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“Mio figlio ucciso al mio posto. Il rantolo di morte dei miei colleghi”: i racconti di due sopravvissuti all’attacco israeliano costato la vita a 15 operatori umanitari a Gaza

Immagine di copertina
Credit: UNOCHA / X

"Sono stati sepolti nelle loro uniformi e con i guanti”, ha spiegato il coordinatore dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (Unocha) a Gaza, Jonathan Whittall. “Erano pronti a salvare vite e sono finiti in una fossa comune". Oltre 400 operatori umanitari, secondo l’ultimo aggiornamento delle Nazioni Unite, sono stati uccisi negli attacchi israeliani nella Striscia di Gaza dal 7 ottobre 2023

“Papà, aiutami. Siamo stati presi di mira dagli israeliani e ora ci stanno sparando direttamente”. Hassan Hosni Al-Hila ha ricordato così alla Cnn le ultime parole del figlio ventunenne Mohammad, ucciso il 23 marzo scorso dalle truppe di Israele a Rafah, nel sud della Striscia, insieme ad altri 14 tra paramedici della Mezzaluna rossa palestinese, soccorritori della Protezione civile di Gaza e dipendenti di agenzie dell’Onu. “Non riuscivo a sentire niente, tranne il rantolo di morte dei miei colleghi”, ha spiegato all’emittente statunitense il medico Munther Abed, il primo ad accorrere sulla scena e l’unico a sopravvivere.

Quel giorno, ha ricordato Hassan Hosni Al-Hila, avrebbe dovuto esserci anche lui nel convoglio di ambulanze attaccato dalle forze armate israeliane (Idf) ma si sentiva troppo male per continuare a lavorare durante il turno di notte, così suo figlio Mohammad accettò volentieri di sostituirlo. Nel giro di poche ore però, il giovane paramedico fu inviato su un convoglio di mezzi di soccorso alla ricerca di un’ambulanza che non era più tornata da una chiamata di emergenza nel quartiere di Tel al-Sultan, a ovest della città di Rafah. Su quel mezzo dato per disperso c’era proprio il medico della Mezzaluna rossa palestinese, Munther Abed.

Tutto era cominciato alle prime ore di domenica 23 marzo, in seguito alle segnalazioni di un attacco israeliano a Rafah, a seguito del quale la Mezzaluna rossa aveva inviato un’ambulanza con a bordo tre membri del personale medico, tra cui appunto il dottor Abed. L’operazione di soccorso, secondo l’organizzazione palestinese, non era stata concordata con l’Autorità di coordinamento delle Attività Governative nei Territori (COGAT), l’ente militare israeliano che supervisiona le zone occupate, perché in quel momento l’area oggetto dell’attacco non era ancora stata designata dall’Idf come “zona rossa”, cosa che avverrà in seguito quello stesso giorno.

Secondo quanto raccontato alla Cnn dal dottor Abed, che durante il viaggio era seduto nel retro dell’ambulanza, il mezzo era stato improvvisamente preso di mira da una serie di colpi di arma da fuoco. Il medico ha raccontato di essere sopravvissuto gettandosi sul pianale del veicolo per ripararsi, mentre i colleghi seduti davanti restavano entrambi uccisi. “Non riuscivo a sentire niente dai miei colleghi, tranne il suono della morte, il rantolo della morte, il loro ultimo respiro”, ha raccontato Abed alla Cnn. “Un grido di dolore: è tutto quello che ho sentito da loro”.

Quindi, secondo il racconto del sopravvissuto, l’ambulanza si è schiantata contro un palo della luce, fermandosi, e così si sono interrotti anche gli spari. Infine, secondo Abed, alcuni soldati israeliani hanno aperto il portellone posteriore dell’ambulanza e lo hanno tirato fuori dal mezzo, obbligandolo a spogliarsi fino a restare soltanto in biancheria intima. Erano circa le 4:30 del mattino ora locale quando, secondo la versione di Tel Aviv che però non fornisce prove al riguardo, le truppe della brigata Golani tendevano un’imboscata a un veicolo, diverso da un’ambulanza, in transito sulla Liberation Road a Rafah, uccidendo due persone e arrestandone un’altra accusata di appartenere ai servizi di sicurezza interni di Hamas. Una ricostruzione contestata da Munther Abed, che infatti è stato rilasciato quello stesso giorno dalle truppe dello Stato ebraico dopo che i soldati hanno controllato le sue credenziali. Ma è qui che le storie di Abed e di Mohammad Al-Hila si incrociano.

Due ore dopo aver perso i contatti con l’ambulanza su cui si trovava il sopravvissuto, la Mezzaluna rossa inviò infatti un convoglio composto da diversi mezzi di soccorso, coadiuvati dalla Protezione Civile di Gaza, per cercare i dispersi. I 15 tra paramedici e soccorritori però, compreso il figlio di Hassan Hosni Al-Hila, perderanno tutti la vita. I loro corpi senza vita saranno poi ritrovati il 28 marzo in una fossa comune. Il giorno dopo, l’esercito israeliano ammetterà di aver colpito “per errore” alcuni “veicoli”, poi rivelatisi “ambulanze”, che avanzavano “in modo sospetto” verso le truppe, puntando però il dito contro “il ripetuto utilizzo dei mezzi di soccorso per scopi terroristici” da parte di Hamas e della Jihad Islamica. Un filmato ritrovato nel telefono di una delle vittime però, pubblicato dal New York Times, smentisce la versione di Tel Aviv mentre le immagini satellitari di quel giorno pubblicate da al-Jazeera e analizzate dalla Cnn mostrano le ambulanze e i mezzi di soccorso circondati dalle truppe israeliane.

Il video è stato ripreso da un paramedico di Gaza, identificato come Rifaat Radwan, dalla parte anteriore di un veicolo e mostra un convoglio di ambulanze con fari e sirene accese muoversi lungo una strada all’alba. Le immagini mostrano il convoglio fermarsi davanti a un altro veicolo fermo sul ciglio della strada, che la Mezzaluna Rossa identifica come l’altra ambulanza inviata in precedenza sul posto. Il filmato mostra un camion dei pompieri, un’ambulanza e due soccorritori scesi in strada in uniforme. Subito dopo si odono dei colpi di arma da fuoco colpire il convoglio.

Allora, sotto attacco delle truppe israeliane, il figlio Mohammad chiamò al telefono il padre Hassan Hosni Al-Hila. “Vieni da me, papà, aiutami. Siamo stati presi di mira dagli israeliani e ora ci stanno sparando direttamente”, disse il figlio al padre, secondo il racconto di Al-Hila alla Cnn. “La chiamata si è interrotta poco dopo”. Il corpo di Mohammad sarà ritrovato una settimana dopo, crivellato di proiettili. Alla vista di quello scempio il padre si è voluto scusare con il figlio per non essere stato al suo fianco nei suoi ultimi istanti. “Gli ho detto: ‘Mi dispiace di non aver potuto essere lì con te’. Se non fossi tornato a casa, saremmo stati insieme nella stessa missione”, ha ricordato Hassan Hosni Al-Hila.

L’esercito israeliano afferma che l’indagine su quanto accaduto a Rafah è ancora in corso, ma il 1° aprile il governo di Tel Aviv ha fatto sapere, senza fornire prove, che nove delle vittime erano “terroristi di Hamas e della Jihad Islamica”, tra cui “Mohammad Amin Ibrahim Shubaki, che aveva preso parte al massacro del 7 ottobre”. Ieri invece l’Idf ha cambiato versione, affermando che tra le vittime erano stati identificati sei miliziani di Hamas, ancora una volta però senza fornire prove al riguardo. La Mezzaluna Rossa ha invece identificato tutti i morti, tra cui figurano otto suoi paramedici, cinque soccorritori della Protezione civile di Gaza e due dipendenti di altrettante agenzie delle Nazioni Unite.

“Sono stati sepolti nelle loro uniformi e con i guanti”, ha spiegato il coordinatore dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (Unocha) a Gaza, Jonathan Whittall. “Erano pronti a salvare vite e sono finiti in una fossa comune”. La strage di Rafah ha suscitato la condanna delle organizzazioni umanitarie internazionali mentre il presidente della Mezzaluna rossa palestinese Younis Al-Khatib ha chiesto un’indagine indipendente. Oltre 400 operatori umanitari, secondo l’ultimo aggiornamento delle Nazioni Unite, sono stati uccisi negli attacchi israeliani nella Striscia di Gaza dal 7 ottobre 2023.

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