Diario di TPI dal Rojava: “Trump ha dato il via libera alla più atroce pulizia etnica del 21esimo secolo”
Il racconto del conflitto dall'inviata sul campo di TPI, Benedetta Argentieri
Guerra Turchia-curdi: diario dalla Siria – 21 ottobre
Nei video pubblicati su Telegram si vedono corpi in abiti civili inermi a terra, bande di uomini barbuti entrare nei negozi della via principale di Serekanye e cominciare il saccheggio.
La notizia che da giorni tutti si aspettavano è arrivata intorno alle 17.40 ora locale. “Tutti i nostri combattenti si sono ritirati”, annuncia Gabriel Kino, portavoce delle Forze Democratiche Siriane. La resistenza di Serekanye capitola dopo 12 giorni.
I combattenti e le combattenti delle FDS non hanno avuto altra scelta che uscire dalla città accompagnati da un convoglio di circa 50 ambulanze. Erano circondati, questa era l’ultima opportunità. Nessun giornalista o civile è potuto entrare con loro.
“La situazione era molto critica”, spiega a TPI Dave Eubank dei Free Burma Ranger, una compagnia privata militare americana che si muove in zone di guerra e nei maggiori disastri umanitari come medici al fronte.
Una decina delle ambulanze presenti erano le loro. Mentre passavano i checkpoint uomini con uniformi militari urlavano “Allah Akbar” (Dio è grande) il grido tipico dei jihadisti sui campi di battaglia. Quando sono arrivati hanno trovato una città martoriata dalla guerra.
“Mi sono commosso almeno tre volte, sono dovuto entrare in un negozio perché non riuscivo a trattenere le lacrime”. Neanche lui riesce a spiegarsi il voltafaccia della Casa Bianca agli alleati curdi. “Un tradimento, quello che sta accadendo è immorale”. Quando sono usciti dalla città tutti si sono messi a piangere.
Per i curdi Serekanye è sempre stata un simbolo. Nel 2012 è stata la prima città a liberarsi dalle truppe islamiche che avevano preso il sopravvento sul Free Syrian Army, un’accozzaglia di milizie che hanno combattuto contro Assad ma che in realtà fin dagli albori hanno avuto tendenze jihadiste.
Molti di loro sono passati a combattere con lo Stato Islamico e viceversa. La bandiera è simile a quella siriana ma ha tre stelle anziché due. La stessa che ora sventola sulla città. È quasi impossibile da credere ma dopo sette anni Serekanye è tornata in mano ai radicali islamici scatenati dal presidente turco Erdogan.
La Turchia ha infatti supportato le milizie con l’artiglieria pesante e l’aviazione. Per i curdi non c’è stato nulla da fare, nonostante le capacità militari sul campo siano di gran lunga superiori.
Così i vertici delle FDS non hanno avuto altra scelta che chiedere agli Stati Uniti di negoziare un cessate il fuoco dichiarato venerdì notte e mai veramente rispettato se non per poche ore negli ultimi due giorni. Infatti non appena le ambulanze si sono allontanate si è ricominciato a sparare. Secondo i testimoni la città è semi-distrutta.
A Serekanye le case sono basse, quasi tutte hanno cortile interno con alberi e fiori. Si conoscono tutti in città e nelle sere estive si andava a prendere il gelato sulla via principale. Si contendeva il primato del gelato più buono del Rojava con Amude, altra città sul confine.
Oppure nei caffè all’aperto dove si poteva fumare il narghilè e mangiare un kebab avvolti in un giardino. Durante le festività i bambini giocavano a guardie e ladri, o meglio a combattenti contro islamisti, per le vie della città con pistole giocattolo comprate alle bancarelle.
Durante la scorsa estate, sul centro era stata costruita una lunga tettoia di alluminio per proteggersi dai possibili attacchi. “Così quando prendono la mira non vedono cosa colpiscono”, raccontavano i cittadini. Alla fine è servita a poco.
Tutti sapevano che un attacco era possibile. Le case più a nord sono a pochi metri dal confine delineato da un lungo muro di cemento. La presa di Serekanye arriva nella giornata in cui centinaia di veicoli militari americani hanno passato il confine con l’Iraq.
Non andranno a casa ma staranno solo al di là del confine. L’ennesima scelta che fa infuriare. Non bastano le foto dei soldati americani indossare le insegne dello YPJ, le Unità di Protezione delle Donne, o i segni di smarrimento degli stessi militari.
Gli Stati Uniti hanno abbandonato i loro alleati a un destino crudele dopo aver promesso, giurato e scongiurato che non li avrebbero lasciati soli. Eppure così è stato. Le TFSA, l’acronimo usato per le milizie addestrate da Ankara e già utilizzate nell’operazione ad Afrin nel gennaio 2018, sempre zona curda, si stanno macchiando di crimini di guerra.
Esattamente come è successo ad Afrin, stanno saccheggiando e uccidendo indiscriminatamente. “Trump ha dato il via libera alla più grande operazione di pulizia etnica del 21esimo secolo” ha dichiarato in serata Mozloum Abdi, comandante delle FDS. Il tutto sotto lo sguardo della comunità internazionale.
Mozloum ha poi accusato la Russia di essersi già accordata con la Turchia. E nel frattempo, in serata, è già cominciato un nuovo attacco nelle campagne di Kobane, altra città simbolo della resistenza curda. I video su Telegram sono già pronti.