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Nagorno-Karabakh: l’ultimo Stato spazzato via dalla cartina d’Europa

Immagine di copertina
Credit: AP Photo

L’ultima operazione militare condotta dall’Azerbaigian nella regione del Nagorno-Karabakh ha portato alla dissoluzione attualmente in corso della Repubblica dell’Artsakh, uno Stato non riconosciuto dalla comunità internazionale ma de facto esistente da decenni nel complesso contesto del Caucaso.

Questa piccola repubblica autoproclamata e abitata da popolazione di lingua ed etnia armena pur trovandosi in un territorio riconosciuto a livello internazionale come parte dell’Azerbaigian si trovava ormai quasi totalmente isolata e l’ultimo intervento militare compiuto da Baku ha tagliato ogni forma di comunicazione con l’Armenia, unico Paese che ha fornito sostegno all’Artsakh, e le truppe azere sono arrivate a poca distanza dalla capitale Stepanakert, costringendo il governo autoproclamato ad accettare le condizioni dell’Azerbaigian per un cessate il fuoco e iniziando così i negoziati. Colloqui che, vista la situazione di indifendibilità dell’Artsakh, hanno portato il presidente dell’autoproclamata repubblica a firmare la dissoluzione delle sue istituzioni dall’inizio del 2024.

Le origini della questione del Nagorno-Karabakh risalgono a molto tempo fa e vanno inserite nel complesso mosaico etnico della regione del Caucaso, in cui con la nascita degli Stati nazione dopo la caduta dei grandi imperi è diventato difficile tracciare linee di demarcazione precise, anche quando queste non andavano a dividere Stati sovrani ma repubbliche autonome dell’ex Unione sovietica. E così il territorio del Nagorno-Karabakh, abitato in gran parte da armeni, finì per diventare un’oblast autonoma all’interno della Repubblica socialista sovietica di Azerbaigian, collegato alla Repubblica socialista sovietica di Armenia tramite il corridoio di Lachin, tornato tristemente attuale nel corso dell’ultimo scontro armato. Oltre a questo, l’Armenia ottenne la provincia di Syunik e l’Azerbaigian l’exclave di Naxchivan in un risiko che mostra la complessità etnica dell’area.

Se la fine dell’ex Jugoslavia ha avuto esiti traumatici che ben conosciamo, il crollo dell’Unione Sovietica in molti casi non è stato da meno, non risultando sempre un processo pacifico e lineare come avvenuto per alcuni Stati divenuti indipendenti. È il caso, ad esempio, della situazione del Nagorno-Karabakh, che già alla fine degli anni ’80 era oggetto di contesa tra le repubbliche socialiste sovietiche del Caucaso che con l’indipendenza di Armenia e Azerbaigian, nel 1991, sfociò in una guerra per il suo controllo raffreddatasi solo nel 1994. Yerevan prese il controllo di gran parte della regione contesa, dando vita all’autoproclamata repubblica dell’Artsakh, non riconosciuta dalla comunità internazionale.

Da quel momento diversi scontri armati si sono succeduti, di cui uno particolarmente determinante nel 2020 che ha portato di fatto all’isolamento della piccola repubblica autoproclamata. Quando lo scorso settembre le truppe azere hanno lanciato l’attacco contro l’Artsakh, il piccolo territorio si è trovato in netta inferiorità di uomini e mezzi e si è dovuto arrendere, intraprendendo colloqui che hanno portato alla dissoluzione della repubblica.

Ora la domanda è cosa succederà ai cittadini dell’Artsakh, una realtà statale che seppur non riconosciuta è esistita per circa 30 anni e da cui molti abitanti sono fuggiti verso la vicina Armenia. In quanti di loro rimarranno? Con che status? Otterranno dall’Azerbaigian, che ne ha ripreso il controllo, uno status autonomo come succede in situazioni etniche complesse? Sono queste le incognite che dovranno trovare una risposta nei colloqui in corso.

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