casi di violenza, corruzione ed epidemie su una mappa interattiva.
Vittime, testimoni e volontari possono mandare report anche via sms, Ushahidi provvederà in seguito a tracciarli sulla mappa.
Il politico Daudi Were, 34, è un membro del team di sviluppo dell’applicazione. Vi ha partecipato non perché amante della tecnologia, spiega, ma per i risvolti sociali del progetto. Sei anni fa era uno dei blogger africani più famosi, testimone della violenza esplosa nel corso delle elezioni keniote di fine anno, quando gli oppositori si sono affrontati trasformando l’evento politico in una vera battaglia, con 1500 morti in poche ore.
“Eravamo scioccati” dice Were “nessuno sapeva quale fosse la reale portata della violenza, e le dichiarazioni che il governo aveva rilasciato non erano credibili”. Si è seduto con alcuni amici programmatori e in soli sei giorni hanno sviluppato Ushahidi. A oggi, più di 5mila testimoni e vittime di violenza hanno riportato la loro esperienza sulla piattaforma.
Oggi le mappe disponibili su Ushahidi sono oltre 45mila. Vengono usate dagli attivisti per i diritti umani, le Nazioni Unite e i servizi di emergenza medica di tutto il mondo.
Anche i ribelli libici che hanno rovesciato il governo di Muhammar Gheddafi nel 2011 hanno usato Ushaidi per creare mappe di battaglie e segnalare il movimento delle truppe. In Macedonia, l’organizzazione Transparency Watch le usa per segnalare i casi di corruzione. La rete televisiva Al-Jazeera le ha utilizzate nel 2011 per riportare i danni del terremoto in Turchia.
E anche per le devastazioni nelle Filippine gli scienziati della Heidelberg University hanno compilato le mappe sul programma.
“Queste mappe soddisfano due funzioni” continua Were “Offrono una visione generale di una crisi, e permettono ai team di soccorso di mettersi in contatto velocemente con vittime e testimoni. Il tutto ha permesso di salvare centinaia di vite umane”.
Chi si iscrive al sito può infatti lasciare il suo numero di telefono e indirizzo e-mail, grazie ai quali i contatti in caso di emergenza possono essere più rapidi ed efficaci.
Il prossimo progetto degli sviluppatori di Ushaidi si chiama Brck. Questo dispositivo deve il suo nome al suo aspetto– approssimativamente ha la grandezza e la forma di un mattone- e contiene un router mobile capace di fornire un collegamento internet fino a venti telefonini, computer o tablet, anche nei luoghi più remoti.
Una batteria ricaricabile garantisce fino a otto ore di durata in più in caso di black out. Attualmente, gli inventori di Brck stanno viaggiando in ogni angolo del Kenya per testare il dispositivo nelle condizioni più estreme.
La produzione di massa del router è programmata a breve termine. I primi prototipi verranno assemblati in Asia, ma Were spera di poter spostare la produzione in Africa. La compagnia ha già ricevuto 700 pre-ordini, soprattutto da parte di associazioni umanitarie e dalle Nazioni Unite, che vogliono equipaggiare le loro squadre di emergenza con questi dispositivi.
Were crede che le esportazioni del prodotto saranno eccellenti, visto che ci sono ancora 4,3 miliardi di persone nel mondo non online. “Inoltre”, conclude “Quello che può funzionare in Africa, può funzionare ovunque”.
Articolo pubblicato sullo Spiegel. Traduzione di Samuele Maffizzoli