Il boom del petrolio brasiliano
La scoperta di nuovi giacimenti petroliferi a 300 chilometri dalla costa di Rio de Janeiro proietta il Brasile nella top 5 mondiale
Oggi il Brasile è l’undicesimo produttore di petrolio al mondo. Nel 2020 potrebbe entrare nella top 5, in seguito alla scoperta e all’esplorazione di nuovi giacimenti di prè-sal (formazioni geologiche risalenti al periodo Cretaceo che appaiono sulle piattaforme continentali di Africa e Sud America) distanti trecento chilometri dalla costa di Rio de Janeiro e nascosti a una profondità di settemila metri, cinquemila sotto il fondale oceanico. Stime del petrolio recuperabile arrivano a cinquanta miliardi di barili (poco meno di tutto quello del Mare del Nord), ma gli ottimisti se ne aspettano addirittura tre volte tanto. Il compito tuttavia non sarà facile. Questi depositi profondissimi necessitano di un grande sforzo tecnologico: il sale e gli agenti corrosivi potrebbero impedire la trivellazione, senza contare che i pozzi sono difficili da raggiungere, sia per gli addetti che per le tubature. Ma forse gli aspetti politici ed economici dell’intero progetto sono anche più inquietanti dei problemi geologici.
Giocatore chiave in questo contesto non può che essere Petrobras. La compagnia petrolifera nazionale non solo è la più grande azienda latinoamericana (fa parte della “Top 25 World Class Emerging Multinationals” stilata dal Boston Consulting Group), ma è anche leader mondiale nello sviluppo di tecnologie per le ricerche petrolifere a grandi profondità. La macchina è in movimento: piani per 224 miliardi di dollari dal 2011 al 2015 fanno pensare al CEO Josè Sergio Gabrielli che lo sfruttamento dei prè-sal potrebbe portare la compagnia ai livelli di Exxon entro il decennio. Petrobras ha assunto negli anni una leadership settoriale grazie a un eccellente sfruttamento delle ricchezze naturali. Analizzando il suo rendimento dal punto di vista del rapporto “Risorse-Competenze”, l’azienda trae vantaggio dal proprio portafoglio di risorse tecniche e umane. Il vantaggio competitivo è poi dato dalla licenza di essere il “primo esploratore” dei pozzi grazie all’aiuto del governo brasiliano, che detiene il 54% della compagnia.
Inoltre Petrobras beneficia di collaborazioni mondiali, che sicuramente rappresentano il trend recente in campo di business internazionale. L’alleanza con gli spagnoli di Repsol è stata di aiuto nelle nuove scoperte; i finanziamenti per il progetto prè-sal sono arrivati persino dalla Cina. Questo in cambio di aiuti e rifornimenti per duecentomila barili al giorno che Petrobras ha assicurato per dieci anni a Sinopec, la grande compagnia petrolifera statale cinese. Ma il Brasile è pronto a tutto ciò? Solo per dare un’idea della magnitudine dell’intera faccenda, Pedro Cordeiro di Bain & Company, una società di consulenza, afferma che sviluppare il progetto prè-sal sarà uno sforzo nazionale pari a quello americano ai tempi del programma Apollo. Dieci anni di sviluppo sui pozzi potrebbero costare un trilione di dollari, quasi metà dell’attuale PIL del Brasile. Ovviamente però, i petrodollari ingigantiranno le casse domestiche e aiuteranno la nazione, già a ridosso delle potenze mondiali, a migliorare le infrastrutture.
Tredici delle “100 Top Companies from Rapidly Developing Countries” (sempre secondo BCG) sono brasiliane e Goldman Sachs sostiene che il potenziale di questo Stato, così come quello di Russia, India e Cina, è tale da potersi convincere che possa diventare una delle economie dominanti verso il 2050. Dopotutto non si può trattare di business internazionale senza parlare di BRIC. Queste nazioni occupano il 25% del territorio terrestre e il 40% della popolazione. Hanno un PIL combinato di 18.486 trilioni di dollari. E sono i mercati più in crescita del globo. Il petrolio e il gas rappresentano già il 10% dell’economia del Brasile. Tuttavia, nazioni con grandi risorse petrolifere spesso vanno incontro a grandi fallimenti: il cosiddetto “malanno olandese” (l’esportazione massiccia di petrolio che spinge i tassi a un livello dannoso per gli altri settori) e la poca volontà del governo di affrontare i problemi odierni sono alle porte. Poche miglia più a ovest infatti le riserve petrolifere hanno spinto il Venezuela a sprechi, allocazione inefficiente del PIL e corruzione.
Nel 1817 David Ricardo per primo menzionò il vantaggio comparato, definendolo come una situazione in cui una nazione può produrre un bene a un minor costo d’opportunità rispetto ai concorrenti, grazie a una buona o fortunata selezione di terra o clima. Oggi questo concetto è criticato poiché tale vantaggio non provvede allo sviluppo a lungo termine ed è nullo senza l’applicazione e la ricerca tecnologica. Il Brasile è in una posizione eccellente sulla carta, ma deve raggiungere un livello successivo: l’intera nazione deve seguire il progetto prè-sal senza sedersi sugli allori. Il governo deve puntare a implementare l’intera economia e dare forma a tutto il mercato. L’educazione alla disciplina industriale, finanziaria, tecnica e di conoscenze, sarà la chiave, anche per il fatto che il Brasile punterà a investire parte dei ricavati dal petrolio nella cultura, nella scienza, nell’ambiente e nella lotta alla povertà. Petrobras sa che il petrolio e i suoi profitti appartengono al popolo brasiliano, ma il ruolo governativo sarà cruciale. Senza questa presa di coscienza, non solo l’azienda, ma l’intero paese, rimarranno ancora lontani dai riflettori mondiali.
A cura di Lorenzo De Paolis