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Home » Esteri

Il generale Mini a TPI: “Non si parla più di Ucraina perché la guerra non sta andando come previsto”

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“La difesa russa sta prevalendo sulla controffensiva di Kiev. E vedo una sorta di ritegno nei media e nella politica. Si inizia a dubitare sull’esito finale del conflitto. Soluzione diplomatica? Dovrebbe cambiare l’atteggiamento occidentale verso Mosca”

«Non si parla più della guerra in Ucraina perché c’è imbarazzo e stanchezza. Se non cambia l’atteggiamento dell’Occidente, questo conflitto si trascinerà a lungo». Parola del generale e saggista Fabio Mini, già comandante Nato della missione “Kfor” in Kosovo dal 2002 al 2003. 

Mini spiega a TPI perché, a suo avviso, è calato il silenzio sulla guerra in Ucraina, qual è la situazione al fronte e cosa potrebbe accadere nei prossimi mesi, senza dimenticare l’altro grande conflitto in corso, quello tra Israele e Hamas. 

La guerra in Ucraina sembra essere stata dimenticata. Questo calo di attenzione è dovuto allo scoppio del conflitto tra Israele e Hamas o secondo lei denota anche dell’altro?
«Penso che ci sia un po’ di imbarazzo. Non è una questione riguardante la mancanza di mezzi o strumenti per continuare la guerra in Ucraina, mi sembra ci sia una sorta di ritegno da parte degli organi di stampa ma anche e soprattutto a livello politico perché il conflitto non sta andando come preventivato. Al di là delle manifestazioni estemporanee di continuo sostegno all’Ucraina, come ad esempio da parte di Ursula von der Leyen (presidente della Commissione Ue, ndr), adesso si incomincia a dubitare sull’esito finale del conflitto». 

Lo scherzo telefonico di cui è stata vittima Giorgia Meloni, durante il quale la stessa premier ammetteva «stanchezza» da parte dell’Occidente sulla situazione in Ucraina, può aprire nuovi scenari?
«Sì, può aprire nuovi scenari nel senso che qualcuno prima o poi dovrà rendersi conto che è necessaria una soluzione. Finora, quello che in gergo militare si chiama “End State” non è stato mai dichiarato in termini realistici ma solamente in termini di propaganda. Si è parlato di vittoria dell’Ucraina a tutti i costi, ma dal punto di vista tecnico-militare e strategico non ha senso. L’End State non è stato mai ancora dichiarato. E allora la cosiddetta stanchezza viene dal fatto che la responsabilità delle decisioni deve essere presa dalla parte politica e la politica per natura si stanca presto. La politica è in affanno, non soltanto la guerra». 

Questo silenzio calato sulla guerra in Ucraina può favorire la diplomazia, che finora non ha fatto grandi passi in avanti?
«Sicuramente è in atto un momento di pausa di propaganda, che potrebbe dar luogo a uno sforzo diplomatico. Io, però, questa cosa al momento non la vedo. È vero che potrebbero esserci dei contatti sotterranei, ma il tema centrale su che cosa fare della sicurezza in Europa, e non tanto di cosa fare della sicurezza in Ucraina o in Russia, è stato completamente dimenticato e tolto dall’agenda di qualsiasi governo. Questa è una forma di nichilismo». 

La controffensiva ucraina non ha fatto passi in avanti: qual è la situazione al fronte?
«Dal punto di vista militare si sta parlando di stallo. La fase di stallo, tecnicamente, è quando ci sono due parti che si confrontano e nessuno dei due riesce a prevalere. Ma secondo me questa non è la situazione attuale, in Ucraina non c’è una fase di stallo. In questo momento la difesa, soprattutto la difesa fortificata che ha messo in atto la Russia, prevale sulla spinta o controffensiva dell’Ucraina. Dal punto di vista militare la difesa sta vincendo. Il quesito è: la Russia intende stare veramente ancora lì a difendere, e quindi a neutralizzare l’Ucraina, o può tentare qualche cosa, non tanto per guadagnare terreno, ma soprattutto per dare quella sensazione che quella vittoria che l’Ucraina voleva non solo non c’è stata ma non è proprio possibile. Questo potrebbe convincere gli Stati occidentali a non dare più sostegno all’Ucraina e fare in modo che questa situazione si porti a un tavolo negoziale. Rimango dell’idea che l’intenzione della Russia sia quella di avere un cuscinetto fra la Nato e se stessa, per questo a mio avviso è innaturale credere all’espansione dell’invasione a Occidente del Dnepr». 

Il conflitto rischia di trascinarsi all’infinito?
«Anche se la situazione militare si dovesse cristallizzare o anche chiarire, se non cambia l’atteggiamento occidentale nei confronti della Russia difficilmente potrà risolversi qualcosa. L’interesse fondamentale sarebbe dell’Europa, non degli americani. L’Interesse degli Usa non è quello di favorire l’Europa ma di castrarla, di toglierle potenza non solo economica ma anche egemonica e morale». 

La Polonia ha annunciato che non manderà più armi all’Ucraina: potrebbe presto registrarsi un effetto a cascata?
«La Polonia fa una cosa per proprio interesse. La Polonia non è soltanto un attore attivo perché vuole bene agli ucraini, ci sono ancora dei contenziosi territoriali che sono vivi più che mai. Ci sono degli interessi nazionali, oltre che degli interessi di carattere economico, come si è visto nella questione del grano. Non credo che possa esserci un effetto a cascata, anche perché oggi in Occidente, soprattutto in Europa, ci sono molti parti politiche che non vogliono avere più rapporti con la Russia e che soprattutto hanno degli interessi economici e tecnologici diversi dal modello precedente, che poteva giustificare un accordo o comunque una sorta di patto tra gentiluomini tra i due blocchi. E a proposito di interessi, dobbiamo tenere conto di un elemento fondamentale: quando finirà la guerra inizierà la competizione per la ricostruzione, ci saranno miliardi in ballo. Quasi certamente in questo momento chi sente la stanchezza la sente perché l’obiettivo di carattere politico-economico che si era prefissato l’Occidente, ovvero quello di fare grandi soldi sulla testa degli ucraini per la ricostruzione, è ancora lontano». 

Nel 2024 si terranno le elezioni presidenziali in Russia e Stati Uniti, oltre che le europee. Queste importanti tornate elettorali possono cambiare l’esito del conflitto?
«In questa fase di pre-elezioni qualcosa può cambiare. Aspettare che cambi qualcosa dopo le elezioni potrebbe portare a un problema ancora più grande. Se negli Usa vinceranno ancora i democratici, e lo faranno con ottimi risultati dal punto di vista elettorale, riconfermando Biden per un secondo mandato, la politica nei confronti dell’Ucraina non cambierebbe. Il presidente Usa si è talmente dichiarato e compromesso in questa storia che difficilmente potrebbe cambiare rotta, con la guerra che potrebbe andare avanti all’infinito. Io non credo che Sullivan (consigliere per la Sicurezza nazionale Usa, ndr) o Blinken (segretario di Stato, ndr) si siano resi conto bene di che cosa vogliano loro per la sicurezza in Europa». 

Sempre nel 2024 dovrebbero svolgersi le presidenziali in Ucraina, ma Zelensky ha dichiarato che non è il momento di organizzare elezioni.
«Per Zelensky si tratta di una lotta per la sopravvivenza, non soltanto politica. Quello che si sta muovendo all’interno dell’Ucraina è qualcosa di più grosso di quello che appare. C’è un nuovo corso della leadership interna che è contro quelli che hanno portato alla guerra e che hanno impedito allo stesso Zelensky di portare avanti il patto stretto con gli elettori nel 2019. Quando il presidente ucraino è stato eletto a larghissima maggioranza, infatti, propose di terminare la guerra nel Donbass, di parlare con i russi e di rendere l’Ucraina neutrale. Sono stati quelli che lui ha chiamato e che gli americani gli hanno affiancato, a fargli cambiare idea, anche con pressioni di carattere personale. Gli stessi che hanno portato a questo disastro adesso non vogliono desistere dal continuare a fare la guerra, ma si rendono conto anche che non possono vincerla. Questo farà in modo che, all’interno della leadership ucraina, ci saranno degli stravolgimenti». 

Il Time, raccogliendo le voci di alcuni suoi fidati collaboratori, ha recentemente descritto Zelensky come un uomo solo e abbandonato da tutti. Il presidente ucraino potrebbe essere vittima di una ribellione nei suoi confronti?
«Più che una ribellione, potrebbe verificarsi una messa a lato del presidente. La prospettiva più concreta è che qualcuno gli offra un posto sicuro in cui lui possa andare a godersi i suoi miliardi. Zelensky potrebbe essere allontanato proprio dai suoi stessi uomini, una volta preso atto che, con lui al comando, non ci sarebbero risvolti per la guerra. Ma la probabilità che questo avvenga, a mio avviso, è piuttosto bassa. Quello che potrebbe concretamente accadere è che qualcuno, a livello internazionale, cominci a pensare che la Russia è una realtà che non si può cancellare o demilitarizzare o depotenziare così facilmente». 

Lo scoppio della guerra tra Israele e Hamas può in qualche modo influire anche sul conflitto in Ucraina?
«Ci sono molte similitudini tra i due conflitti in atto, ma sono contrastanti. Chi è che fa la parte del nazista o del neonazista in Ucraina? Gli ucraini dicono che sono i russi, i russi dicono che sono gli ucraini. E a Gaza? Chi è che fa la parte del neonazista? Israele o Hamas? Esiste questo parallelismo: se il conflitto di Gaza si risolve così come si sta risolvendo, ovvero con un continuo massacro e rifiuto del rispetto delle regole internazionali, del diritto non solo umanitario ma anche bellico, il modello che ne viene fuori è un modello di destabilizzazione totale. Russia e Ucraina potrebbero approfittare di questo con il risultato che ci sarebbe da affrontare non solo due guerre nel mondo, ma due conflitti nello stesso teatro, che è quello europeo-mediorientale. Gli Stati Uniti hanno questa teoria secondo cui possono e devono essere pronti a combattere due conflitti contemporaneamente in due teatri diversi, ma i due teatri devono essere per l’appunto diversi, altrimenti non c’è proprio la possibilità di farlo. Mentre il conflitto tra Ucraina e Russia può essere ancora delimitato negli ambiti tra i due Paesi con un’astensione esterna, la stessa cosa non è possibile prevederla per Gaza». 

Come potrebbe cambiare lo scenario geopolitico con la guerra tra Israele e Gaza?
«Dal punto di vista geopolitico, il conflitto tra Israele e Hamas sta mettendo a repentaglio la sicurezza del Mediterraneo, del Medio Oriente e dell’Europa intera, non solo quella meridionale. La situazione di Gaza è peggiore della situazione in Ucraina e noi in Europa non consideriamo questo aspetto. Come prima c’era questo schieramento compatto nel sostenere l’Ucraina nei confronti della Russia, adesso non vedo questo schieramento compatto nel difendere i palestinesi dall’invasione e dalla punizione collettiva messa in atto da Israele a Gaza. Noi stiamo sostenendo qualcuno che sta facendo un’operazione, giustificata perché c’è stata un motivo, ma che dovrebbe essere proporzionata. Se prevale questo modello e a Israele viene concesso di fare quello che ha intenzione di fare, io vedo solamente due conseguenze immediate: Hamas non finisce ma anzi si rafforza al di fuori di Gaza ; e, se finisce come dice Israele, noi avremmo un modello in Medio Oriente che è altamente destabilizzante, motivo per cui ci dovremmo aspettare una guerra molto più ampia di quella in corso in Europa centrale».

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