In Russia c’è chi dice Niet: la storia di C. prof dissidente in fuga dalla repressione di Putin e dalle sanzioni
È mattina presto, le luci rischiarano una San Pietroburgo da settimane immersa nelle proteste. C., docente e dissidente russa, è in viaggio verso l’aeroporto per lasciare il suo Paese senza sapere se e quando potrà farvi ritorno. Ha deciso di partire nell’arco di un paio di giorni concitati usando gli ultimi soldi ritirati dal conto, dopo che il numero dei suoi amici e conoscenti arrestati nelle proteste contro la guerra è aumentato a dismisura. Come lei, in queste ore, migliaia di studenti e lavoratori contrari all’invasione dell’Ucraina e sconvolti dalle sue conseguenze stanno abbandonando la Russia. C. è in attesa di imbarcarsi mentre risponde alle mie domande attraverso una chat segreta su Telegram, chiedendo di restare anonima. Da quando Putin ha invaso l’Ucraina riesce a malapena a mangiare e a dormire, come molti dei suoi connazionali sconvolti da quello che sta accadendo dentro e fuori dal confine russo. «Il fatto è che dal 24 febbraio la nostra vita si è totalmente divisa in prima e dopo, per sempre. Quello che sta succedendo ora non ha regole, nessuna spiegazione logica, nessuna giustificazione e nessuno era pronto per questo. Prima di tutto, dal punto di vista morale e psicologico».
Poche ore dopo l’invasione russa in Ucraina, C. e altre centinaia di migliaia di dissidenti sono scesi in piazza per protestare contro la decisione di Putin. «Siamo andati a Gostinyi Dvor, la fermata della metro dove si radunano i manifestanti contro la guerra a San Pietroburgo, senza alcun piano, solo per essere lì. Davanti ai nostri occhi, la polizia catturava brutalmente le persone e questo si è ripetuto più e più volte ogni giorno». A pochi metri da Gostinyi Dvor, nella mastodontica galleria commerciale dedicata allo shopping, proprio in questi giorni stanno scomparendo dalle vetrine marchi europei e americani a seguito delle sanzioni internazionali.
La docente in fuga racconta che nei giorni scorsi, mentre le proteste in Russia si allargavano a macchia d’olio, quotidianamente è cresciuta anche la repressione da parte del governo, culminata nella recente legge che punisce con il carcere fino a 15 anni chi si esprime contro la guerra, in qualsiasi forma ciò avvenga. Così basta uno striscione dal messaggio pacifista – «No alla guerra» – appeso fuori dalla finestra della propria camera per subire una perquisizione del proprio appartamento ed essere trasferiti in caserma. Non è raro, poi, imbattersi in capannelli di polizia che caricano sui furgoni gruppi di persone sulla via dell’università. Secondo C., le leggi sulla repressione del dissenso rappresentano un chiaro segno del panico che avvolge il governo di Putin, non solo a causa delle sanzioni e dell’isolamento internazionale, ma anche delle proteste interne. «Il governo – dice – vive in una dimensione surreale. Probabilmente ha davvero creduto in quella propaganda che promuove da tanti anni, ma oggi il suo sistema si sta sgretolando e sta compiendo gli ultimi folli tentativi per salvarlo. Le ultime leggi sulla censura, ad esempio, sono state fatte in modo assolutamente isterico e dimostrano quanto Putin sia in difficoltà a gestire la situazione»…
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