Cosa aspettarsi dalla guerra in Ucraina nel 2025
Quando pensiamo a cosa aspettarci dal mondo in questo 2025, gli occhi di molti sono puntati sull’Ucraina, dove diversi fattori lasciano pensare che quello appena iniziato potrebbe essere l’anno di uno sforzo concreto verso l’interruzione delle ostilità iniziate nel febbraio 2022.
La situazione, però, è tutt’altro che scontata: per porre fine a una guerra serve un incrocio quanto mai delicato di diversi elementi. Serve una ragione valida per fermare le operazioni belliche per ciascuna delle diverse parti in causa, serve la disponibilità ad accettare condizioni che potrebbero richiedere sacrifici più o meno grandi da tutte le parti.
Donald Trump, che si insedierà come presidente degli Stati Uniti il prossimo 20 gennaio, ha speso l’intera campagna elettorale parlando della volontà di mettere sul tavolo un accordo che ponga fine alla guerra in tempi celeri. Tuttavia, come già detto, perché questo accordo possa avere luogo serve un incrocio di fattori non semplice e tantomeno scontato i cui esiti potrebbero essere imprevedibili in ogni senso: se c’è una cosa che la prima presidenza Trump ci ha insegnato, infatti, è che con lui alla Casa Bianca c’è da aspettarsi qualsiasi cosa.
Per parlare di pace, tuttavia, l’elemento chiave è uno prima di tutto: le condizioni. Ad oggi non vi sono piani di pace messi ufficialmente sul tavolo, per quanto la diplomazia si stia sicuramente muovendo sotto traccia: in mano all’opinione pubblica, tuttavia, vi sono solo ipotesi, indiscrezioni e retroscena. In questo senso, una possibile opzione sul tavolo trapelata è un congelamento delle attuali linee del fronte, tutelate da un contingente internazionale messo a guardia del cessate il fuoco, è uno speculare congelamento dell’adesione dell’Ucraina alla NATO per un tempo prestabilito. Un compromesso per cui Washington ha sicuramente gli strumenti per fare leva su Kiev, ma che non è detto trovi la totale accettazione da parte di Mosca.
Lato Russia, infatti, un nodo è che gli obiettivi della guerra in Ucraina sono sempre stati mantenuti vaghi: nel discorso in cui Vladimir Putin lanciava l’operazione militare speciale, infatti, parlò di “demilitarizzazione” e “denazificazione” dell’Ucraina. Due termini, soprattutto il secondo, che si prestano a più interpretazioni.
Per quanto Vladimir Putin abbia aperto alla possibilità di sedersi al tavolo con gli Stati Uniti, nei giorni scorsi il ministro degli Esteri Sergei Lavrov ha invece definito “inutile” una tregua in questo momento, una dichiarazione che non possiamo sapere se va vista come un modo per alzare la posta o una concreta mancanza di interesse, e ha aggiunto che auspica che Trump comprenda le ragioni che hanno portato alla guerra in Ucraina. Frasi che lasciano pensare che, mentre la guerra si avvicina ai tre anni, Mosca ritenga di poter ottenere, sul campo o in altra sede, risultati migliori di un congelamento della situazione attuale sul campo.
È verosimile aspettarsi che la Russia, infatti, voglia ad oggi non solo la formale annessione dei territori che controlla o addirittura delle regioni annesse unilateralmente nel controverso referendum del settembre 2022 non riconosciuto dalla comunità internazionale (parte delle quali sono sotto il controllo ucraino), ma anche un cambio di regime a Kiev che la riporti in qualche forma nell’orbita russa. Condizione quest’ultima molto difficile, se non impossibile, da accettare per l’Occidente, dopo le miliardarie forniture di armi inviate a Kiev. Henry Kissinger, nel 2014 sostenitore della cosiddetta “finlandizzazione” dell’Ucraina, nel 2023, poco prima di morire, ha invece detto come per la situazione attuale l’avvicinamento di Kiev alla NATO sia la soluzione migliore, per evitare di trovarsi un Paese ben armato grazie agli aiuti ricevuti e insoddisfatto. Al tempo stesso, ha anche detto che le condizioni di pace non devono portare la Russia a trasformarsi in una potenza insoddisfatta, per ragioni speculari.
In attesa di comprendere come potranno svolgersi le trattative, è giusto vedere la situazione attuale sul campo. La Russia da mesi procede nel Donbass a passi piccoli ma continui: per quanto non abbia preso il controllo di nessuna delle maggiori città, Mosca ha aumentato di molto il territorio controllato soprattutto nella regione del Donbass e in questo momento ha decisamente in mano l’iniziativa in questo momento. L’Ucraina, dal canto suo, tolta l’incursione nella provincia russa di Kursk non compie operazioni offensive rilevanti dalla fallita controffensiva dell’estate 2023. In questa situazione, aleggia una situazione di attesa: dell’ insediamento di Trump, di possibili trattative, di ciò che potrebbe accadere nel futuro prossimo in base al quale, le parti in causa, decideranno di conseguenza come muoversi.