Il 2014 in dieci elezioni
Dall'India all'Indonesia, dall'Europa all'America. Gli appuntamenti elettorali del prossimo anno
Il 2014 si preannuncia come un anno in cui i risultati elettorali di alcuni Paesi, potrebbero interessare gli equilibri politici di tutto il mondo. La rivista “The Atlantic” ha individuato le dieci elezioni che potrebbero cambiare gli scenari globali, con le relative motivazioni.
1. Elezioni Presidenziali in Afghanistan (5 aprile)
L’attuale presidente Hamid Karzai è costituzionalmente impedito a ripresentarsi per il terzo mandato, e non sembra chiaro chi possa essere il suo successore. Sono numerosissimi i possibili “frontrunners”, tra cui anche il fratello di Karzai, Qayum: poi c’è Abdullah Abdullah (ex ministro degli Esteri, indipendente, considerato il più quotato) e Ashraf Ghani Ahmadzai (ex ministro delle Finanze, pensatore di fama internazionale), ma le elezioni potrebbero essere inquinate dalla presenza, tra i candidati, di diversi “signori della guerra”. L’incertezza sul futuro leader complica il ritiro delle forze internazionali dal territorio – in programma entro la fine del prossimo anno –, anche perché i talebani sono ancora molto potenti in diverse parti del Paese.
2. Elezioni Parlamentari in Iraq (30 aprile)
Il primo ministro in carica Nouri al-Maliki, potrebbe ottenere la possibilità del terzo mandato, dopo la Corte Suprema irachena ha modificato una legge che fissava il limite a due. Resterebbe il favorito, sebbene nelle ultime elezioni provinciali la sua coalizione (“State of law”, il nome) ha perso il controllo di più della metà delle province a maggioranza sciita. La probabilità della rielezione è molto legata alle strategie dei partiti rivali, che potrebbero preferire la vittoria di Maliki a un periodo di transizione politica e instabilità, che lascerebbe spazio alla crescente ondata di violenza settaria tra sciiti e sunniti. Il futuro dell’Iraq è molto legato alla capacità dei leader politici di tenere testa ai fondamentalisti di entrambe le fazioni.
3. Elezioni Parlamentari in India (aprile o maggio)
I numeri delle elezioni che interesseranno la Lok Sabha, la Camera bassa indiana, sono giganteschi: 700 milioni di votanti, 800 mila seggi, 1300 partiti politici – tra locali e nazionali. Le elezioni potrebbero portare il Partito del Congresso di Sonia Ghandi a una contrazione dei consensi dopo dieci anni di dominio: lo scontento degli elettori è legato al rallentamento della crescita economica, l’inadeguatezza delle infrastrutture, la dilagante corruzione. Il politico da tenere d’occhio è Narendra Modi, primo ministro dello stato indiano del Gujarat e leader del partito Bharatiya Janata, partito conservatore, in difesa dell’identità induista. Modi è attualmente il più carismatico dei leader indiani anche se ancora risente delle accuse di non essere intervenuto per sedare le rivolte anti-musulmani, che nel 2002 in Gujarat provocarono la morte di circa mille persone.
Tutto farà pensare, comunque, che nessuno dei partiti potrà vincere da solo – l’India non ha un governo a partito unico dal 1989, e che si potrebbe arrivare a una difficile grande coalizione, forse incapace di affrontare le importanti sfide che il Paese si trova davanti.
4. Elezione dell’Assemblea nazionale del Sud Africa (maggio o giugno)
Nell’anniversario dei vent’anni dalla fine dell’apartheid, si terranno le quinte elezioni democratiche del Paese, che decideranno la composizione dell’Assemblea nazionale, la quale a sua volta dovrà eleggere il presidente. L’African National Congress, che governa dal 1994, dovrebbe restare al potere, ma probabilmente con meno seggi. I principali partiti di opposizione che potrebbero guadagnare voti sono l’Alleanza democratica e l’Economic Freedom Fighters, un partito di sinistra radicale, anti-capitalista, nato nell’agosto di quest’anno, che si pone come obiettivo di “ripristinare la dignità della maggioranza nera”. La corruzione del governo, l’economia stagnante e la forte disoccupazione, saranno i temi su cui si giocheranno i programmi elettorali.
5. Elezioni del Parlamento europeo (22-25 maggio)
L’austerità indotta dall’Europa non ha portato grandissimi risultati: la disoccupazione aumenta, molte economie nazionali continuano ad essere in contrazione. Non ci sarebbe da stupirsi, secondo l'”Atlantic”, se ci fosse un grosso successo dei partiti populisti e nazionalisti, che di solito gravitano lontano dalle orbite di Strasburgo. Circostanza che comporterebbe la vittoria del populismo sull’austerità e che creerebbe grosse problematiche all’equilibro politico delle singole nazioni.
6. Elezioni Presidenziali in Colombia (25 maggio)
Con ogni probabilità il presidente in carica Juan Manuel Santos vincerà le elezioni di nuovo. La situazione politica locale resta tuttavia problematica, soprattutto dopo la rottura di Santos con il suo predecessore (ed ex alleato) Alvaro Uribe Velez. Le relazioni si sono incrinate quando il presidente ha abbandonato la linea dura di Uribe e ha cominciato a negoziare con i ribelli delle Farc. Uribe ha fondato un suo partito, Centro Democratico, e scelto l’ex ministro delle Finanze del suo governo Oscar Ivan Zuluaga per competere alla presidenza. Ma le chance di vittoria sono limitate.
7. Elezioni Presidenziali in Indonesia (9 luglio)
Lo chiamano “l’Obama di Indonesia”: Joko Widodo è l’uomo che l’Indonesia vorrebbe alla guida del Paese . Riuscirebbe facilmente a vincere le elezioni, ma sulla sua discesa in campo c’è l’ombra del leader del suo
partito: se dovesse decidere di candidarsi Megawati Sukarnoputri, ex presidente e due volte candidata perdente, Widodo non potrà correre. Il presidente uscente Susilo Bambang Yudhoyono, lascerà un paese corrotto e che non riesce a accelerare la sua crescita economica. Secondo “The Atlantic” la legislatura che sarà eletta nelle prossime elezioni difficilmente sarà in grado di risolvere questi problemi.
8. Elezioni Presidenziali in Turchia (agosto)
La domanda principale è se l’attuale primo ministro Recep Tayyip Erdogan si candiderà a Presidente. Il motivo per cui dovrebbe lasciare il ruolo di capo dell’esecutivo, per prendere quello meno influente di Capo di stato, sta in un articolo dello statuto del suo partito (Akp) che impedisce di superare i tre mandati da premier, che scadranno a giugno del 2015. L’Akp ha proposto di modificare la costituzione per assegnare al presidente maggiori poteri, ma non si è mosso ancora niente su questo fronte – anche perché i metodi violenti con cui Erdogan ha reagito alle proteste di quest’anno hanno messo in discussione la sua leadership non solo tra gli avversari, ma anche tra i suoi stessi sostenitori. Tutto sembra dipendere dalle elezioni locali in programma per marzo: un buon successo del suo partito potrebbe essere il passaggio definitivo per la candidatura di Erdogan alle presidenziali.
9. Elezioni Presidenziali in Brasile (5 ottobre)
La questione qui è se la presidente in carica Dilma Rousseff riuscirà a vincere il primo turno di votazioni e evitare il ballottaggio per la sua rielezione. Fino a qualche mese fa la sua popolarità era in crisi, quando le proteste scaturite da motivazioni futili come l’aumento dei prezzi di biglietti di autobus e treni sono arrivate ad assumere più ampie dimensioni e divenendo un pretesto per discutere sui temi della disuguaglianza, i servizi per i più poveri, l’inflazione. Ma gli indici di gradimento sono saliti di nuovo, e non sembrano esserci troppe possibilità per la sfidante Marina Silva, ambientalista, che non è riuscita a presentare in tempo le liste per il suo partito e si candiderà tra i socialisti.
10. Elezioni Congressuali negli Stati Uniti (4 novembre)
Rispetto alle elezioni presidenziali del 2016, quelle di “mid term” del novembre prossimo sembrano ricevere meno attenzione. Eppure per Obama rappresentano la possibilità di modificare gli equilibri congressuali: attualmente i democratici controllano il Senato, e i repubblicani la Camera. Nessun Presidente negli ultimi 100 anni è riuscito a riconquistare la maggioranza alla Camera nel suo secondo mandato. Oltretutto, la popolarità di Obama è a picco e si prevede un’affluenza molto più bassa di quella del 2012: circostanza che favorirebbe i repubblicani.
C’è un’ulteriore votazione da tenere sotto controllo secondo l'”Atlantic”: si tratta del referendum del 18 settembre con cui la Scozia sceglierà sull’indipendenza dal Regno Unito. I sondaggi danno “Better together” –movimento dei partiti contrari – in vantaggio rispetto alle posizioni indipendentiste incarnate dallo stesso primo ministro scozzese Alex Salmond. Il governo di Edimburgo ha pubblicato da poco un dossier per sostenere i pregi di una Scozia indipendente, e secondo la rivista americana, sfrutterà al meglio le celebrazioni del 700° anniversario della battaglia di Bannockburn, momento iconico della storia e dell’identità scozzese – per infiammare il consenso.