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Ha vinto il lattaio dell’Ohio

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"Se prima o poi visiti l’Ohio, è come se avessi visitato tutti gli stati americani"

Ha vinto il lattaio dell’Ohio

“Mi sono trasferita in Ohio con mia madre e i miei nonni all’età di sei anni e so cosa significa vivere là”. Noelle Hile vive in California ed è specialista in visual merchandising. Ha lasciato Perrysburg, il tranquillo sobborgo di Toledo in cui è cresciuta, da ormai quattro anni. Ma ricorda bene la difficile vita là. “Molti amici sono entrati nell’esercito o si sono trasferiti in un altro stato. Pur avendo studiato non trovavano lavoro, o si dovevano accontentare di un impiego con un salario minimo”.

La sua è una fotografia a tinte fosche dello stato dell’ippocastano, capitale della “Rust Belt”, la cintura della ruggine. Il fulcro di quel cordone di stati un tempo fortemente industrializzati e oggi vittime della deindustrializzazione e della delocalizzazione del lavoro in Asia. Un’area vastissima che si estende dalla Pennsylvania orientale al nord dell’Illinois, passando sotto i Grandi Laghi. Il soprannome di “Rust Belt” quegli stati se lo sono guadagnati già negli anni Ottanta: disseminati di fabbriche abbandonate, da motore degli Stati Uniti sono diventati un’area in cui desolazione e degrado hanno affossato l’American Dream.

Anche a causa della situazione in cui versa il territorio, quest’anno più che mai l’Ohio è stato terreno di battaglia nella corsa alla Casa Bianca. Ma farsi capire dal lattaio dell’Ohio, quello che Montanelli amava citare per spiegare come dovrebbe scrivere un giornalista, è sempre stato importante. “As Ohio goes, so goes the Nation”, “come vota l’Ohio, così vota l’America”, recita un famoso detto. Se per i democratici questo è un comandamento da tenere a mente, per i repubblicani è una scelta obbligata: mai nessun candidato del Gop è diventato presidente senza convincere i 18 grandi elettori del Buckeye State. Certo, che l’Ohio sia lo stato più importante nelle elezioni presidenziali è un cliché non sempre vero. Nel 2000 decisiva fu la Florida. Nel 2008, invece, Barack Obama vinse con un netto margine nazionale. E a fare la differenza nel caso in cui avesse sofferto di un improvviso calo di consensi a fine corsa sarebbero stati il Colorado e l’Iowa. Ma in generale il detto ha tenuto fede alla sua fama.

L’Ohio ha una popolazione relativamente alta e gli stati più popolosi eleggono più “grandi elettori”. In secondo luogo, è uno swing state, uno degli stati “indecisi”, né a tendenza repubblicana, né democratica. Oscilla, bisogna tirarlo da una parte o dall’altra. Infine è uno straordinario microcosmo della nazione. Qui sono racchiuse le diverse anime degli Stati Uniti d’America: urbana, rurale, suburbana, democratica, repubblicana, industriale e agricola. Non a caso è considerato un “bellwether state”, che indica quale sarà la tendenza del Paese. Nelle ultime 12 elezioni infatti l’Ohio ha votato per il candidato diventato poi presidente. Dal 1896 ha fallito le sue “previsioni” solo due volte, quando scelse Thomas Dewey (1944) e Richard Nixon (1960) contro i democratici Franklin Delano Roosevelt e John F. Kennedy.

Le tante anime dello stato si scovano facilmente. È sufficiente scambiare quattro chiacchiere con le persone che incontri per strada. “Penso che Obama stia davvero cercando di fare qualcosa per questo Paese”, dice Nicole Mayhugh Schutt, 26enne aiuto dietista di Toledo. “Se così non fosse stato, non avrebbe salvato il settore automobilistico. Sta anche tentando di far tornare a casa le truppe che Bush continuava a spedire in giro per il mondo. E sta provando a riportare i lavori negli Usa dalla Cina, dove Bush li ha delocalizzati”. Nicole, neanche a dirlo, è una sostenitrice del Partito Democratico. Ma non tutti la pensano come lei. Malori Barr McCloskey, 25 anni, di Curtice, è repubblicana. Vive da vicino il problema della crisi delle industrie locali. “Mio marito lavora nel settore delle auto ed è stato licenziato più volte. Negli ultimi due anni non ha perso il lavoro spesso come in passato, ma inizia a temere che lo licenzino ancora. Non penso che la situazione, con Obama presidente, sia migliorata – continua – ma forse, essendo repubblicana, non sono obiettiva”.

Nonostante i pareri contrastanti della gente, dettati più dalle diverse fedi politiche che da dati oggettivi, i fatti parlano chiaro. In Ohio Obama, grazie agli aiuti governativi all’industria automobilistica in crisi, ha macinato sempre più consensi. In questo settore lo stato è secondo solo al Michigan e la scelta di Romney di opporsi agli aiuti non ha giocato a favore del candidato repubblicano. Anche i dati sulla disoccupazione sono venuti in soccorso di Obama. Nel mese di settembre, secondo i numeri diffusi dal Department of Labor, il tasso di disoccupazione è calato in sette stati chiave: Florida, Wisconsin, Colorado, Iowa, Nevada, North Carolina e Ohio. In quest’ultimo è calata dal 7,2 per cento al 7 per cento. Oltre all’industria automobilistica, in Ohio è fondamentale quella degli pneumatici. Un settore per cui Obama si è speso molto. Nel settembre del 2009 impose nuovi dazi triennali, per un totale di 1,8 miliardi di dollari, sulle importazioni di pneumatici cinesi. Scelta che ha rivendicato con orgoglio nel secondo dibattito contro Romney, ricordando come quest’ultimo si sia opposto alle misure protezionistiche. Obama con la sua azione politica ha saputo intercettare meglio i bisogni degli abitanti dello stato e il lattaio dell’Ohio l’ha premiato. È di nuovo lui il presidente degli Stati Uniti.

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