Benvenuti nel nuovo disordine mondiale: così un anno di guerra in Ucraina ha stravolto gli equilibri globali
L’invasione russa ha dato l’ultima spallata all’assetto globale nato dopo il 1945. Ma quando le regole saltano, tutti si armano. Così un anno di conflitto in Europa ha cambiato la politica per sempre. E reso il mondo un posto più pericoloso
Il 24 febbraio 2022 non sarà ricordato solo come l’inizio della guerra in Ucraina, ma come il superamento di una linea rossa che ha aperto un vaso di Pandora che speravamo rimanesse chiuso per sempre. In un mondo in cui gli equilibri erano sotto molti aspetti l’avanzare per inerzia di una serie di linee e convenzioni tracciate alla fine della Seconda guerra mondiale, la spallata data dalla Russia con l’inizio di quella che Vladimir Putin annunciò come “operazione militare speciale” è stata sufficiente a mettere in crisi tali equilibri, forse in maniera definitiva. Da quel vaso di Pandora sono dunque usciti numerosi spettri, come la guerra di conquista o i timori del ricorso all’atomica, che confidavamo fossero finiti nel dimenticatoio e consegnati ai libri di storia una volta per tutte.
Se gli equilibri saltano, per i Paesi cresce il timore che la pace non possa essere garantita, non con la diplomazia, non con le formule che l’hanno tenuta in piedi fino ad ora. E il timore che ciò non basti più li porta a scegliere l’opzione del riarmo, anche a costo di superare certe convenzioni che sembrano più relegate al passato.
Non è un caso che da quel fatidico 24 febbraio abbiamo assistito a una serie di episodi che fino a poco tempo fa sarebbero risultati completamente impensabili. L’annuncio del riarmo di Giappone e Germania, la fine della neutralità militare di Finlandia e Svezia, ma anche l’adesione della Svizzera, il Paese neutrale per antonomasia, alle sanzioni contro Mosca, rappresentano tutte singoli aspetti di un più generale sconvolgimento di un ordine mondiale che ancora si reggeva su consuetudini di decenni fa. Ma non può passare nemmeno inosservato come fuori dal mondo occidentale vi siano numerosi Paesi che, pur nella condanna dell’aggressione russa, non si sono uniti alle sanzioni contro Mosca. Paesi che vedono di buon occhio la fine di un ordine mondiale a trazione statunitense in favore di uno multipolare, come quello promosso dai membri del gruppo dei Brics, di cui anche Russia e Cina fanno parte.
La rottura dei vecchi argini
Dal crollo dell’Urss in poi, hanno aderito alla Nato solo Paesi ex comunisti. La formale richiesta di adesione di Svezia e Finlandia ha rotto questa convenzione, in uno dei tanti segnali che mostrano come il superamento della linea rossa del 24 febbraio abbia rotto una serie di argini che sembravano insuperabili da decenni se non da secoli.
La neutralità finlandese era un retaggio della Guerra fredda. “Finlandizzazione”, soluzione che Henry Kissinger nel 2014 propose anche per l’Ucraina, era una parola che richiamava la situazione di Helsinki, costretta per tutta la Guerra fredda a una neutralità forzata che le ha permesso di mantenere la propria indipendenza ed evitare dissidi con l’Urss, con cui condivideva un lunghissimo confine. Crollato il blocco sovietico, la Finlandia è entrata nell’Unione europea, ma mai nella Nato. Idem la Svezia, la cui neutralità risaliva ai tempi di Napoleone, e il cui ruolo nel Baltico sarebbe in grado di influenzare gli equilibri nella regione.
Quando però questi due Paesi hanno visto che i precedenti paletti non garantivano più la pace, hanno deciso di rifugiarsi sotto l’ombrello protettivo della Nato e dell’articolo 5 che garantisce la mutua difesa dei membri dell’alleanza, venendo dunque meno a convenzioni storiche che solo il superamento di una linea rossa avrebbe potuto mettere all’angolo.
Le armi, quando il mondo sente che la pace non è garantita e l’ordine globale rischia di cambiare forma, sono viste agli occhi di molti Paesi come una forma di assicurazione. Ne è prova la Germania, con il governo di Olaf Scholz che ha annunciato un investimento di 100 miliardi di euro per rinnovare le proprie forze armate, ponendo fine a un atteggiamento storicamente prudente, mantenuto dalla fine del secondo conflitto mondiale. Le finalità di questo piano sono state rese chiare da un documento confidenziale firmato dal generale Eberhard Zorn, capo dello Stato maggiore della difesa tedesco, diffuso lo scorso novembre dal settimanale Der Spiegel, in cui viene manifestato il timore di un attacco contro la Germania senza alcun preavviso e la conseguente necessità di rendere l’esercito tedesco pronto ad affrontare una guerra in Europa, mettendo in secondo piano il focus delle missioni all’estero su cui si concentra da tempo.
Ancora più clamoroso sembra però essere un altro riarmo annunciato, quello del Giappone, un Paese che per la propria costituzione non può avere un esercito in senso stretto (le sue forze armate si chiamano infatti “di autodifesa) né un alto potenziale militare, anche qui come conseguenza del ruolo di Tokyo nella Seconda guerra mondiale. Il governo ha tuttavia approvato lo scorso dicembre un piano per raddoppiare la spesa militare nel Paese proprio per timore che in un mondo in cui la sicurezza si sta deteriorando, la nazione si trovi ad affrontare un confronto diretto con altri Stati dell’Asia orientale, come Cina o Corea del Nord.
Non è casuale che gli Usa guardassero da tempo al Pacifico come principale teatro degli sforzi di influenza politica e militare, con una Cina sempre più presente nell’area e i rischi concreti di un conflitto a Taiwan, ma lo scoppio della guerra in Ucraina ha costretto Washington a rimettere gli occhi sull’Europa orientale.
Ed è proprio nell’est Europa che c’è un altro protagonista di questa ridefinizione degli equilibri, che è la Polonia. Questo Paese è il più popoloso tra quelli che hanno aderito alla Nato dopo il 1997 e all’Ue dal 2004, e vive più di altri la vicinanza alla Russia come una minaccia. Scrive lo storico Timothy Snyder nel suo libro “Terre di sangue” che quando la neonata Unione sovietica e la Polonia appena ricostituita vennero alle armi nel 1919, in un periodo in cui in Europa prendevano piede le ideologie, per Varsavia l’ideologia era in primis la propria indipendenza. Per questo Paese, che nella storia si è trovato più volte vittima di spartizioni tra le potenze vicine, l’indipendenza è qualcosa di più di una condizione necessaria.
Questo ha contribuito a renderla il principale partner degli Stati Uniti nel fianco orientale della Nato, quello dove da anni l’Alleanza schiera migliaia di uomini per presidiare punti nevralgici dei confini con Russia e Bielorussia, come il famigerato corridoio di Suwalki, e non è un caso che dopo essere arrivato a sorpresa a Kiev proprio in Polonia Joe Biden si sia voluto recare nei giorni che marcano il raggiungimento di un anno dall’inizio dell’invasione.
Proprio la guerra in Ucraina ha portato Varsavia a investire ancora di più nella difesa, annunciando la volontà di portare tale spesa al 5 per cento del Pil e siglando un accordo da oltre un miliardo di euro con gli Stati Uniti per acquistare 116 carri armati Abrams. Ma non è solo una questione di potenza militare: in questo modo la Polonia, che sta costruendo un rapporto sempre più forte con Washington, si candida a essere un punto di riferimento fondamentale per Nato e Ue, tale da spostare a est il baricentro delle due organizzazioni, rischiando così di costruire un contraltare orientale all’asse franco-tedesco e marginalizzare i Paesi mediterranei.
L’altra metà del pianeta
Ma il blocco occidentale e i suoi alleati rappresentano solo una minoranza degli abitanti del pianeta. C’è un pezzo di mondo meno coinvolto nel conflitto in Ucraina ma che rischia di essere interessato dai sommovimenti di questo disordine mondiale. C’è la Cina, che da un lato difende l’integrità territoriale dei Paesi (con uno sguardo alla questione Taiwan), ma al tempo stesso non condanna l’aggressione militare russa in Ucraina, e per questo molti vedono come un Paese in grado di giocare un ruolo determinante nella vicenda, sia facendo leva su Mosca per porre fine alle operazioni che sostenendola attivamente, aumentando ulteriormente le tensioni.
Ma Pechino è prima di tutto un colosso negli equilibri globali che da tempo si batte per promuovere un mondo multipolare non più a guida statunitense, così come lo vorrebbero altre potenze, a partire dalla Russia di Vladimir Putin. Non è un caso che sia Pechino che Mosca fanno parte del gruppo dei Brics insieme ad altri tre Paesi, India, Brasile e Sudafrica, che allo stato attuale non si sono uniti nelle sanzioni contro la Russia. Tranne l’ovvia contrarietà di Mosca, inoltre, solo il Brasile ha condannato la guerra in sede di Assemblea generale dell’Onu, chiedendo il ritiro delle forze russe dall’Ucraina nella risoluzione ES 11/1, alla quale Cina, India e Sudafrica si sono astenute.
L’atteggiamento di questi Paesi non è passato inosservato e ha messo in crisi una narrazione che vedeva tutti i Paesi democratici dalla stessa parte nel blocco unico del “mondo libero”. E nel frattempo, mentre l’Occidente sta provando a ridefinire i propri confini non solo con l’allargamento Nato ma sviluppando nuovi formati come il gruppo di Ramstein sul sostegno a Kiev o la Comunità politica europea promossa dal presidente francese Emmanuel Macron, un’altra organizzazione che riguarda però prevalentemente il contesto asiatico ha attirato più attenzione del solito.
L’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai esiste infatti da oltre 20 anni ma il vertice dello scorso settembre a Samarcanda ha avuto gli occhi del mondo addosso. Con, tra gli altri, i leader di Russia, Cina, India e Turchia allo stesso tavolo si è assistito all’incontro di una serie di Paesi che puntano a ricoprire un ruolo globale attraverso specifiche sfere d’influenza geopolitica e che vogliono quindi contribuire a disegnare un nuovo ordine multipolare. Certo, parliamo di realtà diverse: la Turchia ha le sue ambizioni e continua a mantenere un dialogo con Mosca anche durante il conflitto ucraino, ma al tempo stesso è un membro della Nato. L’India fa parte insieme agli Usa del cosiddetto Quad, con cui Washington punta a contenere la crescente influenza cinese nella regione dell’Asia-Pacifico. Ma al tempo stesso, tutti vogliono un ruolo determinante nel mondo che verrà.
Un terreno inesplorato
Da un anno il mondo viaggia in un terreno inesplorato, proprio perché la guerra in Ucraina non riguarda solo Mosca e Kiev, ma ha stravolto convenzioni ed equilibri che andavano avanti da tempo. L’aumento delle armi e dei soggetti coinvolti in modo più o meno diretto aumenta sempre di più i rischi per la sicurezza globale. Non è un caso che il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres abbia affermato all’inizio di febbraio che le speranze di una pace in Ucraina stiano diminuendo e che abbia detto chiaramente di temere che il mondo si stia muovendo verso una guerra più vasta.
Sperando che questo rischio paventato non si concretizzi e che i rappresentanti delle potenze siano in grado di trovare una soluzione, è sempre più chiaro che il 24 febbraio 2022 non è stata una data come le altre. Il superamento di una linea rossa ha portato con sé uno stravolgimento di molti aspetti ed equilibri del mondo che conoscevamo: non sappiamo come né quando questa guerra finirà, ma è difficile immaginare che si torni al mondo di prima come se nulla fosse accaduto.