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Home » Esteri

I Banksy di Teheran

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Nascosti dietro un tag, i writer iraniani ridipingono Teheran con la libertà dell'arte

A giugno scorso, mentre gli occhi del mondo erano puntati sul mondiale di calcio in Brasile, il governo iraniano ha proibito alle donne di guardare in pubblico le partite della nazionale per proteggerle dai comportamenti volgari dei tifosi maschi.

Nello stesso mese, il governo ha lasciato fuori dallo stadio, senza un ben precisato motivo, le tifose della nazionale iraniana di pallavolo maschile, le quali avrebbero dovuto assistere a un match della World League (campionato del mondo di pallavolo). Non sono mancate le contestazioni da parte delle donne fuori dallo stadio; due giornaliste sono state fermate dalla polizia.

In segno di protesta, qualche giorno più tardi, su un muro del centro di Teheran, qualcuno ha disegnato un murales che raffigurava una donna vestita con la casacca della nazionale di calcio iraniana, coperta da un velo nero, che alzava al cielo una bottiglia di detersivo per i piatti simile alla coppa del mondo.

Due settimane dopo, il dipinto è stato coperto con della vernice rossa dalle autorità comunali, ma stava già facendo il giro del web. L’opera portava la firma di Black Hand.

Nessuno conosce il suo volto. Qualcuno crede che dietro a questa firma ci sia un gruppo di artisti iraniani. Comunque sia, Black Hand è uno dei più prolifici writer di Teheran. È considerato “il Banksy dell’Iran”, da molti siti. Proprio come il più celebre collega britannico, usa la tecnica dello stencil, realizzata spruzzando vernice su una o più mascherine: tecnica che consente un’esecuzione particolarmente rapida. E come quelle di Banksy, le opere di Black Hand sono spesso a sfondo satirico e provocatorio, toccando argomenti quali la politica, la cultura e l’etica.

La street art iraniana sta avendo un vero e proprio successo dal 2009, anno delle proteste del Movimento Verde, nato contro la rielezione dell’allora presidente Mahmoud Ahmadinejad. Il carattere politico di molti murales illegali si scontra con quelli sponsorizzati dal governo, come “Down with the USA” – il murales che si trova a Karim Khan Zand Boulevard a Teheran – o quelli che raffigurano l’ayatollah Khomeini.

“Per disegnare sui muri devi chiedere l’autorizzazione al comune di Teheran e al proprietario della parete sulla quale vuoi dipingere”, dice l’artista e designer iraniano Mehdi Ghadyanloo, che finora ha realizzato più di cento opere. “A Teheran c’è un ufficio chiamato ‘Beautification Organization’ che ci paga per fare i murales. Ma questo non riguarda i graffiti, che sono illegali”, come recita l’articolo 92 della regolamentazione municipale della capitale. Le opere di Ghadyanloo, sponsorizzate anche dal governo, sono caratterizzate dall’uso della tecnica 3D e dei colori pastello.

Mehdi Ghadyanloo parla anche dei “3 a.m. painters”, i writer illegali di Teheran che dipingono di notte e di nascosto. Uno di questi è Ghalamdar. Oggi ventenne, ha iniziato a disegnare graffiti sui muri della metropolitana di Teheran nel 2006. I suoi lavori non hanno un carattere politico, ma come lui stesso spiega “disegnare sui muri è un’attività politica”. I suoi lavori si differenziano dagli altri writer perché non copiano lo stile occidentale ma si incentrano sull’uso dei caratteri della scrittura persiana.

“Se fai i graffiti in un altro Paese sei arrestato o multato per vandalismo. Qui a Teheran le autorità non sanno di cosa accusarti: la legge non è chiara a riguardo”, spiega Ghalamdar. “Mi potrebbero accusare di satanismo, disturbo della comunità o qualcosa del genere. E questo influenza negativamente la considerazione che la gente ha dei graffiti”.

I writer attivi a Teheran non sono più di venti; qualcuno ha avuto dei guai con la giustizia, nonostante non siano una categoria particolarmente oppressa dalle autorità iraniane.

A1one (Alone) è uno di questi. Considerato il pioniere della street art iraniana per la sua bravura a condensare la calligrafia persiana con lo stile occidentale, è conosciuto dalle forze dell’ordine di Teheran. Nel marzo del 2012 è stato rapito dai servizi segreti e detenuto per dieci giorni nel carcere più famoso della capitale, Evin Prison, perché accusato dal governo di Mahmoud Ahmadinejad di ricevere denaro da Israele per promuovere la cultura della street art. Ora vive in Germania.

Il mondo della street art iraniana è composto da una generazione che non ha vissuto la rivoluzione del 1979, non ha fatto la guerra contro l’Iraq (1980-1988) ed è figlia del Movimento Verde del 2009. Sta cercando nuovi modi per esprimersi ed emergere dal torpore di un Paese in cui la libertà di espressione è ancora limitata.

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