L’industria di Hollywood è ancora il regno degli uomini?
Secondo alcuni, l'industria del cinema statunitense è un inferno se non sei uomo, bianco ed etero
A due anni dal celebrato discorso di Patricia Arquette sull’uguaglianza dei sessi, che aveva sollecitato grandi speranze sulla parità di genere nell’industria cinematografica, le cose sembrano essere cambiate ben poco.
Nel 2016 il New York Times ha raccolto, nell’ambito di un’inchiesta sulle esperienze di donne e minoranze etniche a Hollywood, le testimonianze di attori, registi, manager, produttori e sceneggiatori. Il messaggio è chiaro: il mondo dello showbiz americano è dominato da uomini bianchi.
Nel periodo immediatamente precedente la notte degli Academy Awards dello scorso anno, si erano levate voci critiche che denunciavano il fenomeno dell’esclusione ricorrente delle altre etnie dal prestigioso premio, lanciando l’hashtag #OscarsSoWhite.
Ma, appunto, non sono solo le minoranze etniche a sentirsi escluse, le donne continuano a subire discriminazioni, e non solo quando si parla di cachet.
Da un lato, le donne sono valutate da uno sguardo sempre maschile solo in termini di avvenenza e sensualità, un’oggettificazione del corpo femminile che sopravvive alla lotta femminista di interpreti come la stessa Patricia Arquette, come l’iconica Meryl Streep e come Emma Watson.
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Ricordo il primo incontro con i produttori di Erin Brockovich, prima che Steven Soderbergh si unisse [al progetto]. Dissi: “Questa scena in cui lei balla in un pozzo con un mini bikini, non posso farla”. Mi hanno risposto: “Ma è successo veramente”. E io dissi: “Lo so, ma nel momento in cui ne fai un film, devi riesaminare tutto, quale sarebbe la funzione di questa scena?” Sentivo che non capivano, pensavano che non volessi farlo per pudore. E ho pensato, “No, non state ascoltando quello che sto dicendo. Steven e io eravamo in perfetta sintonia su come volevamo rappresentarla – la sensualità e l’anima allo stesso tempo – e non ho dovuto indossare un mini bikini e ballare in fondo a un pozzo.
(Julia Roberts, attrice)
Il dipartimento marketing voleva che Megan [Fox] facesse delle chat live con dei siti porno amatoriali, e io dissi: “Vi prego, non andare da lei a proporle questa idea, ne sarebbe molto amareggiata. Era affascinante avere una sceneggiatrice donna, una regista donna, attrici donne e il direttore esecutivo donna, ma poi in cima alla montagna c’erano tutti quegli uomini del marketing. È stato devastante.
(Karyn Kusama, regista del film Jennifer’s Body, 2009)
Non so dirti quante discussioni ho avuto sui set nei quali i produttori volevano cambiare il mio guardaroba, e io dicevo: “Aspetta, perché non chiedi [al co-protagonista uomo] di levarsi la camicia?” Nelle scene d’amore, la ripresa è sempre dal punto di vista di un uomo. Tutto questo mi fa infuriare terribilmente.
(Jurnee Smollett-Bell, attrice)
Poi c’è il problema dell’essere pagate molto meno dei colleghi uomini.
Per Carrie ho ricevuto metà del mio salario. È successo due volte. Ho una quotazione, e loro mi hanno detto: “Ti daremo la metà. Prendere o lasciare”. Sanno che se ti piace qualcosa sei disposto a prendere meno soldi. E questo non va bene per te e nemmeno per le altre donne, ma è sempre meglio [che non lavorare], ogni film che riesco a fare è importante. Alla fine dell’anno, dicono, quanti dei 100 top film sono stati fatti da donne? Quest’anno erano due: il mio e Frozen.
(Kimberly Peirce, regista)
Scoprire che un uomo con meno esperienza e meno apprezzamento della critica è stato pagato il doppio di me è stato uno schiaffo in faccia. […] a volte mi sento come se fossi in svendita.
(Effie Brown, produttrice)
Ma le donne sono anche enormemente sottovalutate, come se fosse impensabile per loro ricoprire ruoli associati agli uomini
Una volta abbiamo avuto una riunione con un tizio, non dirò di quale compagnia. […] Abbiamo parlato di sport, politica, di tutto, e quest’uomo ha avuto il coraggio di dire: “Quando arriva il tuo manager?” perché si aspettava un uomo bianco di mezza età. Gli ho fatto pagare dieci volte la tariffa.
(Shakim Compere, manager di Queen Latifah)
Come regista, mi sento come se fossi in un club per soli uomini. C’è ancora quel “Non ha la minima idea di cosa stia facendo”. Dovrebbe essere un complimento quando i membri della troupe dicono: “Sai quello che fai, wow! Conosci le lenti, o mio Dio, conosci le inquadrature?” Sì, so dove piazzare la cinepresa. Gli rispondi “Dici anche ai registi uomini ‘sono piacevolmente sorpreso che sappia ciò che fai’?”
(Eva Longoria, attrice, regista, produttrice)
E se qualcosa va storto, il problema è il genere.
So che se uno del mio team commette un errore, […] c’è sempre qualcuno che commenta: “Be’, è una donna”.
(Kimberly Peirce)
Ricordo che qualche anno fa avevo avuto seri problemi nella produzione di un film. Mi chiamarono da uno studio e in pratica sono stata fatta a pezzi in modo molto personale [da un dirigente uomo]. “Sei semplicemente il peggior produttore con cui abbia mai lavorato in tutta la mia vita”, disse citando solo altre produttrici. L’analisi si è ridotta immediatamente alle sole donne.
(Dede Gardner, produttrice)
Alla fine, racconta Katie Dippold, sceneggiatrice, si diventa molto attenti a cosa si dice
Penso molto attentamente a cosa sto per dire prima di dirlo, perché sento che è più probabile che risulti offensiva per il semplice fatto di essere donna e avere un’opinione forte su qualcosa.
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