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Giovani senza telefono: benvenuti nel “Luddite club”

Immagine di copertina

Vengono dai licei di New York. Hanno 16 anni. E in pandemia hanno trascorso almeno otto ore al giorno su internet. Ma oggi hanno deciso di abbandonare gli smartphone. Fanno parte del “Luddite Club”, un gruppo di adolescenti che è uscito dalle piattaforme. Perché ha capito che la felicità è vera soltanto se condivisa. In presenza

Prospect Park è uno dei cuori verdi di Brooklyn, che si estende per 237 ettari tra sculture, ponti, un orto botanico, cascate, archi, piste per fare jogging e campi da baseball. Al suo interno sorge anche l’ultima foresta rimanente del quartiere hipster di New York, dove ogni domenica si riunisce un gruppo di circa 25 liceali, vestiti con abiti larghi, comodi e sportivi. Sdraiati sulle amache o stesi in cerchio sulle foglie secche, si differenziano dagli altri adolescenti perché, quando cala la sera, è più difficile guardarli in viso tra gli arbusti: i loro volti non sono illuminati dallo schermo di un iPhone. Hanno deciso di abbandonare gli smartphone circa due anni fa, dopo aver sofferto gli effetti dell’iper connessione durante la pandemia, quando la presenza costante sui social ha assorbito ogni aspetto della loro vita, con effetti allarmanti sul modo di vivere la socialità e pensare. Secondo uno studio condotto dalla rivista medica americana Juma Pediatrics su un campione di 5.400 adolescenti, durante i mesi di lockdown i ragazzi hanno trascorso almeno otto ore al giorno utilizzando i social, giocando ai videogame o conducendo altre attività che richiedono la connessione a internet, senza contare le ore di didattica a distanza. Uno stile di vita che conduce spesso a soffrire di ansia e depressione, sentimenti legati alla percezione della propria immagine. 

«Non potevo fare a meno di condividere una bella foto, se ne avevo una. Ero esausta, ogni aspetto sociale della mia vita era collegato alla mia presenza online», ha raccontato una delle fondatrici del club, ​​Logan Lane, a una rivista studentesca. Ha abbandonato l’iPhone a 17 anni, dopo sei anni di fedele utilizzo, in cui si addormentava con la luce del telefono accesa dopo ore di “scroll”, simulando un atteggiamento distaccato rispetto a Instagram o TikTok ma nascondendo un’attenzione spasmodica verso il suo comportamento online e le immagini che le sue coetanee pubblicavano sui social. Spesso si sentiva inadeguata. Un’ossessione diventata così travolgente da spingerla non solo ad abbandonare i profili social, ma a liberarsi dell’iPhone. Con buona pace dei genitori, che ora non possono più localizzarla quando esce il venerdì sera e per avere sue notizie l’hanno obbligata ad acquistare il cosiddetto “cellulare a conchiglia”, che adesso è diventato un oggetto irrinunciabile per ogni membro del club. Ogni studente che ha deciso di disfarsi dell’iPhone ne possiede uno, rigorosamente non connesso a internet, decorato con le immagini delle band e dei musicisti che preferiscono, come Lauryn Hill e i Fugees. Ma i loro riferimenti culturali sono ben più ampi: Jon Krakauer, autore del libro cult “Into the wild”, Fyodor Dostoyevsky, William Edward Burghardt Du Bois, tra i maggiori esponenti della lotta per i diritti civili in America, Don DeLillo e il suo “Rumore bianco”, emblema dell’impatto straniante che la tecnologia provoca sulle persone. Il personaggio principale a cui il gruppo si rifà è però l’eroe ottocentesco del proletariato Ned Ludd, diventato celebre per aver distrutto un telaio meccanico durante uno scatto di rabbia e aver ispirato il luddismo, il movimento operaio che nel XIX secolo cercò di sabotare la produzione industriale nel Regno Unito. Non a caso, il gruppo ha scelto di chiamarsi “The Luddite club”, unito dalla percezione che la tecnologia dei social – pur rappresentando, per molti adolescenti, un rifugio – sia in realtà una nuova forma di alienazione e schiavitù.

Nuova vita

Logan Lane se n’è accorta dopo alcune settimane trascorse senza iPhone, quando – ha raccontato al New York Times – ha sentito la chimica del suo cervello cambiare, al punto da sentirsi annoiata: sensazione per niente comune per teenager abituati ad essere perennemente connessi con altre persone. Lane, che frequenta l’ultimo anno alla Murrow High School di Brooklyn, ha iniziato per la prima volta a rimanere sola con se stessa, e a trasformare quei momenti di noia in possibilità di decidere in autonomia come utilizzare il suo tempo. In un anno è diventata una lettrice accanita, ha cominciato ad apprezzare i graffiti nei sotterranei della metropolitana e ha imparato a usare lo spray frequentando alcuni artisti di strada, con cui ha fatto pratica in uno scalo di treni merci del Queens. Oggi si sente più coinvolta nelle attività scolastiche, e si alza ogni mattina alle sette senza bisogno di inserire la sveglia, libera da quella sensazione di stordimento che le luci dello schermo regalano quando ci si addormenta al loro fianco a notte fonda. 

Sogna ancora di vivere libera dal cellulare, anche da quello di vecchia generazione, ma stare senza smartphone le ha dato la sensazione di essere in qualche modo più matura e saggia dei genitori, perennemente attaccati al proprio iPhone e ai social network come Twitter, dove la madre si è appena creata un account. L’idea del Luddite Club è nata per caso, dopo un anno di disintossicazione, quando ha incontrato una matricola che aveva fatto la sua stessa scelta: passare alla conchiglia. Si chiamava Jameson Butler, ed è tutt’ora una dei membri del gruppo. Sotto il palco di un concerto punk a Prospect Park, le due hanno iniziato a confrontarsi: Lane non poteva credere alle sue orecchie e a tutto quello che anche Butler aveva letto e imparato nei mesi senza telefono. Dopo due settimane si sono ritrovate, senza darsi appuntamento, nella biblioteca adiacente al parco, e hanno deciso di andare a chiacchierare nel verde con un po’ di sidro e qualche ciambella: quella è stata la prima riunione del club.

Felicità condivisa

Oggi il gruppo, introvabile sui social media e cresciuto principalmente all’interno della scuola di Logan, conta circa 25 membri, alcuni provenienti da altri licei di New York. I partecipanti più accaniti distribuiscono il manifesto del “Luddite club” e il poster di Ned Ludd – che riporta la storia dell’operaio tessile – per i corridoi della propria scuola, e ogni martedì tengono un banchetto per fare proselitismo, offrendo agli studenti curiosi che non hanno intenzione di riporre lo smartphone in una scatola in modo definitivo la possibilità di farlo solo per alcune ore, partecipando agli incontri al parco e ascoltando i dibattiti dei giovani “luddisti”. A Prospect Park si legge, si suona la chitarra, si disegna, si colorano i vestiti e ci si confronta su tutto: il futuro del club, la possibilità di estenderlo agli studenti universitari quando Lane e gli altri veterani prenderanno il diploma e inizieranno a frequentare il College, il senso dei social media e le scoperte che la disconnessione ha portato con sé. Butler ha raccontato al quotidiano statunitense di aver dato più valore ai rapporti e ha capito che la vera amicizia richiede impegno e presenza costante. Dopo aver abbandonato i social, alcune persone le hanno detto che non volevano più frequentarla o sentirla perché era troppo strano ricevere i suoi sms “colorati di verde”. Da allora ha investito più energie nei rapporti durante gli incontri “in presenza”, guardando in modo differente le amicizie che aveva coltivato su Instagram o TikTok. Lola, un’appassionata di “Into the Wild”, ha iniziato a scrivere un libro. Leggendo il romanzo di Krakauer ha imparato che la vita vera non si svolge nelle ore di lavoro o all’interno di spazi chiusi, ma all’aperto e insieme alle persone. Partecipare agli incontri del Luddite Club e abbandonare lo smartphone ha rappresentato per lei un viaggio simile a quello del protagonista del racconto, il nomade Chris McCandless, il quale comprese a sue spese che la felicità è vera solo se condivisa. 

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