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Home » Esteri

Il tempo dell’insicurezza: dall’Ucraina a Gaza ormai a prevalere è la legge del più forte

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Credit: AP Photo

Il 24 febbraio 2022 resterà nella storia come il giorno dell’ultima spallata all’ordine globale post-1945. Il mondo non è più lo stesso dall’Ucraina al Medio Oriente

Il 24 febbraio 2022 è una data che non si può dimenticare facilmente, e non solo per ciò che è effettivamente successo – l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina -, ma anche per ciò che questo episodio ha rappresentato e tuttora rappresenta. Perché non si tratta semplicemente di un regolamento di conti tra due Paesi, né di una semplice questione territoriale circoscritta, ma di quella che ha costituito una spallata più forte che mai a un ordine mondiale che sembrava andare avanti per inerzia e, come tale, ha iniziato più che mai a vacillare.

Correva l’anno 2014 quando Papa Francesco, con un’affermazione drammaticamente inquietante quanto lucida, disse che il mondo stava vivendo una terza guerra mondiale a pezzi. Se la frase ha lasciato spaesati molti, forse, è più che altro perché “guerra mondiale” è un termine che utilizziamo convenzionalmente per due conflitti della prima metà del Novecento che vedono due blocchi contrapposti e non riusciamo ad applicarla a modelli e schemi bellici differenti. Eppure, in quell’anno, iniziava il conflitto del Donbass, la Russia annetteva l’Ucraina, l’Isis cominciava a dilagare tra Siria e Iraq, a Gaza era in corso l’operazione Margine Protettivo da parte dell’esercito israeliano, Boko Haram prendeva piede in Nigeria e a Bruxelles veniva compiuto un attentato contro il Museo Ebraico che sarebbe di fatto stato un drammatico apripista a un’ondata di terrorismo di stampo jihadista in Europa. Dieci anni dopo, la situazione è cambiata, alcuni conflitti sono sopiti e ne sono esplosi di nuovi, ma in generale in tutto il mondo la sicurezza sembra essere sempre più in fase di logoramento, un logoramento reso più rapido da quella spallata all’ordine globale avvenuta il 24 febbraio 2022.

Via d’uscita difficile
L’attacco della Russia all’Ucraina si configura in modo completamente diverso da molte guerre moderne: l’assenza di un preciso casus belli, obiettivi palesati generici e difficili da trasporre su un piano pratico, come la “denazificazione” o la “demilitarizzazione”, cui si aggiungono i riferimenti giunti da più parti di un’Ucraina strettamente connessa, se non parte integrante e inscindibile di una cultura russa. Affermazioni che ci lasciano supporre che l’obiettivo russo sia l’annessione di alcuni territori, a partire da quelli incorporati unilateralmente nel 2014 – la Crimea – e nel 2022 – le parti sotto il controllo di Mosca delle oblast di Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia – e un governo ucraino che riporti Kiev nell’orbita russa. Ma le supposizioni degli osservatori contano fino a un certo punto, e senza obiettivi palesati non è chiaro quanti passi indietro Mosca sia disposta a compiere in caso di un’ipotetica trattativa né a che punto sia pronta a interrompere le operazioni militari.

Ma l’anomalia della situazione rende complicata anche l’opzione diplomatica. Perché – poniamo ipoteticamente – congelare la situazione sul campo così come è oggi, anche lasciando all’Ucraina la libertà di scegliere un futuro che guardi alla Nato e riconoscendo alla Russia la possibilità di annettere i territori presi militarmente, potrebbe non essere una soluzione semplice, dal momento che creerebbe un precedente circa la possibilità per un Paese di annettere nuovi territori tramite un’operazione militare. Un accordo che magari potrebbe pure interrompere una guerra, ma rischierebbe di riaccendere numerose dispute territoriali e ambizioni irredentiste in ogni angolo del globo.

Incertezza globale
In questa situazione, dunque, non possiamo non fare alcune considerazioni su quanto stia avvenendo in altri teatri caldi del pianeta. Lo scorso autunno, un’offensiva dell’Azerbaigian poneva fine alla repubblica autoproclamata dell’Artsakh sulle alture del Nagorno-Karabakh. Dal 2022, dal Sudan al Burkina Faso, dal Niger al Gabon, il continente africano ha assistito a un numero particolarmente preoccupante di colpi di stato. In Medio Oriente, molti conflitti in corso non si sono mai del tutto sopiti e in quel contesto, il 7 ottobre 2022, Hamas ha eseguito la più violenta azione mai compiuta contro Israele, il quale ha risposto con la più violenta risposta militare mai messa in campo a Gaza. Uno scontro che non va però limitato al solo contesto della Striscia e delle aree limitrofe, dal momento che ha messo in moto un effetto domino che riguarda il Medio Oriente tutto, con la guerra per procura tra Israele e Iran sullo sfondo. E così la situazione al confine tra lo Stato ebraico e il Libano, dove sono attivi gli Hezbollah, è più calda che mai, gruppi sostenuti dall’Iran compiono attacchi contro basi occidentali in tutta la regione, compresa quella alla base Tower 22, in Giordania, che ha ucciso tre militari statunitensi scatenando una dura reazione di Washington, così come la situazione nel Mar Rosso, con i ribelli sciiti Houthi, legati all’Iran, che hanno iniziato a bersagliare le navi commerciali occidentali in transito in uno dei punti più strategici del traffico marittimo globale.

Una situazione esplosiva che non sembra destinata a chiudersi facilmente e che in un contesto di logoramento della sicurezza globale chiama altra insicurezza. Proprio di questo mese è un nuovo scontro al confine tra Armenia e Azerbaigian che ha allarmato Yerevan, col premier Pashinian che ha accusato Baku di volere una guerra totale. Nei Balcani la tensione tra Serbia e Kosovo intorno ai comuni kosovari a maggioranza serba rimane elevatissima. Lo scorso dicembre il Venezuela ha tenuto un referendum sulla volontà di riprendere il controllo della Guayana Esequiba, la parte occidentale della Guyana su cui Caracas rivendica la sovranità da decenni.

La domanda sul perché tutto questo stia succedendo adesso e non sia accaduto negli anni passati sembra portare a un’unica risposta, ovvero quel contesto di instabilità esploso nel 2022 con l’intervento militare russo in Ucraina. Ma allora la seconda domanda è d’obbligo. Perché la Russia ha deciso di iniziare quella che chiama “operazione militare speciale” proprio in quel momento, e non ad esempio nel 2013 o nel 2014, durante le proteste di Euromaidan o con l’inizio del conflitto in Donbass? Anche qui, possiamo solo fare ipotesi, ma non possiamo non ritenere casuale la tempistica rispetto al goffo ritiro delle truppe statunitensi dall’Afghanistan conclusosi nell’agosto 2021 e la fine dell’era Merkel in Germania con le elezioni del settembre dello stesso anno. La Russia ha forse pensato di trovarsi di fronte a un Occidente debole e diviso come non mai, che avrebbe preso provvedimenti flebili che per Mosca sarebbero risultati accettabili. Non abbiamo idea di cosa succederà nel futuro in questo terreno inesplorato, ma la risposta arrivata nel febbraio 2022 è stata probabilmente più ferma di quanto preventivato.

Lo stallo sul campo
Dopo due anni di guerra in Ucraina, le minacce alla sicurezza globale non sono solo quelle legate agli altri teatri bellici, ma anche al conflitto stesso, che con il tempo che passa e il coinvolgimento più o meno diretto di un numero sempre maggiore di soggetti rischia di portarsi in una situazione sempre più complessa.

Dopo due anni di guerra, dopo un 2022 caratterizzato da una rapida avanzata russa in varie direzioni senza tuttavia riuscire a catturare Kiev, e dopo una serie di efficaci controffensive ucraine tra l’estate e l’autunno, l’intero 2023 è stato caratterizzato da una situazione di stallo in cui la linea del fronte ha subito modifiche solo marginali. La complessa situazione già descritta, che non sembra lasciare vie d’uscita semplici da questo conflitto, non ha lasciato al momento particolare spazio alla diplomazia nemmeno durante le forzate pause invernali.

Dal lato occidentale, il pesante invio di armi e mezzi moderni a sostegno di Kiev ha aiutato non poco l’esercito ucraino, ma non è stato sufficiente a fornirgli una vittoria decisiva. Dal lato russo, nemmeno sono arrivati risultati in grado di decidere la guerra, e per ovviare alle perdite si è rivolta a Iran e Corea del Nord per la fornitura di armi e alla compagnia militare Wagner per gli uomini, in quest’ultimo caso creando di fatto un esercito parallelo a quello regolare che, nel giugno 2023, ha provato a marciare su Mosca contro i vertici militari, finendo per venire sconfitto, assorbito nell’esercito e vedendo l’epilogo della vicenda con la misteriosa morte del suo fondatore Yevgeni Prigozhin. Un altro elemento che mostra come il progressivo coinvolgimento di nuovi soggetti crei ulteriori minacce alla sicurezza.

A due anni dall’inizio della guerra, dopo investimenti militari ingenti e con una nuova politica energetica in via di definizione per lo stop alle materie prime russe, molti Paesi occidentali si chiedono per quanto la situazione possa andare avanti. Una situazione in parte emersa dallo scherzo telefonico dei comici russi Vovan e Lexus a Giorgia Meloni, ferma sostenitrice della linea a sostegno di Kiev che si è lasciata sfuggire come nel mondo occidentale ci sia una certa stanchezza verso il conflitto. Il tutto, mentre si attende l’esito delle elezioni americane del prossimo novembre, con la possibilità di una vittoria di Donald Trump che ha caratterizzato la sua passata presidenza all’insegna di una totale imprevedibilità, come lasciato intendere dallo stesso Vladimir Putin ai microfoni del giornalista americano Tucker Carlson. Ma in questa imprevedibilità, molte volte Trump ha lasciato intendere la possibilità di un disimpegno statunitense in Ucraina, fatto che a prescindere dall’esito del voto di novembre potrebbe influenzare l’operato del presidente Joe Biden nei prossimi mesi.

Proprio Trump ha fatto molto discutere recentemente con un’affermazione sul futuro della Nato che non possiamo sapere fino a che punto possa essere una provocazione, in cui ha lasciato intendere che Washington non sarebbe disposta a difendere i Paesi dell’alleanza che non stanziano il 2 per cento del loro Pil per la difesa e che anzi, inviterebbe la Russia a fare verso quei Paesi ciò che crede. Affermazioni definite inaccettabili dal segretario generale Nato Jens Stoltenberg.

I timori dell’Est Europa
Ma se alcune affermazioni mostrano una stanchezza di alcuni Paesi verso la guerra in Ucraina, non si può dire la stessa cosa per il fianco est della Nato, che si sente minacciato in modo più diretto da possibili azioni russe. In questo mondo sempre meno sicuro, in assenza di un equilibrio e con una diplomazia sempre più in crisi, armarsi sembra l’unico modo per provare a garantire la propria sicurezza. E se la Finlandia e la Svezia, in barba alla neutralità storica, chiedono l’accesso alla Nato (alla seconda manca solo l’ok ungherese), se la Polonia sceglie di portare le spese della difesa al 5 per cento del Pil, i timori in quel pezzo di mondo non riguardano solo quello che succede in Ucraina.

Da alcuni mesi, infatti, la Bielorussia, che già ospita un importante contingente russo ed è stata una base per l’invasione ucraina nel febbraio 2022, ospita testate nucleari fornite da Mosca. Un fatto che ha allertato i vicini a partire da Polonia e Lituania, che condividono quello che molti ritengono il confine più pericoloso della Nato, il famigerato corridoio di Suwalki, mentre l’Estonia proprio negli ultimi giorni ha allertato sul rischio che Mosca si stia preparando nel prossimo decennio a uno scontro militare con l’Occidente. E mentre la Moldavia, un piccolo Paese fuori dalla Nato ma che da anni guarda a ovest e deve fare i conti con la questione della Transnistria, da due anni è in massima allerta e lo scorso ottobre ha addirittura oscurato alcuni siti parlando apertamente di “guerra di informazione” russa nel Paese. In poche parole, mentre nell’Europa occidentale la guerra sembra talvolta una cosa congelata e distante, a est c’è una schiera di Paesi che teme che la caduta dell’Ucraina possa portare, a torto o a ragione, a un effetto domino che li riguardi direttamente.

In tutto questo non bisogna però smettere di pensare anche a quale sarà il futuro dell’Ucraina, che oggi affronta molte divisioni interne, con Volodymyr Zelensky che ha recentemente sostituito il generale Valeri Zaluzhny con Oleksandr Syrsky. Un Paese che, nonostante le differenze di vedute, l’Occidente non sembra potersi permettere di abbandonare, soprattutto dopo il sostegno offertole in questi due anni. Tra le ultime prese di posizione di Kissinger, che nel 2014 propose la cosiddetta “finlandizzazione” dell’Ucraina, c’è quella secondo cui in nome della sicurezza occidentale Kiev, oggi, dovrebbe entrare nella Nato: il rischio che la guerra finisca con un risultato che lasci sia l’Ucraina che la Russia insoddisfatti è concreto, e un battitore solitario ben armato potrebbe aumentare i pericoli anziché diminuirne.

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