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Orfani del Covid: migliaia di bambini in India sono “a rischio abusi e sfruttamento”

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Una bambina indiana indossa una mascherina durante una processione sacra al dio Jagannath per il festival Rath Yatra a Calcutta del 12 luglio 2021. Credit: EPA/PIYAL ADHIKARY/ANSA

Oltre 3.000 bambinisono rimasti orfani in India durante la pandemia di Covid-19, una straziante testimonianza della devastazione provocata dal nuovo Coronavirus che ha cancellato centinaia di migliaia di vite in tutto il Paese asiatico e distrutto intere famiglie. Ora però si teme per la sorte di queste migliaia di minori “a rischio abbandono, abusi e sfruttamento”.

Dall’inizio della crisi sanitaria, stando ai dati raccolti dalla Johns Hopkins University, sono stati oltre 408mila i morti registrati in India a causa del Covid su più di 30,87 milioni di contagi. Tutti dati certamente sottostimati secondo le autorità sanitarie mondiali. Tra le vittime, migliaia di genitori con figli. Al momento è impossibile avere un conteggio realistico del numero di bambini rimasti orfani per via del Covid, ma le autorità indiane hanno tentato un primo bilancio.

A maggio, la Commissione nazionale indiana per la tutela dei diritti dell’infanzia (NCPCR), parte del Ministero per lo Sviluppo femminile e dei minori, ha chiesto a tutti gli Stati federati di identificare i bambini che avevano perso uno o entrambi i genitori a partire dall’aprile 2020.

Al 5 giugno 2021, le informazioni raccolte dalle autorità federali di New Delhi parlavano di 3.632 orfani e 26.176 minori che in questo lasso di tempo avevano perso almeno un genitore. Le condizioni in cui versano gli orfani del Covid hanno ferito la coscienza del pubblico in India, già di per sé piena di minori vulnerabili, obbligando le autorità a intervenire.

Ciascuno Stato della federazione ha annunciato un risarcimento compreso tra le 500 e le 5.000 rupie (tra 5,6 e 56 euro) al mese per ogni orfano, promettendo anche aiuti alimentari e un’istruzione gratuita. I sussidi variano da Stato a Stato, ma i pagamenti si aggirano in media tra le 1.800 e le 2.600 rupie (tra i 20 e i 30 euro) al mese.

Sempre a maggio, nel cuore della secondata ondata epidemica che ha travolto il Paese, il primo ministro indiano Narendra Modi ha promesso di assicurare “una vita di dignità e opportunità” ai figli delle vittime del Covid. “Il governo si prenderà cura di questi bambini”, aveva scritto Modi su Twitter annunciando il programma PM-Cares, che tra l’altro prevede assistenza sanitaria e istruzione gratuita fino al compimento della maggiore età e una “dote” complessiva di un milione rupie (oltre 11.310 euro) da incassare poco a poco ogni mese a partire dai 18 fino ai 23 anni, oltre a prestiti agevolati per eventuali studi universitari.

Eppure, nonostante gli annunci ufficiali, si teme che una volta calata l’attenzione del pubblico, alimentata finora da campagne rilanciate dalle star di Bollywood, il destino degli orfani del Covid in India non sarà dissimile da quello di migliaia di minori abbandonati in tutto il Paese.

Intanto le difficoltà burocratiche hanno già cominciato a ostacolare la vita di questi bambini che, sconvolti in alcuni casi dalla perdita di intere famiglie, hanno ad esempio avuto difficoltà a ottenere i certificati di morte necessari per incassare i sussidi statali e quindi tornare a scuola.

Inoltre, senza aiuti, in futuro questi minori rischiano di restare vittime della tratta di esseri umani e di forme di schiavitù come il lavoro minorile o lo sfruttamento sessuale, già ampiamente diffusi nel subcontinente. A maggio, la direttrice del Fondo per l’Infanzia delle Nazioni Unite (Unicef) in India, Yasmin Ali Haque, denunciava come questi bambini “non solo stanno vivendo una tragedia emotiva, ma sono anche ad alto rischio di abbandono, abusi e sfruttamento”.

“Anche se non ci sono ancora dati sufficienti, possiamo vedere che sono emerse richieste di adozione illegale sui social media, rendendo questi orfani vulnerabili alla tratta e agli abusi”, aveva affermato la funzionaria dell’Onu. La denuncia dell’Unicef seguiva una serie di post diventati virali sui social, in particolare su Twitter, in cui gli utenti condividevano informazioni sensibili come l’età, il sesso e in alcuni casi persino gli indirizzi dei minori, chiedendo se qualcuno fosse disposto ad adottarli e mettendo così i bambini in grave pericolo, possibili prede di sfruttatori e organizzazioni criminali.

Stando al Censimento del 2011, un bambino indiano su quattro in età scolare non ha accesso all’istruzione, mentre sono 33 milioni i minori tra i 5 e i 18 anni ad avere un lavoro in India. In alcune zone del Paese, più della metà della popolazione minorile è impiegata al lavoro piuttosto che nello studio. Inoltre, secondo l’Unicef, l’India è il Paese con il maggior numero di spose bambine al mondo.

Nemmeno l’adozione legale sembra però rappresentare una soluzione. In questo senso sono ancora molti i tabù culturali delle famiglie indiane che, secondo le statistiche, spesso preferiscono comunque adottare neonati. Inoltre, a norma di legge, alcuni di questi bambini rimasti orfani non potrebbero comunque essere adottati in quanto adolescenti.

Proprio per contrastare lo sfruttamento minorile, le leggi sull’adozione in vigore in India sono infatti molto stringenti. Tant’è vero che in media ogni anno vengono adottati “solo” dai 3.000 ai 5.000 minori nel Paese asiatico, che conta più di 1,36 miliardi di abitanti, rispetto alle circa 13 mila adozioni annue registrate nell’Unione europea, di cui quasi 900 solo in Italia.

Gli strumenti legali e assistenziali annunciati e quelli attualmente a disposizione potrebbero allora non bastare o non essere sufficienti a superare la barriera della mastodontica burocrazia indiana. Così, anche a causa dell’affollamento dei centri di assistenza all’infanzia, le autorità si affidano ancora per lo più all’intervento dei parenti più stretti degli orfani che, in caso di famiglie povere, spesso non riescono ad assicurare un futuro nemmeno ai propri figli e necessiterebbero di ulteriori sussidi per mantenere anche i nuovi arrivati.

La pandemia va quindi ad aggravare un quadro di per sé già doloroso. L’India, secondo l’ong Oxfam, è al 12esimo posto tra le 52 nazioni a reddito medio-basso con i più elevati tassi di mortalità infantile. Save The Children stima un possibile aumento del 15 per cento di questo dato a causa del Covid che, come abbiamo visto, non rappresenta la sola minaccia alla sopravvivenza degli orfani e dei minori indiani abbandonati.

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