Oltre mille persone, a detta degli organizzatori, hanno preso parte domenica 30 novembre alla marcia di protesta contro le discriminazioni e gli abusi nei confronti della comunità LGBT a Nuova Delhi, in India.
Dal 2007, ogni novembre esponenti, sostenitori e simpatizzanti della causa si riuniscono per marciare pacificamente verso Jantar Mantar, centro cittadino delle proteste.
“Sette anni fa, al primo Queer Pride (il termine queer è traducibile letteralmente con “eccentrico”, il termine fa riferimento all’orgoglio gay e transgender) eravamo 35 persone soltanto. Il movimento sta crescendo e non abbiamo paura di uscire allo scoperto”, racconta Mukul, un manifestante.
Dal 1860 il codice penale indiano ha reso illegali le pratiche omosessuali. Nel 2009 una sentenza dell’Alta Corte di Delhi ha abolito questa norma, affermando che vìola i diritti fondamentali della Costituzione. Nel 2013, tuttavia, la Corte Suprema indiana ha rovesciato la sentenza del 2009, riabilitando l’articolo del codice penale del 1860 che considera le attività omosessuali illegali.
Anche se non vi sono dati ufficiali sulla comunità gay in India, uno studio del governo parla di 2,5 milioni di persone. Ma i numeri poterebbero essere molto più grandi.
Secondo Ong, la comunità LGBT in India conta oltre 130 milioni di persone, anche se bisogna considerare che per molti indiani, nelle zone rurali così come nelle città, fare coming-out rappresenta ancora oggi un tabù non indifferente.
Tra uno e due milioni, invece, sono gli hijras, termine col quale in India si definiscono travestiti, transessuali (leggi l’articolo sulla prima conduttrice transessuale indiana) ed eunuchi, riconosciuti come “terzo genere” dalla Corte Suprema lo scorso aprile (ne avevamo parlato qui).
Le immagini da Nuova Delhi sono del fotografo italiano Andrea De Franciscis. Il testo è di Maria Tavernini, anche lei a Nuova Delhi