In Cina il gioco è l’oppio dei poveri
Ogni anno miliardi di euro vengono spesi in biglietti della lotteria. E i giocatori più assidui appartengono alle fasce più basse della popolazione
In Cina il gioco è l’oppio dei poveri
Altro che cieca fede ideologica, altro che sistema politico totalizzante, nel Paese di Mezzo a rapire le coscienze e a spersonalizzare gli individui è il gioco. I cinesi giocano a tutto, ovunque: alla lotteria statale o in clandestinità nei casinò e nelle sale da gioco, agli angoli delle strade con la scacchiera del weiqi o le tessere del mah-jong disposte su banchetti di fortuna, nella rete sui centinaia di siti web adibiti alle scommesse internazionali.
Miliardi di yuan ogni anno confluiscono nel gioco, in un Paese nel quale 700 milioni di persone vivono con un reddito annuale di soli 4.700 yuan (circa 560 euro). Sia chiaro: in Cina il gioco d’azzardo è illegale, bandito da Mao Tse Tung fin dal 1949. Tuttavia, alla fine degli anni Ottanta il governo di Pechino ha allentato la morsa del divieto creando due lotterie statali, una per supportare il sistema di welfare e una per lo sport, in modo da rimpinguare le casse dello Stato. Nel 2012 le vendite dei biglietti sono aumentate del 20 per cento e il gioco della lotteria nazionale si è sviluppato talmente che oggi il giro di affari è di 30 miliardi di euro, uno dei più grandi al mondo, secondo solo agli Stati Uniti. Il Ministero degli Affari Civili ha dichiarato nei giorni scorsi che le vendite dei biglietti della lotteria hanno raggiunto un record nel 2012, per un valore di 151 miliardi di yuan (18 miliardi di euro), e sono cresciute del 18 per cento rispetto all’anno precedente.
Uno studio dei ricercatori della Beijing Normal University ha stimato che i giocatori della lotteria hanno raggiunto quota 200 milioni, di cui 7 milioni sono giocatori cronici e tra questi ben 430 mila hanno manifestato veri e propri risvolti patologici con disturbi ossessivo-compulsivi da dipendenza dal gioco. Una dipendenza che induce il giocatore a mettere a repentaglio la propria condizione socio-economica, i rapporti interpersonali, e a trasformarsi in un individuo antisociale, isolato e aggressivo, pericoloso per la stessa comunità. In Cina i giocatori cronici provengono dal livello basso e medio-basso della scala sociale, il 70 per cento ha un reddito mensile tra i 3-5 mila yuan, e migliorare il proprio status sociale è la motivazione che li spinge al gioco. Sono per lo più uomini (le donne sono solo il 7 per cento dei giocatori ma sono più inclini a diventare dipendenti) e giovani, il 73 per cento di loro ha un’età compresa tra i 26 e i 34 anni.
Changbin Wang, accademico del Macao Polytechnic Institute, ha affermato che il governo dovrebbe frenare il surriscaldato mercato del gioco: “le agenzie governative dovrebbero imporre alcune restrizioni sui tipi di lotterie, sull’età degli acquirenti e sui metodi di commercializzazione”. Più aumentano le vendite dei biglietti, più aumentano i malati psichiatrici, i divorzi, i suicidi e i casi di bancarotta, e in parallelo cresce il potere delle gang mafiose che prestano denaro ai giocatori.
Per Wang Xuehong dell’Università di Pechino i ricavi della lotteria sono così ingenti che per il governo è preferibile chiudere gli occhi davanti allo sfascio sociale prodotto dal mercato del gioco. Il problema imbarazza i dirigenti perché la lotteria ha messo in crisi la Cina e mina la stabilità del Paese. Il paradosso è proprio questo: il gioco, istituzionalizzato a scopo di sostegno sociale, genera più bisogno e impoverisce sempre di più la società. Ammettere anche solo l’esistenza di una crisi consisterebbe implicitamente in un’ammissione di responsabilità, che le autorità negano. Se il problema non esiste, non esistono neanche i giocatori patologici e tantomeno la necessità di aprire centri assistenziali per il recupero dalla dipendenza.
Dal suo debutto nel 1987, il volume complessivo delle vendite della lotteria ha superato i 787 miliardi di yuan (94 miliardi di euro), e il governo ha puntualizzato che più di “253 miliardi di yuan sono finiti nei fondi pubblici per la previdenza, di cui hanno beneficiato centinaia di milioni di persone in tutto il Paese”. Per il Regolamento della Cina in materia di Gestione della Lotteria, il denaro raccolto attraverso le lotterie viene diviso in tre parti: il jackpot, le commissioni di gestione della lotteria e i fondi pubblici. Ogni anno la metà dei fondi pubblici del welfare cinese finisce nella tesoreria del Paese, mentre l’altra metà viene distribuita ai governi locali. Secondo le fonti governative nel solo 2012 le vendite della lotteria, che rappresentano meno dell’1 per cento delle entrate del governo centrale, avrebbero raccolto oltre 46 miliardi di yuan (5,5 miliardi di euro) destinati al finanziamento pubblico, quindi a programmi di assistenza sociale e di beneficenza.
I costi non sono solo sociali ma anche economici. L’economista Lang Xianping crede che in Cina si sia lontani dall’allocazione efficiente delle risorse e sospetta che i fondi non vengano usati come dovrebbero. Nel 2011 solo 9 delle 34 amministrazioni provinciali del Paese hanno pubblicato rapporti per rendere conto della destinazione delle somme percepite dalla lotteria. La mancanza di trasparenza giustifica un ragionevole dubbio: dove va a finire il denaro dei cinesi?
Forse se lo è chiesto anche Ren Xiaofeng, un ex dipendente della Banca agricola cinese di Handan, che a causa della sua dipendenza dalla lotteria per acquistare i biglietti ha speso in un solo giorno 14,1 milioni di yuan e ha rubato dalla Banca altri 45 milioni di yuan. Come lui, sono tanti i giocatori che sottraggono soldi pubblici comportando perdite finanziarie per lo stato. Visto da questa prospettiva il gioco non vale la candela.