Il Comitato speciale dell’Onu denuncia come Meta e TikTok aiutano Israele a censurare i palestinesi e a oscurare le conseguenze della guerra a Gaza
“Oltre il 92 per cento delle 21mila richieste di rimozione di contenuti dai social media presentate dal governo di Israele per presunto incitamento alla violenza e al terrorismo nei 50 giorni successivi al 7 ottobre (2023) sono state approvate e rimosse da Meta e TikTok”
La guerra di Israele contro Hamas a Gaza ha anche un altro fronte, quello dell’informazione, dove Tel Aviv può contare, secondo un Comitato speciale dell’Onu, su due “alleati” particolari: le piattaforme social Meta (proprietaria di Facebook, Instagram e Whatsapp) e TikTok, che aiuterebbero lo Stato ebraico a censurare i palestinesi e a oscurare le conseguenze della guerra nella Striscia.
Il Comitato speciale delle Nazioni Unite, istituito nel 1968 per indagare sul rispetto dei diritti umani nei Territori palestinesi occupati, ha denunciato in un recente rapporto “i metodi di guerra di Israele a Gaza coerenti con il genocidio”. Ma un’altra denuncia contenuta nella stessa relazione, presentata ieri alla 79esima sessione dell’Assemblea generale dell’Onu, è passata quasi inosservata.
L’organismo internazionale ha infatti rilevato anche “la crescente censura” che ostacola “l’accesso globale alle informazioni sulla situazione e sull’impatto delle operazioni militari” di Israele a Gaza, in coordinamento con le piattaforme social. “Oltre il 92 per cento delle 21mila richieste di rimozione di contenuti dai social media presentate dal governo di Israele per presunto incitamento alla violenza e al terrorismo nei 50 giorni successivi al 7 ottobre (2023) sono state approvate e rimosse da Meta e TikTok”, denuncia il Comitato dell’Onu, citando un rapporto pubblicato nel novembre dell’anno scorso dal ministero della Giustizia di Tel Aviv.
“Nel quadro della devastazione di Gaza, la crescente censura dei media, la soppressione del dissenso e il prendere di mira i giornalisti da parte di Israele costituiscono sforzi deliberati per bloccare l’accesso globale alle informazioni”, sottolinea il Comitato dell’Onu, secondo cui le piattaforme social hanno rimosso in modo sproporzionato “contenuti pro-palestinesi” rispetto ai post che incitano alla violenza contro la popolazione del territorio costiero e delle zone occupate.
Meta e TikTok non hanno ancora commentato le accuse mosse loro dall’organismo delle Nazioni Unite. Nel novembre 2023 però l’azienda di Mark Zuckerberg si giustificò affermando che alcuni post erano stati nascosti a causa di un “bug accidentale” nei sistemi della società. Un’affermazione poi smentita da esperti, fondazioni indipendenti ed ex dipendenti che hanno rivelato al New York Times e al Guardian che Instagram e Facebook
stavano “attivamente bloccando i post e le stories su Israele e la Palestina, mascherandole come difficoltà tecniche”.
Da allora Meta ha affidato al suo Consiglio di vigilanza la decisione di rimuovere i post entro 30 giorni dalle segnalazioni, senza però più fornire dati aggregati in merito. Per il Trasparency Center dell’azienda americana, dal luglio al dicembre 2023, Menlo Park ha oscurato solo 8 tra post e pagine in Israele e 38 a livello globale che violavano le leggi in vigore nello Stato ebraico.
In una nota di aggiornamento pubblicata in ebraico in occasione del primo anniversario degli attentati terroristici del 7 ottobre 2023, TikTok ha invece fatto sapere che “al 15 settembre 2024” aveva “rimosso oltre 4,7 milioni di video e sospeso più di 300mila dirette streaming in Israele, a Gaza e in Cisgiordania per violazione delle regole, inclusi contenuti che promuovono Hamas, l’incitamento all’odio e la disinformazione”. “In tutto il mondo, nell’ultimo anno, abbiamo rimosso più di 100 milioni di contenuti”, sostiene la piattaforma cinese, che non specifica però l’orientamento dei contenuti rimossi.
“Il Comitato è profondamente preoccupato che queste misure restrittive e gli attacchi ai giornalisti limitino gravemente la libertà di stampa e il diritto dei palestinesi all’informazione e all’espressione, sollevando al contempo preoccupazioni circa la sorveglianza online illegale e discriminatoria dei palestinesi”, denuncia il Comitato delle Nazioni Unite.