Quali sono gli interessi della Cina in Siria?
Dai vantaggi commerciali alla minoranza degli uiguri, ecco gli elementi per comprendere il ruolo di Pechino nel conflitto siriano
Ameer Anis è un uomo siriano di 32 anni. Vive ad Aleppo e lavora in uno stabilimento che produce saponi artigianali, lavorati secondo il metodo tradizionale siriano.
Si tratta di saponi naturali destinati al mercato cinese, dove la domanda di prodotti ecosostenibili sta crescendo sempre di più. Un giorno, nel mese di giugno, Ameer era alla guida di un camion che trasportava un carico di quasi una tonnellata di sapone.
Era diretto verso la zona portuale di Laodicea, dove la merce sarebbe poi stata spedita in Cina. Ma durante il tragitto una forte esplosione sul ciglio della strada lo costrinse a effettuare una brusca sterzata. Fortunatamente ne uscì indenne.
In molte delle zone del paese martoriate dalla guerra gli affari non si fermano mai, nonostante la vita delle persone sia costantemente a rischio.
Nel 2016, circa otto tonnellate di sapone, pari a quasi un quinto dell’intera produzione dello stabilimento in cui lavora Ameer, sono state acquistate da un imprenditore cinese, Li Jianwei, proprietario di una ditta di commercio specializzata in scambi commerciali con i paesi arabi.
Li Jianwei racconta che gli affari vanno a gonfie vele, soprattutto dopo che nel 2013 l’amministrazione capeggiata da Xi Jinping ha presentato la One Belt One Road. “Gli scambi commerciali tra la Cina e il mondo arabo sono in piena espansione”, afferma Li.
La Silk Road Economic Belt e la Maritime Silk Road (le due componenti della sopracitata One Belt One Road) puntano alla definizione di una rete commerciale e di infrastrutture che faccia da ponte tra l’Asia, l’Europa e l’Africa, sfruttando le antiche rotte commerciali della via della seta.
La storia di Ameer Anis e Li Jianwei è stata raccontata dalla maggiore agenzia di stampa della Repubblica Popolare Cinese, la Xinhua.
Oltre agli interessi di tipo commerciale, però, per la Cina c’è in gioco molto altro in Siria, come mostra in un articolo pubblicato sulla rivista online The Diplomat, Uran Botobekov, dottore di ricerca in Scienze politiche ed esperto di Islam politico.
In un comunicato diramato dal Pentagono lo scorso 20 gennaio si legge che un attacco aereo condotto in Siria dalle forze statunitensi ha portato alla morte di più di cento combattenti jihadisti legati ad al-Qaeda. Ma che legame intercorre tra questo avvenimento e la Cina?
Molti dei terroristi rimasti uccisi sarebbero uiguri, una delle 56 minoranze etniche ufficialmente riconosciute dal governo di Pechino. Complessivamente sono circa 11 milioni e sono concentrati nella provincia nord-occidentale cinese dello Xinjiang. Sono di etnia turca e la maggior parte di loro sono musulmani sufi.
Dopo la caduta della dinastia Qing, che regnò in Cina dal 1644 al 1911, gli uiguri riuscirono a raggiungere l’indipendenza per due brevi periodi: una prima volta dal 1931 al 1934 e una seconda volta dal 1944 al 1949, anno in cui, con la fondazione della Repubblica Popolare Cinese, il partito comunista assoggettò la regione al proprio controllo.
Nel 1955 lo Xinjiang fu classificato come regione autonoma della Repubblica Popolare Cinese. Per molti uiguri si trattò di un’assimilazione forzata e questo contribuì a far nascere numerosi movimenti separatisti nella regione.
La più influente tra queste organizzazioni è senz’altro quella del Partito Islamico del Turkestan (TIP), che col tempo è diventata il principale riferimento per i jihadisti uiguri che militano al di fuori dei confini cinesi. Questo movimento risulta essere affiliato ad al-Qaeda.
Come ci fa notare Botobekov, lo Xinjiang e l’Asia centrale un tempo costituivano l’antica regione storica del Turkestan. Questo spiega come mai il termine Turkestan ricorra così spesso nei nomi che individuano i movimenti religiosi e d’indipendenza legati a questa minoranza.
Tra le persone rimaste uccise nell’attacco aereo condotto dalle forze militari statunitensi ci sarebbe anche uno dei quattro leader più importanti del TIP, Abu Omar al-Turkistani.
Si stima che più di duemila separatisti uiguri appartenenti al TIP abbiano preso parte ad operazioni militari nel nordovest della Siria contro il regime di Bashar al-Assad, un dato allarmante per Pechino.
Ciò che turba principalmente il governo cinese è che l’influenza dei militanti uiguri nell’ambito delle organizzazioni jihadiste internazionali è in continua crescita.
L’affermazione dei movimenti estremisti uiguri viene associata ad un maggior rischio di instabilità nella provincia cinese dello Xinjiang, dove il risveglio di una identità nazionale che mira all’indipendenza della regione e alla fondazione di uno stato del Turkestan orientale viene visto sempre con grande timore dalla leadership cinese.
Proprio per questo motivo, l’amministrazione Xi Jinping ha cominciato a rivedere pesantemente la propria agenda politica in Medio Oriente.
Tant’è che nel marzo del 2016 è stata istituita una nuova figura diplomatica, un inviato speciale per la Siria, che tra i vari compiti ha quello di cooperare con rappresentanti militari della Russia, dell’Iran e della Siria allo scopo di annientare il Partito Islamico del Turkestan che opera sul territorio siriano.
Il compito è stato affidato a Xie Xiaoyan, esperto diplomatico ed ex ambasciatore della Repubblica Popolare Cinese in Iran, Etiopia e nell’Unione africana.
L’alleanza tra Damasco e Pechino si manifesta, inoltre, anche attraverso l’invio in Siria di esperti cinesi per attività di consulenza e addestramento in ambito militare.
Secondo Botobekov, quindi, la posizione cinese nel conflitto siriano si basa sul principio “il nemico del mio nemico è mio amico”, che spiegherebbe perché la Cina abbia deciso di schierarsi al fianco del presidente siriano Bashar al-Assad e dei suoi alleati, la Russia e l’Iran.
— Leggi anche: Chi sono gli uiguri
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