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Il piano di pace della Cina per l’Ucraina spiazza l’Occidente. Ora non ci sono più scuse: è ora di trattare con la Russia

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Credit: AP Photo/Andy Wong

Oggi i carri armati, domani forse gli aerei. Il blocco atlantico continua a fornire sempre più armi a Kiev per impedire la vittoria della Russia. Allontanando la fine del conflitto. Ma adesso con l’iniziativa di Xi, la Nato è a un bivio. È arrivata l’ora di trattare un cessate il fuoco

La Cina accende un cerino di speranza, annunciando un piano di pace proprio quando l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia entra nel suo secondo anno: Pechino, dichiara Wang Yi alla conferenza sulla sicurezza di Monaco, vuole «dare una chance alla pace» – e chissà se il capo della diplomazia cinese è conscio di citare John Lennon.

Le parole di Wang, però, cadono in un terreno non fertile: con diverse sfumature, tutti i leader che intervengono a Monaco si allineano al segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, che sprona «a dare all’Ucraina quello che chiede», cioè soprattutto armi: «l’opzione peggiore è che la Russia vinca», perché il presidente russo Vladimir Putin «non pianifica la pace, ma nuove offensive» e cerca «contatti con altri regimi autoritari come l’Iran e la Corea del Nord».

Per Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea il sostegno militare all’Ucraina va raddoppiato. Il G7 rinnova l’intento d’aiutare l’Ucraina «anche militarmente». Il cancelliere tedesco Olaf Scholz dice che l’Ucraina «è parte dell’Europa libera» e conferma l’invio dei tank: «Prima Putin capisce che ha fallito, prima la guerra finisce». Il presidente francese Emmanuel Macron pensa che l’Europa debba «armarsi, se vuole difendersi».

Rassegnarsi al conflitto?
In un articolo su Foreign Affairs, Dana Massicot, ricercatore della Rand Corporation, va alle radici del fallimento della Russia, che un anno fa pensava di fare un boccone dell’Ucraina, e spiega come il Cremlino stia correggendo i propri errori strategici e tattici. «La Russia – scrive Massicot – aveva un piano d’invasione che era crivellato da false premesse, scelte arbitrarie ed errori di pianificazione che si discostavano da principi chiave della dottrina militare russa». «Prima che la guerra in Ucraina cominciasse, l’apparato militare russo aveva diversi problemi strutturali ben noti, che precludevano la possibilità di condurre un’invasione su larga scala». Così, progressivamente, le forze russe sono passate, sul terreno, da un atteggiamento offensivo a un atteggiamento sostanzialmente difensivo, salvo magari attuare, nelle prossime settimane, un’offensiva di primavera, prima che l’Ucraina riceva dall’Occidente carri ed eventualmente aerei.

Massicot, però, avverte che gli errori iniziali della Russia e le successive correzioni apportate «non precludono né la sconfitta né la vittoria». A questo punto, dice, l’unica certezza è che, «se la Russia continua a mobilitare e se l’Ucraina continua a resistere ed i suoi alleati continuano a foraggiarla», «la guerra è destinata ad andare avanti».

Sul dato di fatto che, “rebus sic stantibus”, la guerra non possa che durare, si innestano «le ragioni per cui l’Occidente dovrebbe cambiare rotta in Ucraina» esplorate, sia pure in modo dialettico e dubitativo, sul Washington Post da Ishaan Tharoor.

Rassegnarsi alla guerra? Le centinaia di migliaia di vittime militari e le migliaia, forse già 10 mila, vittime civili dovrebbero convincerci che, ferma restando la condanna dell’invasione e il sostegno agli aggrediti, nulla ci esime, in quanto Occidente, democrazie, asseriti alfieri di valori di giustizia e libertà, dal cercare di porre termine nel più breve tempo possibile alla reciproca carneficina.

Dialogo impossibile?
Le Nazioni Unite, gli Stati Uniti e i loro alleati – Nato e non –, l’Unione europea non devono lasciare il compito della ricerca della pace ai buoni uffici di un presidente autoritario che non li rappresenta come il turco Recep Tayyip Erdogan, che comunque qualche risultato ha ottenuto – la pace del grano del 22 luglio, ad esempio – o alle preghiere finora inascoltate di Papa Francesco, che, proprio perché ha la priorità della pace, non trova sponde né a Kiev né a Mosca.

Ora, con il piano di pace di Pechino, non ci si può neppure più nascondere dietro la foglia di fico della Cina, che invece d’immischiarsi, se ne tiene fuori e, oggettivamente, aiuta la Russia a non accusare l’impatto delle sanzioni. Wang, a Monaco, recita le sure delle posizioni cinesi tradizionali: «Tutti i Paesi devono rispettare i principi di sovranità e di integrità territoriale. E non deve esserci, in questo, una doppia morale», un riferimento esplicito a Taiwan, con il no cinese ai separatismi.

Armi, munizioni, missili, ora i carri, domani forse gli aerei: tutto ciò tiene aperta la guerra e nega, giustamente, la vittoria alla Russia, ma non avvicina la pace. Che, pure, tutti sanno non potrà venire alle condizioni degli oltranzisti di Kiev. A colloquio con un gruppo di esperti, il segretario di Stato Usa Antony Blinken esprime il parere che il tentativo di Kiev di riprendersi la Crimea supererebbe «una linea rossa» per Putin e potrebbe innescare da parte di Mosca «una risposta imprevedibile».

A riferire estratti della conversazione, destinata a restare riservata, è Politico, che cita due persone presenti all’incontro. «Blinken ha dato l’impressione che gli Usa non considerino saggia una spinta per riconquistare in questo momento la Crimea», annessa dalla Russia nel 2014. «Ma non l’ha comunque detto in modo esplicito».

Le convinzioni attribuite a Blinken – e non smentite – s’intrecciano con quelle al Financial Times dal capo di Stato Maggiore degli Stati Uniti, generale Mark Milley: né l’Ucraina né la Russia sono in grado di vincere la guerra, che può finire solo al tavolo dei negoziati. Se è «praticamente impossibile» che la Russia conquisti l’Ucraina – «Non succederà. È pure estremamente difficile che le forze di Kiev riescano a cacciare quelle di Mosca dalle loro terre. L’esercito russo dovrebbe crollare».

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky replica, in un’intervista alla Bbc, che non cederà territori in accordi di pace, perché altrimenti «la Russia continuerebbe a tornare». Il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov torna a paventare che l’Occidente, nell’aiuto a Kiev superi «il punto di non ritorno». E Putin dà un segnale di percezione del pericolo abbandonando l’abitudine di muoversi con un suo aereo e adottando un treno corazzato, alla moda del tempo degli zar (o di Kim Jong-un). 

Se i militari sanno che né l’Ucraina né la Russia sono in grado di vincere la guerra e che il conflitto può solo finire al tavolo dei negoziati, perché i leader occidentali non ne traggono le conseguenze e non dedicano le loro energie a innescare una pace che sia giusta invece che a perpetrare la guerra? Tanto più che, per una volta, si troverebbero in sintonia con le loro opinioni pubbliche, d’accordo sulla condanna dell’aggressore e il sostegno all’aggredito, ma perplesse e preoccupate sull’opzione della “lunga guerra”.

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