Icona app
Leggi TPI direttamente dalla nostra app: facile, veloce e senza pubblicità
Installa
Banner abbonamento
Cerca
Ultimo aggiornamento ore 18:06
Immagine autore
Gambino
Immagine autore
Telese
Immagine autore
Mentana
Immagine autore
Revelli
Immagine autore
Stille
Immagine autore
Urbinati
Immagine autore
Dimassi
Immagine autore
Cavalli
Immagine autore
Antonellis
Immagine autore
Serafini
Immagine autore
Bocca
Immagine autore
Sabelli Fioretti
Immagine autore
Guida Bardi
Home » Esteri

A che punto è la crisi in Medio Oriente

Immagine di copertina

Per comprendere il conflitto mediorientale bisogna guardare alle alleanze religiose e politiche, più o meno dichiarate. L'analisi di Massimiliano Fanni Canelles

Per comprendere l’eterno conflitto in Medio Oriente, in particolare la guerra in Siria, è necessario esaminare le alleanze religiose e politiche – più o meno –dichiarate nella regione.

— Questa notizia puoi leggerla direttamente sul tuo Messenger di Facebook. Ecco come

Lo scenario nella regione

Per semplificare, si può dividere il Medio Oriente in due territori virtuali. La mezzaluna sunnita composta da Qatar, Turchia e Arabia Saudita è sostenuta fino alla presidenza Obama da Stati Uniti e Israele. La mezzaluna sciita, composta dall’Iran, dall’Iraq del premier sciita Haider al-Abadi, dalla Siria di Bashar al-Assad e dal partito libanese Hezbollah è sostenuta dalla Russia.

Elementi fuori dal coro sono Turchia, Egitto e Libia. Quest’ultima vive in un perenne stato di caos, anche per l’intervento militare di diversi paesi occidentali e arabi nel 2011. La presenza del sedicente Stato Islamico ha reso lo scenario ancora più complicato e ha evidenziato le divisioni nello schieramento del premier libico Serraj.

Un rapporto dell’International Crisis Group spiega che l’accordo di Skhirat, firmato a dicembre 2015 in Marocco per la pace in Libia, non è stato in grado di risolvere le lotte interne ma si è limitato a riconfigurarle.

In Egitto dopo tre anni di presidenza di al-Sisi, la situazione economica nel paese è diventata sempre più drammatica. L’opposizione è bloccata dagli arresti di massa. In carcere ci sono 60mila oppositori politici. Con l’arrivo della giunta militare in alcune zone, come nella penisola del Sinai, vivere in sicurezza è sempre più difficile e l’lsis prende sempre più terreno.

La Turchia, membro Nato, è il cuscinetto dell’Unione europea con il mondo islamico ed è quindi il paese più importante per il nostro continente. Costretta, per questioni di geopolitica, all’ambiguità, ha dovuto dialogare con tutti i suoi infuocati confini: la Siria sciita e quella sunnita; i terroristi controllati dall’Isis e Al-Qaeda; la Russia e le repubbliche filorusse; i gruppi curdi e armeni che rivendicano sovranità; e l’Unione europea e gli Stati Uniti, come elementi fondanti della Nato di cui fanno parte.

Per cercare di sopravvivere in questo ginepraio, ma anche nel tentativo di seguire le mire di potere del suo presidente Erdogan, la Turchia si è schierata contro il regime siriano di Bashar al-Assad. Ha finanziato e armato l’Esercito libero siriano (Els) considerato tra i meno radicali. Ma nel tentativo di combattere i curdi siriani ha anche favorito lo Stato islamico, permettendo il passaggio di armi e foreign fighters. 

I rapporti tra Turchia e Stato Islamico sunnita sono ora completamente cambiati. Da una reciproca tolleranza si è passati a un’aperta ostilità, come ha dimostrato l’attentato di capodanno.

Ma alla resa dei conti potrebbero essere anche le forze interne. L’elettorato del presidente Erdogan è stretto fra la maggioranza sunnita, che mal vede un coinvolgimento del governo in alleanze sciite, e i gruppi indipendentisti curdi sempre più forti nell’ottenere consenso internazionale. Per questo sarà determinante il referendum del 16 aprile 2017 in cui viene chiesto al popolo di scegliere se passare dalla democrazia parlamentare al presidenzialismo, che rafforzerebbe la deriva autoritaria. 

Il conflitto con il sedicente Stato Islamico

Nel frattempo l’Isis è sotto attacco in Siria, a Raqqa, dalla coalizione statunitense e curda, in collaborazione con le truppe russe e turche. Mentre in Iraq, a Mosul, sono attive le forze irachene con i peshmerga curdi e le milizie sciite e sunnite dell’esercito iracheno. Le forze che combattono insieme contro lo Stato Islamico sono tutt’altro che unite.

La tensione tra l’Iraq sciita e la Turchia sunnita per la diffidenza reciproca in un azione militare congiunta rischia di complicare e rallentare l’operazione. Senza contare l’assoluta incompatibilità fra l’esercito turco e le milizie curde, e fra le stesse milizie curde, quelle turche e irachene.

Ma anche se l’Isis cadrà militarmente, i presupposti alla sua esistenza non svaniranno facilmente. Dopo che le forze russe e quelle di Assad hanno preso il controllo di Aleppo, sconfiggendo i ribelli che fronteggiavano il dittatore siriano, si è pensato a una soluzione del conflitto. Evento ben lontano dall’accadere: i ribelli prevalentemente jihadisti e islamisti estremisti, che hanno perso l’offensiva di Aleppo, stanno dirigendosi a Damasco per colpirla in attentati suicidi. Sono 31 le persone morte nella capitale martedì 15 marzo nelle prime operazioni terroristiche delle forze jihadiste.

Anche dopo la conquista di Mosul ed eventualmente di Raqqa la situazione non sarà diversa. Se si vuole realizzare un processo di pace sarà necessario risolvere tutti gli elementi che hanno favorito l’attecchimento dell’Isis: estremismo religioso, lotta religiosa interna all’Islam, tutela dei diritti umani e soprattutto delle donne, violenze e soprusi perpetrati dai vari dittatori locali e dalle superpotenze arabe e internazionali. 

Inoltre, in Siria come in Iraq mancano le risorse e la capacità di ricostruire città, abitazioni, viabilità, acquedotti ed elettrodotti. Le amministrazioni continuano a subire le conseguenze della corruzione e della lotta interna fra funzionari sciiti e sunniti che frammentano le amministrazioni in gruppi difficilmente controllabili.

L’Isis resiste alla sconfitta perché non vengono risolti i presupposti su cui si è sviluppato e perché i principali eserciti sul campo, quali Stati Uniti, Russia e Turchia, non perseguono gli stessi obiettivi. Questi governi curano diverse alleanze con gruppi politico-militari di diversa estrazione ed in alcuni casi hanno obiettivi diametralmente opposti. Basti pensare alla questione curda, appoggiata dagli Stati Uniti ma osteggiata dalla Turchia. O alla guerra di religione fra le forze sciite e sunnite che in alcuni casi, come nella collaborazione degli eserciti turchi sunniti e iracheni sciiti, non può trovare un obiettivo univoco.

Tutto questo ritarda la soluzione e impedisce la sconfitta dello Stato islamico. Perché l’Iraq e la Siria diventino paesi stabili e più pacifici, saranno necessari per decenni ingenti investimenti e un radicale cambiamento culturale e religioso in accordo con tutta la comunità internazionale.

Sarà necessario un cambiamento nei rapporti nella politica estera, economica e religiosa. Se questo non avverrà il rischio di un conflitto senza fine rimane purtroppo concreto.

— LEGGI ANCHE: Otto mappe per capire il Medio Oriente

— LEGGI ANCHE: Tutte le tappe del conflitto siriano dal 2011 a oggi

— Non restare fuori dal mondo. Iscriviti qui alla newsletter di TPI e ricevi ogni sera i fatti essenziali della giornata

Ti potrebbe interessare
Esteri / Germania: un’ex guardia di un lager nazista potrebbe finalmente essere processata all’età 99 anni
Esteri / Corea del Sud: il presidente proclama la legge marziale contro l’opposizione ma il Parlamento annulla tutto
Esteri / Ecco cosa rischiano le donne in Iran con la nuova legge sul velo obbligatorio
Ti potrebbe interessare
Esteri / Germania: un’ex guardia di un lager nazista potrebbe finalmente essere processata all’età 99 anni
Esteri / Corea del Sud: il presidente proclama la legge marziale contro l’opposizione ma il Parlamento annulla tutto
Esteri / Ecco cosa rischiano le donne in Iran con la nuova legge sul velo obbligatorio
Esteri / Covid-19: un sub-comitato del Congresso Usa sostiene la tesi di una fuga di laboratorio da Wuhan
Esteri / Onu: quasi 50mila sfollati in pochi giorni in fuga dai combattimenti in Siria
Esteri / Gaza, al-Jazeera: "15 morti nei raid odierni di Israele". Oltre 44.500 vittime dal 7 ottobre 2023. Libano: un morto in un raid dell'Idf nel sud. Il tredicesimo dall'inizio della tregua. Netanyahu: "La guerra con Hezbollah non è finita"
Esteri / Libano, violata la tregua: l'Idf colpisce diversi obiettivi, Hezbollah lancia due missili su Israele
Esteri / Siria, ribelli jihadisti e filo-turchi prendono il controllo di Aleppo: decine di migliaia di civili in fuga. Italiani evacuati
Esteri / Netanyahu, pronto ad accordo per Gaza ma no fine guerra. Per l'esercito israeliano la tregua in Libano ha "il 50% di possibilità di reggere". Il leader di Hezbollah proclama "vittoria"
Esteri / Libano, raid di Israele nel sud: violata la tregua con Hezbollah