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Guida Bardi
Home » Esteri

I curdi della Siria

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Nel mezzo della guerra civile, i movimenti curdi siriani stanno cercando di portare avanti le loro rivendicazioni

“Pensa che il Paese dove sei nato non esiste sulle mappe. Pensa che aspettando di lasciare questo mondo, hai dovuto lasciare il tuo villaggio a 4 anni, hai dovuto lasciare la tua città a 13 anni, il tuo Paese a 18 anni e il tuo continente a 25 anni”. Così si esprime il curdo Zirek, apolide ex-turco e regista del film Pari(s) d’exil.

Sono passati quasi tre anni ormai da quando l’ambulante di Sidi Bouzid in Tunisia, Mohamed Bouazizi si diede fuoco, diventando il simbolo delle “Primavere arabe”.

Vivendo nel cuore del Medio Oriente, quale atteggiamento hanno avuto i curdi durante questi ultimi anni? Le aspirazioni di questo popolo s’intrecciano oggi con i fermenti che attraversano la regione, alimentando nuove speranze per le loro rivendicazioni mai sopite.

In particolare in alcune recenti dichiarazioni il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk) ha affermato di essere pronto a creare uno Stato autonomo nel nord della Siria attraverso il suo ramo siriano, il Partito dell’Unione Democratica (Pyd), creato nel 2003.

Per capire l’operato di questi due partiti, bisogna tornare indietro di qualche anno e rintracciare alcuni passaggi importanti che hanno segnato le relazioni tra la Siria e la Turchia.

La Siria, non volendo riconoscere la sovranità della Turchia sul sangiaccato di Alessandretta – ceduto ai turchi dai francesi nel 1939 – ha per lungo tempo rifiutato di negoziare sul regime delle acque del fiume Oronte. Tuttavia, è sulla gestione del Tigri e dell’Eufrate che le tensioni sono salite.

Basandosi sul postulato “i nemici dei miei nemici sono miei amici”, la Siria sostiene la guerriglia del Pkk contro il governo turco, rischiando di raggiungere uno scontro diretto. Ma nel 1998, la sospensione di qualsiasi aiuto del regime siriano al Pkk e l’espulsione del suo leader Abdullah Öcalan da Damasco, migliorano le relazioni diplomatiche tra i due Paesi.

All’inizio della crisi in Siria, il governo di Ankara si avvicina all’opposizione siriana e ospita nel suo paese sia la sede del Consiglio Nazionale Siriano che quella dell’Esercito siriano libero (Esl), lasciando transitare combattenti e munizioni e suscitando nei curdi l’antico timore nei confronti dei turchi.

Da parte sua Assad, per assicurarsi il sostegno delle minoranze – elemento costante nella sua strategia – e per far fronte a una politica turca sempre più ostile nei suoi confronti, non solo concede la nazionalità siriana a 300 mila curdi ma farà evacuare, nel giugno del 2012, l’esercito regolare dal loro territorio. Risultato? Il Pkk tramite il Pyd prende il controllo della regione di Hasaka nel nord-est della Siria.

Ma tra i ribelli e il regime, i curdi da che parte stanno esattamente? Il gruppo etnico non arabo più ampio del Paese – circa 10-15 per cento della popolazione – si trova in bilico in un precario gioco di equilibrio. Da un lato i curdi non vedono di buon occhio la Coalizione nazionale siriana guidata principalmente dall’islam sunnita e sostenuta dalla Turchia. Dall’altro, temono le rappresaglie da parte delle forze di Assad. Non fidandosi di nessuno, i curdi esplorano una terza via: sfruttare la guerra in corso per porla al servizio delle loro rivendicazioni, il riconoscimento dei loro diritti e la conquista di un’autonomia finora negata.

Come? Superando le loro divisioni e chiarendo gli obiettivi. Unificare i curdi della Turchia, dell’Iraq, della Siria e dell’Iran. Questo è quanto è stato affermato ad esempio durante l’ultima Assemblea del Popolo del Kurdistan (Kongre-Gel) nei primi giorni di luglio. Tramite il loro Quartier Generale nella montagna di Qandil in Iraq, il Pkk vorrebbe controllare attraverso un comando congiunto non solo la Turchia, ma anche gli altri tre fronti.

Sebbene vi sia stato lo sforzo del leader del Kurdistan iracheno, Massoud Barzani, di promuovere un incontro nel luglio del 2012 tra le due principali forze politiche curde siriane, il quadro di riferimento della politica curda è tutt’altro che coeso.

In effetti, oltre al Pyd, nell’ottobre del 2011 è stato creato il Consiglio Nazionale Curdo. Un’organizzazione composta da oltre dieci partiti politici, sostenuta sia dal Governo Regionale del Kurdistan iracheno (Grk) che dalla comunità internazionale ma frammentata e non dotata di una struttura efficace. Di conseguenza, dopo violenti scontri con alcune forze jihadiste, il Pyd ha recentemente occupato la cittadina di Ras al-Ayn al confine con la Turchia, annunciando che entro 6 mesi si sarebbero tenute delle elezioni libere per formare un governo locale curdo.

Le conseguenze di questa dichiarazione sono molto importanti per quanto riguarda il negoziato di Ginevra. La soluzione della crisi siriana, infatti, passa necessariamente anche per la questione curda. Paradossalmente, tuttavia, sebbene gli scontri tra il Pyd e il Fronte al-Nusra abbiano favorito sia il regime che i ribelli dell’Esl, le prospettive di trovare un compromesso politico si complicano dal momento che entrambe le formazioni hanno dichiarato di volere creare, da un lato, un governo curdo e, dall’altro, uno Stato islamico nelle aree sottratte al controllo di Damasco.

Il destino dei curdi siriani, dunque, dipende dalle due principali ma contrapposte forze curde regionali: il Pkk turco e il Grk iracheno. Non a caso, proprio questa settimana Barzani ha ospitato i rappresentanti dei partiti curdi regionali per discutere dell’organizzazione di un congresso dove discutere i possibili sviluppi futuri.

Chissà se come per i curdi iracheni – i maggiori beneficiari del conflitto del 2003 – lo stesso avverrà per i curdi siriani. La Turchia con ogni probabilità tenterà di ostacolare il processo. “Non possiamo accettare una situazione basata su divisioni etniche o settarie, questo potrà solo accentuare il conflitto”, ha dichiarato il ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoglu.

Sullo sfondo di questi avvenimenti rimane il ricordo dello slogan utilizzato durante la manifestazione pacifica di venerdì 20 maggio 2011.

Azadi”, la parola curda di libertà.

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