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Gaza è sommersa dai rifiuti. Il direttore dell’UNDP nella Striscia a TPI: “Gli sfollati vivono vicino alle discariche e le malattie si diffondono”

Immagine di copertina
A Deir el Balah le strade sono ricoperte di acque reflue stagnanti e di spazzatura, dove migliaia di persone vivono in affollate tendopoli piene di sfollati. Credit: Omar Ashtawy apaimages/ SIPA / AGF

“L’insieme di rifiuti e acque nere non trattate, che poi vanno a finire nelle falde acquifere, hanno creato un ambiente esplosivo per una crisi sanitaria”, denuncia il direttore dell’ufficio di Gaza dell’Undp, Alessandro Mrakic

Il sistema della gestione dei rifiuti a Gaza è collassato: dall’inizio dell’offensiva di Israele nella Striscia non è più possibile alcun accesso alle due principali discariche del territorio costiero palestinese, mentre i rifiuti si accumulano in oltre 140 siti provvisori, spesso situati nelle vicinanze dei campi profughi, causando gravi rischi per la salute e per l’ambiente. La denuncia arriva dal Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (Undp), secondo cui dal 7 ottobre nella Striscia sono stati registrati quasi 1 milione di casi di infezioni respiratorie acute, 575mila casi di diarrea acquosa acuta e oltre 100mila casi di ittero. Anche se il numero reale dei contagi è probabilmente molto più alto.

La gestione dei rifiuti, spiega a TPI il direttore dell’ufficio di Gaza dell’Undp, Alessandro Mrakic, era già un problema prima della guerra. “Dopo il 7 ottobre però la situazione è esplosa e sta continuamente peggiorando, non solo perché la guerra ha praticamente distrutto sia l’infrastruttura che i mezzi a disposizione, ma anche per l’impossibilità di accedere alle due principali discariche della Striscia, situate al confine con il territorio israeliano, il che ha portato alla nascita di 140 siti provvisori”, sottolinea Mrakic. Qui si accumula di tutto.

Prima dello scoppio dell’attuale conflitto, secondo l’ultimo rapporto dell’Undp basato su una valutazione condotta a giugno, la Striscia poteva contare su 251 furgoni e 10 camion per la raccolta della spazzatura, mentre oggi operano solo 51 mezzi, tutti di piccole dimensioni, e soltanto 1.300 dei 7.300 container per rifiuti sono ancora utilizzabili. Può sembrare un problema secondario rispetto alla brutalità della guerra in corso da quasi 10 mesi ma il collasso di questo sistema si traduce in una vera e propria crisi sanitaria.

“Queste discariche temporanee si trovano in aree urbane già densamente popolate, a cui si aggiungono i campi che ospitano gli sfollati”, ci ricorda il direttore dell’ufficio di Gaza dell’Undp. “Nei casi in cui la discarica è praticamente attaccata alle tendopoli, si è già innescata una crisi sanitaria”. Tanto che, la scorsa settimana, l’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) ha denunciato il ritrovamento di alcune tracce del virus della polio nelle acque reflue a Gaza, il che ha spinto l’Oms ad annunciare una campagna straordinaria di vaccinazioni in tutta la Striscia con l’invio nel territorio costiero palestinese di almeno un milione di dosi.

“L’insieme di rifiuti e acque nere non trattate, che poi vanno a finire nelle falde acquifere, hanno creato un ambiente esplosivo per una crisi sanitaria. E l’estate chiaramente non sta aiutando”, denuncia il funzionario dell’Onu. “Così, pur non essendo un attore umanitario, noi dell’Undp ci troviamo a gestire tutti gli elementi di una crisi sanitaria”.

Avendo sempre lavorato nel campo della gestione dei rifiuti a Gaza e forte di un personale sul campo composto da 35 collaboratori attualmente di stanza a Deir el-Balah, nella zona centrale della Striscia, l’Undp è stato infatti chiamato dal sistema delle Nazioni Unite a contribuire alle attività del Joint Service Council for Solid Waste Management, che si occupa della raccolta e dello smaltimento a Gaza in collaborazione con l’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi (Unrwa).

Ma l’Undp fa ancora di più. “Siamo noi adesso a pagare i salari di alcuni operatori sanitari strategici per mandare avanti un sistema medico ormai al collasso”, ci spiega Mrakic. “Parliamo di medici, chirurghi, infermieri specializzati e di tutto quel personale che va tenuto sul campo a Gaza per far fronte alle emergenze”. La situazione però è gravissima.

“Non c’è un solo ospedale che funzioni al 100 per cento, tutti operano a capacità ridotta”, ci spiega il funzionario dell’Onu. “C’è un problema di carenza di carburante per far funzionare i generatori ma anche la questione di gestirne lo stoccaggio all’interno della Striscia. Parliamo quindi di un sistema sanitario stremato dalla guerra”. Per questo, per evitare di congestionarlo ulteriormente con un’altra emergenza dovuta alla diffusione delle malattie causate dalla mancata gestione dei rifiuti, l’Undp intende, tra l’altro, ricostruire la flotta di veicoli necessari alla raccolta della spazzatura, compresi gli scarti medici; ripristinare l’impianto di trattamento dei rifiuti sanitari a sud di Gaza e costruirne un altro a nord della Striscia; realizzare due inceneritori per le scorie farmacologiche; fornire alle strutture sanitarie autoclavi, lavatrici e asciugatrici industriali e materiali per la pulizia; e offrire corsi di formazione per gli addetti al trattamento dei rifiuti medici.

Ma per contribuire a prevenire “rischi catastrofici per la salute pubblica” nei prossimi 18 mesi, l’agenzia chiede un contributo modesto al fine di affrontare le esigenze più immediate. “Abbiamo bisogno di 62 milioni di dollari nei prossimi 18 mesi per far fronte ai problemi più urgenti”, ci dice Mrakic. “Significa portare dentro la Striscia i container necessari per lo stoccaggio dei rifiuti, gestire le discariche temporanee e metterle in sicurezza, in particolare per quanto riguarda gli scoli delle acque reflue che vanno a finire nelle falde acquifere, complicando la situazione”.

La questione più urgente però, come ci conferma il direttore dell’ufficio di Gaza dell’Undp, è separare il più possibile le persone dai rifiuti, raccogliergli dalle discariche provvisorie e riavere accesso ai due siti principali per trasferirvi la spazzatura raccolta. Il tutto per evitare ripercussioni future dopo il conflitto. Tanto che l’agenzia dell’Onu sta già lavorando anche a un altro problema: quello della rimozione delle macerie provocate dalla guerra. “A maggio ammontavano a 40 milioni di tonnellate”, ci spiega Mrakic. “Per darvi un’idea: immaginate tutto Central Park a New York (che occupa una superficie di 3,4 chilometri quadrati, ndr). Prendete il perimetro del parco, alzate un muro di cinta di otto metri di altezza e riempite tutto Central Park. Quelle sono 40 milioni di tonnellate”. Tutto questo prima dell’offensiva di Israele a Rafah e delle nuove operazioni militari a Khan Younis.

“In settimana forniremo un aggiornamento anche su questo problema”, ci anticipa il funzionario dell’Undp. “A inizio agosto invece presenteremo all’Autorità nazionale palestinese (Anp) e alla comunità internazionale una prima proposta di progetto per iniziare a lavorare sulla rimozione di questi detriti, soprattutto sulle strade e nelle aree di accesso ai servizi critici, per poi ampliarlo alle aree private e abitative”. Ma ci vorrà tempo e intanto la guerra non si ferma: a più di nove mesi dagli attentati del 7 ottobre in Israele la guerra nella Striscia di Gaza ha già provocato oltre 39mila morti e quasi 91mila feriti e non accenna a fermarsi.

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