Ventitré persone sono morte negli scontri con la polizia del Kashmir in India
Le violenze sono esplose dopo l’uccisione da parte dell’esercito di un leader separatista, in una regione a maggioranza musulmana contesa tra India e Pakistan
Ventitré persone sono morte negli scontri con la polizia scoppiati venerdì 8 luglio nella provincia settentrionale del Kashmir in India a causa dell’uccisione da parte dell’esercito di un popolare leader dei ribelli separatisti.
Nonostante il coprifuoco imposto dalle autorità gli scontri sono continuati anche domenica 10 luglio, in una regione da decenni contesa tra India e Pakistan. Dopo i funerali, la folla ha attaccato e incendiato alcune stazioni e auto della polizia.
Il capo della polizia del Kashmir ha fatto sapere che almeno cento agenti sono rimasti feriti negli scontri e tre sono ancora dispersi. Un poliziotto è morto affogato all’interno della sua auto che era stata gettata in un fiume.
Burhan Wani, il ribelle ucciso dalla polizia, era il leader del gruppo Hizb-ul Mujahideen, una formazione politica separatista che contesta l’autorità indiana in una regione a maggioranza musulmana e vorrebbe l’indipendenza o l’annessione al Pakistan.
Sui social network il giovane di 22 anni era apparso indossando tute militare e facendo appelli alla jihad, ma anche contro l’oppressione. Secondo i separatisti, tuttavia, le forze di sicurezza indiane, hanno utilizzato un pugno di ferro eccessivo nel reprimere le proteste che erano esplose dopo la notizia della morte di Wani, peggiorando la situazione.
Nell’estate del 2010 il Kashmir era stato investito da un’altra grave ondata di violenze e più di cento persone erano morte nelle proteste contro l’India, dopo che la polizia aveva ucciso un altro giovane.