Il mercato dei bianchi
Nuove professioni per figuranti emergenti in Cina e in India
La scorsa settimana l’agenzia Reuters ha pubblicato una foto di un alpaca affacciato fuori dal finestrino di una macchina in una trafficata strada di Changchun, città cinese nella provincia di Jilin.
La didascalia spiegava che l’alpaca in questione era stato noleggiato da uno zoo australiano per essere usato in un bar della città cinese nella speranza che l’esoticità e la stranezza dell’animale aiutassero ad attirare clienti.
Al suo arrivo in Cina l’alpaca probabilmente non sospettava di essere entrato in un giro ben consolidato in cui gli occidentali spesso si vedono assegnati impieghi in bar, locali o più semplicemente per per “fare figura”, nella speranza che anche nel loro caso l’esoticità aiuti ad attirare clienti. Bar e locali si affidano a intermediari locali, i quali a loro volta con poca fatica riescono sempre a trovare qualche straniero che si presti al gioco.
Ed è così che occidentali (o diciamocelo: bianchi, perchè con buone probabilità uno statunitense di origine vietnamita o cameroonense non otterrebbe questo tipo di lavoro), spesso senza arte nè parte, vengono pagati profumatamente per inscenare performances dal dubbio gusto, lavorare da modelli, o andare nei locali a bere gratis.
Per esempio, quando vivevo in Cina, una volta sono stata ingaggiata per suonare la chitarra per tre giorni durante un’esposizione immobiliare insieme a una band di altri stranieri. Per tre giorni di lavoro ho ricevuto 3,000 yuan, che in Cina equivalgono allo stipendio di due mesi di un operaio di fabbrica.
Un particolare interessante è che io non so suonare la chitarra, ma questo era ritenuto un aspetto secondario: l’importante è che io fossi là, sorridessi, mi prestassi a fare foto insieme a potenziali clienti, e soprattutto che facessi sfoggio di tutta la mia ‘bianchezza’.
Poco importa che in realtà sappia a malapena mettere insieme tre accordi (l’accordo di FA, col suo maledetto barrè, resterà per sempre uno dei miei peggiori incubi).
Proprio per il fatto che l’occidentale di turno è ingaggiato per essere un fenomeno da baraccone, tra stranieri questo tipo di lavoro è spesso chiamato ‘monkey show’. I monkey show sono relativamente diffusi in molte città cinesi, soprattutto nei centri in cui gli occidentali sono ancora una novità, nelle città in cui la gente si ferma per strada alla vista di uno straniero, indicandolo all’amico, facendogli una foto di nascosto sull’autobus, o avvicinandosi e mettendosi in posa per essere ritratto con il laowai, lo straniero.
Durante i due anni che ho vissuto a Kunming, capitale di una regione predominantemente rurale e che solo di recente ha iniziato ad attrarre un buon numero di stranieri per motivi di lavoro, studio e turismo, mi è capitato di conoscere diverse persone che vivevano di ‘monkey show’: un ‘concerto’ di un pomeriggio alla settimana basta per pagare l’affitto, e se si riesce a ottenere qualche ingaggio in più il gioco è fatto.
Vacanze in Thailandia, appartamenti che in Europa risulterebbero al di fuori dalla portata dei più, cene al ristorante e viaggi in taxi vengono sponsorizzati dal fatto che essere bianchi in Cina è un business consolidato.
Ma il giro dei monkey show non è un’esclusiva cinese. Da quando mi sono trasferita a New Delhi qualche mese fa ho infatti spesso sentito parlare di un altro business, quello dei matrimoni: ovvero essere pagati cifre simili a quelle cinesi in un paese in cui se possibile il costo della vita è ancora più basso per figurare tra gli ospiti di qualche ricco sconosciuto indiano.
Chi organizza il giro ha in genere un contatto di fiducia all’interno della comunità di expat e si incarica di andare a prendere l’occidentale in taxi a inizio serata, scortarlo al matrimonio e riportarlo a casa a fine evento. Una serata simile può fruttare quanto lo stipendio di un mese di un venditore ambulante, senza contare l’accesso al banchetto matrimoniale incluso nel pacchetto. Un affare.
Il giro dei monkey show o quello dei matrimoni sono un indice, seppur molto limitato e non generalizzabile, della percezione che una parte della società indiana e cinese ha degli occidentali, e di riflesso dell’occidente stesso.
I westerner sono infatti spesso un’icona della ricchezza che, agli occhi di molti cinesi e indiani, caratterizza l’Europa e gli Stati Uniti. Allo stesso tempo per le crescenti upper-middle class indiana e cinese, i westerners rappresentano tutte le novità che il recente boom economico ha portato per i nuovi ricchi dei due paesi: possibilità di viaggiare, gadget costosi, uno stile di vita che richiama i film di Hollywood e che si distanzia ogni anno di più dalle tradizioni locali.
A ciò si aggiunga un diffuso senso di semi-adorazione per ciò che viene dall’occidente, un lascito dell’epoca coloniale rinforzato da attuali strategie di marketing che al giorno d’oggi, in Cina e in India, diffondono costantemente immagini di ragazze dalla pelle bianchissima, occhi tondissimi e capelli biondissimi.
Probabilmente non è un caso che chi in questi due paesi approcci sconosciuti occidentali su autobus o per strada per farsi una foto insieme, spesso coincida con il target commerciale di chi organizza monkey show, o con chi invita stranieri sconosciuti al proprio matrimonio: membri della nuova middle e upper-middle class che, nel presente clima economico, forse vedono negli occidentali l’immagine di ciò che anche loro potranno diventare e ottenere nei prossimi anni.