Guerra Turchia curdi: diario dalla Siria – 4 novembre
Di Benedetta Argentieri, inviata per TPI nel Rojava
Zau Seng, uno dei Free Burma Rangers, era uscito dall’auto, stava riprendendo l’avanzata delle truppe turche, a 3 chilometri da Tell Tamer.
Erano le tre del pomeriggio quando, all’improvviso, un botto a dieci metri di distanza. Un drone armato turco ha mancato l’obiettivo di pochissimo, ma per Seng non c’è stato nulla da fare.
Le schegge del missile MAM-C si sono conficcate nella schiena e sul collo. “È morto all’istante”, racconta Dave Eubank, fondatore del gruppo americano che si occupa di primo soccorso sui fronti di guerra.
Ferito nell’attacco anche Mohammed, il conducente del veicolo, cittadino iracheno, trasportato all’ospedale di Hasakah. Seng, originario del Myanmar, è morto nel giorno del primo compleanno di sua figlia.
“So che è felice e continua a ridere, come se la rideva sempre, ma siamo tristi perché il mondo è più vuoto senza di lui”, scrive in un comunicato Eubank, che aggiunge di voler continuare il lavoro nella zona. “Non ci fermiamo”.
Mentre sta calando il sole all’ospedale di Tell Tamer c’è sgomento e tristezza. Il gruppo in queste settimane ha lavorato costantemente. Si spingono sulla linea del fronte per cercare di portare via i feriti.
Pochi giorni fa in un’intervista Eubank raccontava di aver salvato una donna che era rimasta intrappolata dai miliziani turchi. Le Forze Democratiche Siriane hanno ringraziato i Free Burma Rangers pubblicamente.
Seng è una delle tante vittime dei droni di Ankara che in questo conflitto la fanno da padroni. Infatti la maggior parte delle vittime (il 90 per cento) è causata da attacchi aerei. Le milizie non combattono, guadagnano terreno grazie alla copertura aerea.
Il gruppo aveva ricevuto diverse minacce online dai simpatizzanti delle milizie turche proprio per il lavoro umanitario e soprattutto per aver continuato a raccontare cosa accadeva sul terreno mentre ci doveva essere un cessate il fuoco.
I video di Dave, ripresi da Seng, che raccontavano come la Turchia colpisse civili inermi, avevano fatto il giro del mondo. I loro veicoli sono ben riconoscibili e non confondibili con quelli dei combattenti.
La Turchia continua a spingere anche al di fuori della cosiddetta “zona di sicurezza”. Attacchi aerei e droni. Si aspetta una soluzione politica che sembra tardare ad arrivare mentre le potenze mondiali si spartiscono il territorio che fino a un mese fa stava cercando di costruire un percorso democratico e, dopo la vittoria su Isis, sembrava poterci riuscire davvero. Un sogno sfiorato, la pace era proprio li, quasi a portata di mano.
Oggi, a ovest c’è la Russia, a est gli Stati Uniti. In mezzo la Turchia che però non si accontenta e vorrebbe sempre di più. Schiacciata da queste dinamiche geopolitiche c’è la popolazione del Nord Est della Siria, e del Rojava.
Ci sono i curdi e quell’utopia di poter riuscire ad avere un territorio in cui vivere insieme con arabi, siriani, yazidi, in un sistema rivoluzionario. Ma questa è una guerra tutta alla rovescia, dove ogni giorno ci sono colpi di scena e riposizionamenti. Giravolte e tradimenti.
E soprattutto in cui non si sa che cosa succederà l’indomani. L’unica cosa certa è che se non si troverà una soluzione, sempre più innocenti rimarranno uccisi.