Reportage TPI – Stop the war now: da Padova a Kherson, la carovana italiana di aiuti è (finora) l’unica operazione di pace per l’Ucraina
È partita per la quinta volta da Padova verso il fronte ucraino e ha raggiunto Odessa, Mykolaiv e Kherson. TPI ha seguito la marcia di 180 associazioni e 150 volontari impegnati da un anno a portare aiuti alle vittime. Per promuovere la diplomazia dal basso e la solidarietà trasversale
C’è un uomo che guida un pulmino a velocità sostenuta lungo una strada che non conosce, nel tratto che porta da Ternopil a Vinnycja, nel cuore dell’Ucraina. A bordo ha tre taniche di benzina e se non vuole perdere di vista il camper che lo precede deve districarsi tra checkpoint sorvegliati da giovani uomini in uniforme e strade a lungo dissestate. Ha già percorso 2.000 chilometri in un viaggio verso le regioni meridionali di un Paese che nell’immaginario collettivo significa una cosa sola: guerra.
Efrem Muci, romano di 39 anni, si sta alternando alla guida con gli altri volontari partiti dall’Italia a margine della carovana per la pace #StopTheWarNow diretta a Odessa, Mykolaiv e Kherson. Un progetto che predica la neutralità e promuove la diplomazia dal basso, coinvolgendo 150 volontari distribuiti su 30 mezzi carichi di oltre 20 tonnellate di beni di prima necessità. Hanno aderito 180 organizzazioni che rappresentano comunità ben distinte: dall’ARCI alla CGIL, dalla Comunità Papa Giovanni XXIII a Libera Contro le Mafie, passando per la Rete Italiana Pace e Disarmo e l’Arcidiocesi di Bologna.
Volti di pace
Ci sono facce note, come lo scrittore Erri de Luca, al suo undicesimo viaggio in Ucraina. E poi ci sono persone come Efrem, che di giorno lavora come operatore sociale e mediatore culturale, mentre di notte veste i panni del DJ che anima una delle serate disco anni ’90 più conosciute a Roma – Borghetta Stile. Neanche per lui è la prima volta in Ucraina e lo stesso vale per il mezzo che sta guidando. Esattamente un anno fa lo stesso pulmino era arrivato fino a Leopoli per aiutare a evacuare 300 ucraini, tra cui molti anziani con disabilità. «Non c’erano abbastanza carrozzine, durante le brevi soste in autogrill dovevamo trasportare le persone di peso per farle andare in bagno», racconta Efrem a TPI.
«Questo pulmino veniva utilizzato a Roma per un progetto di scolarizzazione dei bambini rom. Poi i fondi sono stati tagliati e diverse persone hanno perso il lavoro», prosegue Efrem dopo aver rallentato di colpo per attraversare l’ennesimo checkpoint. «Il camper che ci precede, invece, viene utilizzato nell’ambito del progetto “Strada Maestra” e fornisce assistenza alle persone senza fissa dimora. Loro vengono da noi e ci raccontano la loro storia. Cerchiamo di valorizzare le loro competenze e di non farle sentire sole».
Per chi partecipa alla carovana #StopTheWarNow la solidarietà è un atto trasversale, che non inizia certo in Ucraina. «È triste vedere che l’intero dibattito intorno alla guerra sia stato incentrato sull’invio di armi a Zelensky, quando ci sono tanti progetti come questo da portare avanti», afferma Giulio Saputo, un pistoiese 32enne che si è messo al volante per far riposare Efrem. Mentre guida, sul ciglio della strada si susseguono fortificazioni di fortuna, buche profonde mezzo metro circondate da sacchi di sabbia affastellati uno sopra l’altro, ricoperti da centinaia di frammenti di tessuto in colori diversi per rendere più difficile la geo-localizzazione satellitare.
Giulio insegna in un liceo della provincia di Roma a studenti che spesso rimangono fuori dalla bolla che i media e la politica contribuiscono a creare. «La scuola si è svuotata di ogni significato politico. Essere riuscito a presentare la carovana agli studenti come progetto umanitario è già qualcosa», sostiene il professore di lettere. «Anche se oggi in tanti pensano che sia una cosa altamente discutibile». Ci tiene a sottolineare che studenti e docenti – inclusi quelli precari – delle scuole in cui ha insegnato hanno organizzato una raccolta fondi per comprare beni alimentari e uno dei 25 generatori elettrici donati dalla carovana agli ucraini.
Niente e nessuno è al sicuro
La mancata conquista dei punti nevralgici del Paese, infatti, ha spinto l’esercito russo a cambiare strategia militare in corsa. Prendendo di mira l’infrastruttura civile al fine di far capitolare gli ucraini davanti al freddo, alla sete e al buio. Non a caso la prima tappa della carovana è Odessa, dove si celebra la consegna di un potente generatore da 200 KW all’ospedale pediatrico cittadino. Qui sono ricoverati un centinaio di bambini provenienti da tutta l’Ucraina. «I bombardamenti causano blackout che possono durare settimane intere», spiega ai volontari la direttrice Ludmila Burega. «Abbiamo bisogno dell’elettricità per far funzionare i nostri macchinari, soprattutto quelli del reparto di rianimazione».
Molti bambini soffrono di stress post-traumatico e anche lo staff locale è teso: basta che un volontario sollevi lo smartphone per immortalare l’occasione e Padre Piotr – direttore della Spes Caritas di Odessa – riporta subito tutti alla realtà. «Niente foto, vi prego», si sgola l’uomo. «Gli ospedali sono obiettivi sensibili. Guardate cosa è successo al reparto maternità di Mariupol». Nonostante i cavalli di frisia e gli ammonimenti di Padre Piotr, la situazione a Odessa sembra tranquilla, ma è soltanto il paradosso del teatro di guerra a bassa intensità: tre giorni più tardi il porto della città verrà colpito da uno sciame di 17 droni kamikaze.
A Mykolaiv la situazione è ancora più tesa. Circa metà della popolazione ha abbandonato la città quando i russi hanno approntato un’offensiva di terra. Non hanno fatto più ritorno, neanche quando l’esercito ucraino ha ripreso possesso dell’area e il fronte si è spostato 70 chilometri più a est, a Kherson. La città ha un aspetto spettrale, tantissime attività hanno chiuso i battenti e i segni dei bombardamenti sono ancora visibili.
Efrem, Giulio e gli altri volontari scaricano i pacchi arrivati dall’Italia presso una struttura che prima della guerra era una comunità di recupero per alcolisti. «Oggi accogliamo gente di ogni tipo. Ci sono donne e bambini che non vogliono vivere da soli per paura dei bombardamenti, ma anche persone che cercano aiuto perché hanno ricominciato a bere dopo aver perso il lavoro», dice Maksim Kovalenko, un rappresentante dell’amministrazione locale.
Bere è un problema serio a Mykolaiv, anche quando non c’è di mezzo l’alcol. Nei primi mesi del conflitto i russi hanno bombardato l’acquedotto e gli abitanti dovevano rifornirsi al fiume, racconta Maksim. A causa della mancanza di elettricità le pompe di benzina non funzionavano e ogni spostamento andava fatto a piedi, nel buio. Interi quartieri sono ancora senza acqua potabile e per questo la rete #StopTheWarNow ha finanziato 10 dissalatori che riforniscono 50mila persone in città.
Per ragioni di sicurezza soltanto una manciata di attivisti guidati da Gianpiero Cofano, il coordinatore della carovana #StopTheWarNow, raggiunge il fronte della guerra vero e proprio, Kherson, dove sono costretti a ripararsi per evitare i cecchini.
Dopo cinque giorni di marcia, la missione volge al termine senza essere gravata sulle casse dello Stato italiano ed è tempo per un ultimo appello lanciato da Silvia Stilli, presidente di AOI – Associazione ONG Italiane. «L’Italia spende lo 0,28% del PIL nel campo della cooperazione», afferma Stilli, ben lontano dall’obiettivo Onu che auspica una spesa dello 0,7% entro il 2030. «Tutto questo è ridicolo», sostiene la presidente di AOI, che per il suo impegno sul campo ha ottenuto la cittadinanza onoraria a Mostar, in Bosnia. Investire sulla cooperazione, secondo Stilli, «è una maniera “per essere più forti in politica estera, in Europa e nel mondo».