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Gaza: Amnesty International denuncia la “tortura diffusa” dei palestinesi da parte di Israele

Immagine di copertina
Credit: AGF

L'ong ha documentato i casi di 27 ex detenuti, che dichiarano di essere stati tutti torturati, compresi medici, madri separate dai neonati, attivisti per i diritti umani, operatori dell'Onu e giornalisti

“Israele deve porre fine agli arresti di massa, alla detenzione in isolamento e alla tortura diffusa dei palestinesi” catturati durante la guerra in corso da oltre nove mesi nella Striscia di Gaza. La denuncia arriva da Amnesty International, che accusa lo Stato ebraico di abusare di una legge in vigore dal 2002 per detenere arbitrariamente e a tempo indeterminato i prigionieri senza accuse e senza processo.

“Le autorità di Israele devono porre fine alla detenzione a tempo indefinito e in isolamento dei palestinesi della Striscia di Gaza, senza accuse e senza processo, effettuata ai sensi della legge sui combattenti illegali, che è in flagrante violazione del diritto internazionale”, denuncia oggi Amnesty.

L’ong ha documentato i casi di 27 ex detenuti palestinesi nelle carceri dello Stato ebraico, tra cui cinque donne, ventuno uomini e un giovane di 14 anni, che sono stati trattenuti fino a quattro mesi e mezzo senza avere accesso all’assistenza legale e senza poter contattare le proprie famiglie, come prevede la citata legge in vigore in Israele, di cui Amnesty chiede l’immediata abrogazione.

“Tutti coloro che sono stati intervistati da Amnesty International hanno affermato che durante la loro detenzione, che in alcuni casi equivaleva a una sparizione forzata, le forze militari, di intelligence e di polizia israeliane li hanno sottoposti a torture e altri trattamenti crudeli, inumani o degradanti”, ricorda l’organizzazione.

La legge sui combattenti illegali conferisce all’esercito di Israele ampi poteri per arrestare a Gaza chiunque sia sospettato di essere coinvolto nelle ostilità o di rappresentare una minaccia alla sicurezza dello Stato ebraico per periodi prorogabili a tempo indefinito, senza dover produrre prove a sostegno di tali accuse.

“Mentre il diritto umanitario internazionale consente la detenzione di individui per motivi di sicurezza, imperativi in ​​situazioni di occupazione, devono esserci delle garanzie per impedire la detenzione arbitraria o a tempo indefinito e la tortura e altri tipi di maltrattamenti”, dichiara la segretaria generale di Amnesty, Agnes Callamard. “Questa legge fallisce palesemente nel fornire tali garanzie, consente la tortura dilagante e, in alcune circostanze, istituzionalizza la sparizione forzata”.

“La nostra documentazione illustra come le autorità israeliane stiano usando la legge sui combattenti illegali per radunare arbitrariamente civili palestinesi a Gaza e gettarli in un buco nero virtuale per periodi prolungati, senza produrre alcuna prova che rappresentino una minaccia per la sicurezza e senza le minime garanzie di un giusto processo”, aggiunge. “Le autorità israeliane devono immediatamente abrogare questa legge e rilasciare coloro che sono arbitrariamente detenuti ai sensi di questa norma”.

Questa legge, promulgata nel 2002, è stata invocata per la prima volta in cinque anni dopo gli attentati del 7 ottobre scorso compiuti in Israele da Hamas e dalla Jihad Islamica e costati la vita a 1.195 persone e la libertà a 251 ostaggi, di cui 116 ancora tenuti prigionieri a Gaza (42 dei quali già dichiarati morti dall’esercito israeliano).

L’Israeli Prison Service (Ips) ha confermato alla ong israeliana Hamoked che alla data del 1 luglio 2024, almeno 1.402 palestinesi risultavano detenuti ai sensi della legge sui combattenti illegali, un numero che esclude le persone trattenute per il periodo iniziale di 45 giorni.

In questa prima fase, i militari israeliani non sono tenuti a emettere un ordine di detenzione, mentre la legge nega ai detenuti l’accesso a un avvocato fino a 90 giorni, consentendo la detenzione in isolamento che, a sua volta, secondo Amnesty permette la tortura e altri tipi di maltrattamenti.

Tra febbraio e giugno 2024, l’organizzazione internazionale ha documentato 31 casi di detenzione in isolamento in Israele di palestinesi fermati a Gaza e ha trovato prove credibili di un uso diffuso della tortura e di altri tipi di maltrattamenti.

Gli intervistati sono stati arrestati in diverse località di Gaza, tra cui Gaza City, Jabalia, Beit Lahiya e Khan Younis. Tra questi figurano anche medici fermati negli ospedali per essersi rifiutati di abbandonare i propri pazienti; madri separate dai neonati mentre cercavano di attraversare i cosiddetti “corridoi sicuri” per gli sfollati tra il nord e il sud della Striscia; attivisti per i diritti umani; operatori delle Nazioni Unite, e giornalisti. “Tutti coloro che sono stati intervistati da Amnesty International hanno dichiarato di essere stati sottoposti a tortura e altri maltrattamenti”, denuncia l’ong.

“La tortura e altri maltrattamenti, tra cui la violenza sessuale, sono crimini di guerra”, ricorda Callamard. “Queste accuse devono essere indagate in modo indipendente dall’ufficio del procuratore della Corte penale internazionale. Ciò è fondamentale a causa del fallimento documentato della magistratura israeliana nell’indagare in passato in modo credibile sulle accuse di tortura da parte dei palestinesi. Le autorità israeliane devono anche garantire l’accesso immediato e senza restrizioni a tutti i luoghi di detenzione a osservatori indipendenti, accesso che è stato negato dal 7 ottobre”.

Le testimonianze
Said Maarouf, un pediatra di 57 anni arrestato dall’esercito israeliano durante un raid all’ospedale al-Ahli di Gaza City nel dicembre 2023 e trattenuto per 45 giorni nel campo militare di Sde Teiman, ha raccontato ad Amnesty che le guardie carcerarie lo hanno tenuto bendato e ammanettato per tutta la durata della sua detenzione e ha raccontato di essere stato affamato, ripetutamente picchiato e costretto a stare seduto sulle ginocchia per lunghi periodi.

“Il terzo giorno di detenzione, ci hanno fatto scendere in una fossa e hanno iniziato a lanciarci della sabbia”, ha raccontato una donna arrestata il 6 dicembre in casa sua dopo essere stata separata dai suoi due figli, un bambino di quattro anni e un neonato di nove mesi. Accusata di essere un membro di Hamas, picchiata e costretta a togliersi il velo, i militari israeliani le hanno raccontato che il marito era morto.

“Un soldato ha sparato due colpi in aria e ha detto che avevano giustiziato mio marito”, ha raccontato all’ong. “Io sono crollata e l’ho implorato di uccidere anche me, per liberarmi da quell’incubo”. “Ero terrorizzata e avevo paura per i miei figli tutto il tempo”, ha raccontato ad Amnesty un’altra detenuta poi rilasciata.

Ben prima dell’approvazione della legge sui combattenti illegali e dello scoppio della guerra nella Striscia di Gaza, denuncia ancora Amnesty, le autorità israeliane avevano già una lunga storia di detenzioni senza accuse né processo dei palestinesi, grazie all’uso sistematico della detenzione amministrativa nei Territori occupati. Secondo l’ong israeliana Hamoked, attualmente Israele trattiene in questo modo almeno 3.379 persone, la stragrande maggioranza delle quali sono palestinesi della Cisgiordania occupata, inclusa Gerusalemme Est.

La risposta di Tel Aviv
Ma Israele ha negato ogni addebito. A seguito di alcune accuse simili mosse lo scorso 15 luglio in conferenza stampa dal ministro per i Prigionieri dell’Anp, Qadoura Fares, secondo cui lo Stato ebraico sta conducendo una “guerra di vendetta” contro i detenuti palestinesi, e dal legale dipartimento per gli Affari dei Detenuti di Ramallah Khaled Mahajneh, che ha denunciato diversi atti di tortura, compresi alcuni “stupri”, contro le persone trattenute nelle carceri israeliane, all’agenzia di stampa Afp l’esercito di Tel Aviv “ha respinto categoricamente le accuse riguardanti il ​​maltrattamento sistematico dei detenuti” arrestati dall’inizio della guerra nella Striscia di Gaza.

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