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Home » Esteri

Il piano di pace delle Lobby per l’Ucraina: ecco cosa prevede (e cosa c’è dietro) la proposta attribuita a Donald Trump

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L’ex segretario di Stato nonché direttore della Cia Mike Pompeo l’ha presentato in un editoriale sul Wall Street Journal. Ma è stato elaborato anche da un avvocato con vari interessi a Kiev

Un programma da 500 miliardi di dollari per l’acquisto di armi, il rilancio della Nato e l’ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europea. Sono alcuni punti del piano che Donald Trump potrebbe mettere in cantiere per «riportare la pace» in Ucraina. A presentarlo sulle colonne del Wall Street Journal è stato il suo ex segretario di Stato, e prima ancora ex direttore della Cia, Mike Pompeo, insieme al lobbista David J. Urban.

Gli obiettivi sono ambiziosi. Secondo i due autori, una seconda presidenza Trump metterebbe fine alla guerra in tempi brevi, grazie a una serie di misure che dovrebbero riuscire dove Biden non ha potuto mettere Putin con le spalle al muro. Questo grazie alla «forza» che un’amministrazione Trump riuscirebbe a far valere, in contrasto alla «debolezza» di quella democratica, che ha portato alla «distruzione di città, l’uccisione di migliaia di civili, milioni di rifugiati, senza possibilità di vincere».

Anche se non è chiaro ancora quanto il piano corrisponda alle intenzioni di Trump, da sempre restio a farsi dettare l’agenda, sembra rispecchiare il pensiero di almeno una parte dell’establishment repubblicano che lo sostiene. La preoccupazione è prima di tutto di rassicurare gli alleati dell’impegno di Trump, allontanando i sospetti di intelligenza con il nemico Vladimir Putin. Poi di ribadire che l’ex presidente intende dare una sterzata alla gestione del conflitto rimanendo nel solco delle alleanze storiche degli Stati Uniti, senza tradire la promessa agli elettori di un minore impegno economico e militare rispetto all’attuale amministrazione.

Allo stesso tempo il piano punta a rinvigorire la vecchia (ma mai del tutto scomparsa) politica trumpiana in Medio Oriente, votata al riavvicinamento tra Israele e Paesi del Golfo in funzione anti-iraniana, facendo leva sulla produzione energetica per indebolire la Russia. C’è infine un forte accento sulla produzione di armi e all’allargamento di Nato e Ue all’Ucraina per condividere con gli alleati «l’onere» del sostegno a Kiev. Le varie misure non hanno solo ramificazioni politiche, diplomatiche e strategiche ma anche più strettamente economiche. Molte infatti avvantaggiano imprese per cui lavorano i due firmatari dell’iniziativa.

Consonanza d’interessi
Secondo il giornalista investigativo Eli Clifton, nel pubblicare l’articolo il Wall Street Journal avrebbe omesso alcuni dettagli importanti. In primo luogo non ha reso noti i potenziali conflitti di interessi dei due autori.

A scrivere sono infatti un membro del consiglio di amministrazione di un’importante società di telecomunicazioni ucraina e il dirigente di un’influente società di lobbying di Washington, che rappresenta un membro del parlamento ucraino, una consigliera del presidente ucraino Volodymyr Zelensky e la seconda più grande società al mondo di armamenti, Rtx (ex Raytheon). Questi, secondo quanto scritto da Clifton sulla rivista Responsible Statecraft, sarebbero stati dettagli da non trascurare nel presentare Mike Pompeo e il suo coautore, David J. Urban.

Inoltre non è chiaro se il piano di cui scrivono sia riconducibile a Trump. Se cioè «Pompeo e Urban scrivano per conto di Trump o se anche l’ex presidente abbia visto il “piano”», riporta la rivista online del Quincy Institute for Responsible Statecraft, think tank specializzato nell’analisi della politica estera statunitense da un punto di vista realista.

Il Wsj attualmente descrive Urban come «managing director di Bgr Group e legale presso Torridon Law» e Pompeo come «segretario di Stato» dal 2018 al 2021. Secondo Clifton, andrebbe citata la presenza di Pompeo nel consiglio d’amministrazione della compagnia telefonica ucraina Kyivstar, annunciata lo scorso novembre. I cambiamenti che hanno portato all’ingresso di Pompeo nel cda, aveva spiegato all’epoca la capogruppo Veon in un comunicato stampa, «riflettono l’impegno di Veon nei confronti dell’Ucraina e per la ripresa e la ricostruzione del Paese». Veniva citato l’impegno di Veon a investire 600 milioni di dollari in tre anni nella ricostruzione dell’Ucraina e il lancio di un’iniziativa per spingere altre multinazionali a investire nel Paese. Parallelamente la società, nata in Russia dopo il crollo dell’Unione sovietica e diventata il 13esimo operatore telefonico al mondo, ha ricordato di aver lasciato il mercato russo nel 2023.

«Sono orgoglioso di unirmi a Veon e Kyivstar nel loro straordinario servizio al popolo ucraino fornendo connettività e servizi digitali essenziali nel campo della sanità, dell’istruzione, della crescita aziendale e dell’intrattenimento», aveva detto in quell’occasione Pompeo, complimentandosi con la capogruppo per il suo impegno nella ricostruzione dell’Ucraina. «È attraverso le imprese private e gli investimenti che l’Ucraina potrà garantire il proprio futuro economico e il proprio successo, e non vedo l’ora di contribuire a questo lodevole sforzo». L’adesione all’Unione Europea, riporta Responsible Statecraft, sarà quasi certamente vantaggiosa per Kyivstar, i cui interessi Pompeo è tenuto a difendere.

Per quanto riguarda l’altro autore dell’articolo, David J. Urban, da maggio 2022 la società da lui gestita rappresenta pro bono due cittadini ucraini di alto profilo. Si tratta del parlamentare ucraino Vadym Ivchenko e della consigliera di Zelensky, Elena Lipkivska Ergul. Quest’anno Bgr Group ha siglato un contratto da 120mila dollari per fare lobbying a favore di Rtx. Con un valore di circa 200 miliardi di dollari, l’ex Raytheon è considerata la seconda società di armamenti al mondo dopo Lockheed Martin. Da quest’ultima Bgr ha ricevuto 70mila dollari l’anno scorso, quando Rtx aveva invece versato 240mila euro. I dati sono della noprofit OpenSecrets.

Già ad aprile Reuters riportava che sia Rtx che Lockheed, erano pronte a trarre profitto dai 95 miliardi di dollari di nuovi aiuti approvati dall’amministrazione Biden. «Abbiamo molti ordini», aveva commentato il direttore finanziario di Rtx Neil Mitchill dopo il boom di ordini dovuto alle guerre in Ucraina e a Gaza, spiegando che l’azienda aveva già consegne arretrate per 77 miliardi di dollari. Anche in futuro Rtx, che produce il sistema di difesa missilistica terra-aria Patriot, e Lockheed, che produce la versione più recente degli intercettori che armano il Patriot, sarebbero tra i primi a beneficiare di un aumento delle spese nella difesa. Nella sintesi di Responsible Statecraft, entrambi gli autori potrebbero quindi guadagnare dal piano proposto sulle colonne del Wsj.

Sette punti
Pompeo e Urban tengono prima di tutto a smentire le accuse a Trump di scarsa fedeltà alla causa ucraina. «Non ci sono prove», sostengono, che Trump finirà mai per tagliare gli aiuti all’Ucraina, dare via il suo territorio e accordarsi direttamente con Vladimir Putin «per imporre una “pace” ignominiosa al Paese»: così vengono sintetizzati i passi che porterebbero a una «capitolazione» ucraina. Trump avrebbe invece dimostrato di saper difendere le ragioni di Kiev. Viene citata la decisione nel 2017 di superare il rifiuto di Obama di vendere di armi all’Ucraina, con la decisione di inviare armi come i missili Javelin «che hanno contribuito a salvare Kiev nei primi giorni dell’invasione russa», e il sostegno al presidente della Camera, il repubblicano Mike Johnson, durante le trattative per approvare gli aiuti militari.

«Per coloro che nutrono dubbi: l’ultima cosa che Trump vuole in un secondo mandato è un fallimento della politica estera che distragga dalla sua agenda interna e faccia sembrare il ritiro caotico di Biden dall’Afghanistan, al confronto, un successo», scrivono Pompeo e Urban.

Per arrivare alla vittoria, considerata fuori portata per l’attuale inquilino della Casa bianca, sarebbe sufficiente seguire un piano che i due autori hanno articolato in sette punti.

Al primo, Pompeo e Urban chiedono di «sprigionare il potenziale energetico degli Stati Uniti». I due sembrano invocare un forte aumento della produzione di energia, presumibilmente anche tramite combustibili fossili, anche se non lo scrivono esplicitamente. Si limitano a promettere che questo «stimolerà l’economia degli Stati Uniti, farà scendere i prezzi e ridurrà il budget di Putin destinato ai crimini di guerra».

L’attenzione poi passa al Medio Oriente, che potrà essere «stabilizzato» se si sceglierà di «ricostruire i legami con l’Arabia Saudita e Israele e lavorare insieme contro l’Iran». Questo dovrebbe insieme «alleviare» la crisi a Gaza e «aprire uno spazio» affinché i sauditi si uniscano agli Stati Uniti nel tentativo di imporre sui mercati condizioni che mettano la Russia in difficoltà. Poi si passa all’imposizione di «sanzioni vere alla Russia». Questo perché quelle imposte dall’amministrazione Biden, «buone sulla carta», in realtà sono «vuote». In particolare Pompeo e Urban contestano la pratica di esentare le banche russe per transazioni legate a scambi energetici.

Dopo i punti che riguardano in maniera più o meno diretta il mercato energetico, si passa ad altri che riguardano più da vicino la difesa e la spesa in armamenti. In primo luogo si dovrà «rafforzare» ulteriormente l’industria della difesa statunitense. «Non possiamo permettere alla Cina di raggiungere e superare gli Stati Uniti», scrivono, sottolineando che l’economia russa è più piccola di quella texana.

Poi è la volta della Nato, con il ritorno (aggiornato) di un vecchio pallino di Trump. Bisogna «far pagare agli europei la loro giusta quota. È giunto il momento di alzare l’asticella della spesa al 3 per cento del prodotto interno lordo dei Paesi membri», dal 2 per cento chiesto attualmente. Una proposta in linea con le indiscrezioni degli ultimi mesi su un possibile aumento, da parte di Trump, dell’obiettivo Nato sulle spese sulla difesa. Quando era presidente il magnate newyorkese aveva sorpreso gli altri leader chiedendo di raddoppiare il target fino al 4 per cento del Pil.

Il piano passa anche per un programma “lend-lease” da 500 miliardi di dollari per l’Ucraina. Il riferimento è alla legge “degli affitti e dei prestiti” con cui durante la seconda guerra mondiale gli Stati Uniti fornirono grandi quantità di aiuti militari ai Paesi alleati. «Invece di gravare i contribuenti statunitensi con altre spese, lasciamo che l’Ucraina prenda in prestito quanto necessario per acquistare armi americane per sconfiggere la Russia».

Infine sarà necessario «eliminare tutte le restrizioni sul tipo di armi che l’Ucraina può ottenere e utilizzare». Questo dovrebbe riportare l’Ucraina a una posizione di forza, così Putin, di fronte a un conflitto sempre più dispendioso, «capirà che la guerra deve finire».

Le condizioni di Donald Trump
Secondo Pompeo e Urban, bastano queste misure per consentire a Trump di fissare le condizioni di un accordo. La prima è quella di finire la guerra «immediatamente», senza il riconoscimento delle annessioni delle regioni del Donbass («non abbiamo mai riconosciuto l’incorporazione sovietica degli Stati baltici e negato il riconoscimento alla Germania dell’Est fino al 1974») mentre la Crimea dovrà rimanere demilitarizzata. 

Se la Russia rispetterà questi termini, l’Occidente revocherà gradualmente le sanzioni, che sarebbero rimosse completamente una volta che l’Ucraina sarà entrata sia nella Nato che nell’UE.

L’ingresso nella Nato deve avvenire «il prima possibile», in modo che tutti gli alleati europei siano coinvolti nel proteggerla. L’Alleanza atlantica dovrà a sua volta istituire un fondo di 100 miliardi di dollari per armare l’Ucraina (con la partecipazione degli Stati Uniti limitata al 20 per cento). Kiev sarà anche aiutata dai Paesi dell’Unione Europea che, dopo il suo ingresso, dovrà contribuire a modernizzare e sviluppare la sua economia. L’Ucraina potrà così ricostruire il Paese usando le riserve congelate della banca centrale russa e non «i dollari dei contribuenti statunitensi», dedicandosi anche a ricostruire le proprie difese «per impedire alla Russia di attaccare mai più».

Tramite queste disposizioni «e non le mezze misure dell’amministrazione Biden», sarà possibile mettere fine alla guerra, stabilire una pace duratura e «garantire che l’onere di mantenerla gravi sull’Europa».

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