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Rep. democratica del Congo: così l’industria tech finanzia una guerra per i minerali da 20 anni con la connivenza di tutti noi

Immagine di copertina
Un uomo in una miniera di coltan a Mudere, vicino la città di Goma, nella Repubblica Democratica del Congo. Credit: Junior D. Kannah/ Afp

Diciotto anni dopo la guerra in Congo non fa notizia. È considerata lontana anche se non è cosi lontana dai nostri interessi economici e dalle nostre abitudini quotidiane

“L’Africa è l’utero della specie umana. L’Africa è la miniera prima. L’Africa è la rapina più antica, schiavi, oro, diamanti, petrolio. L’Africa è la più grande valanga di accuse al resto del mondo. L’Africa ci chiamerà in giudizio. La sua sentenza sarà mite e spietata, dichiararci tutti maledetti figli suoi”.

Con queste parole, profonde e severe di Erri De Luca si apre il piccolo opuscolo dal titolo “Minerali clandestini” promosso dall’associazione Chiamal’Africa per denunciare il nostro silenzio e la nostra indifferenza rispetto alla guerra in corso in Repubblica Democratica del Congo da più di due decenni.

Un silenzio assordante copre il grido di dolore di un intera popolazione presa nella tenaglia mortale della guerra dal 1997.

La lunga e sanguinosa guerra del Congo si è tramutata tragicamente nel più grande disastro umanitario del continente. I gironi dell’inferno congolese quanto valgono per la nostra stampa e per le grandi cancellerie occidentali i morti in Congo che sono 5,4 milioni secondo l’ONG americana International Rescue Committee, l’unica che tiene la macabra contabilità delle vittime?

Potrà mai cambiare il nostro atteggiamento se i morti fossero invece 6,9 milioni secondo stime del New York times? Importa qualcosa alle nostre coscienze impoltronite sapere che l’emergenza in alcune aree del paese è arrivato a livello 3, il più alto del sistema di classificazione internazionale?

Un tal livello di vulnerabilità non è mai stato registrato in tutta la storia degli allarmi umanitari in RDC. Diciotto delle 26 province che conta il paese sono toccati dall’emergenza umanitaria e 13, 1 milioni di persone, tra cui 7,7 milioni di bambini necessiteranno di una protezione umanitaria nel 2018 con un’impennata del 50 per cento rispetto al 2017.

Tra queste persone 7,5 milioni di persone sfollate e ricollocate che avranno bisogno di un alloggio e di acqua potabile; 9,9 milioni di persone bisognose di cibo e 4,5 milioni di bambini carenti di cure mediche per malnutrizione.

A queste cifre spaventose bisogna aggiungere 700mila congolesi che vivono da rifugiati nei paesi confinanti (Uganda, Ruanda, Burundi, Republica del Congo, Tanzania, Kenia…).

All’inizio del mese di maggio 2018 una grave epidemia del virus di ebola ha colpito il nord del Congo a Bikoro nella Provincia dell’Equatore e non è stato ancora messo sotto controllo con la paura che l’epidemia si propaghi nella popolosa città di Mbandaka

In Congo si sta consumando un conflitto totale dove ad uccidere e a devastare non sono solo le armi degli eserciti e delle bande criminali.

La guerra nell’immenso territorio del Congo, grande quanto 2/3 dell’Europa occidentale, rappresenta anche la più grave e duratura violazione dei diritti umani dei singoli e delle comunità.

Lo stupro etnico è quotidianamente praticato come arma di guerra dalle bande di milizie ma anche dall’esercito regolare.

Centinaia di migliaia di donne e bambine sono state violentate e ferite nella loro integrità fisica e personale. “È diventato più pericoloso essere una donna che va ad attingere l’acqua o che va a raccogliere la legna da ardere che essere un combattente al fronte” dice Margot Wallstrom, rappresentante Speciale delle Nazioni Unite per i crimini sessuali in situazioni di conflitto.

Lo stupro cosiddetto etnico ha colpito più di 200mila donne negli ultimi anni in Congo. Gli effetti della violenza sessuale perdurano anche dopo la fine del conflitto, comprendendo gravidanze indesiderate, infezioni trasmesse per via sessuale e l’emarginazione per infamia; l’uso dei bambini soldato rappresenta un altro girone infernale della guerra in Congo.

Minori violati, sfruttati, drogati, armati, usati come kamikaze per combattere. In Congo circa 8.000 minori sono stati utilizzati dai gruppi armati, il 40 per cento bambine che spesso vengono utilizzate come schiave sessuali.

Tra i gironi infernali dei bambini in Congo si segnala la fuga di 800mila persone dalla regioni orientali per tentare di scappare all’insicurezza alimentare, alle violenze sessuali e agli arruolamenti militari; come effetto della guerra è in corso la più grande devastazione ecologica degli ultimi decenni.

Si tratta della foresta equatoriale, un patrimonio mondiale che ha ruolo fondamentale nell’assorbimento e la stabilizzazione degli effetti dei gas tossici (CO2) senza dimenticare la produzione di ossigeno (O2).

Questa foresta ha, altresì un ruolo primordiale nell’equilibrio ecologico mondiale. La foresta congolese è in pericolo mortale e con lei la nostra sopravvivenza. La memoria smarrita, la guerra ignorata, duratura e tragicamente mortale sulla quale continua il silenzio dei mezzi d’informazione.

Un silenzio che papa Francesco ha definito “vergognoso” durante l’Angelus del 15 agosto 2017 dando voce a “quelle popolazioni che non hanno la possibilità di attrarre l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale”.

Sempre nel 2017 il più importante festival cinematografico del continente africano ha attribuito il secondo premio del migliore documentario a Gilbert Balufu, giovane regista della RDC che ha presentato un lavoro dal titolo: “Congo! Il silenzio dei crimini dimenticati”. L’autore affronta la questione della guerra in Congo e della disastrosa situazione umanitaria.

Nonostante l’autorevolezza del pontefice e il prestigio del festival Fespaco, restano delle voci isolate nella congiura del silenzio che circonda la tragedia congolese. Un’indagine condotta nel 2000 dalla Caritas italiana, anche sulla guerra in Congo, diceva: “Che la guerra evochi nell’immaginario collettivo prima di tutto l’idea della morte, della devastazione, della tragedia umana, non ci sono dubbi: lo riconosce il 78 per cento degli intervistati.

E tuttavia lo stesso campione dimentica o non segue con attenzione la maggior parte dei conflitti armati e violenti che oggi affliggono il mondo (un quarto non è in grado di citare nessun paese coinvolto in guerre e il 40 per cento delle risposte sono errate o generiche).

Diciotto anni dopo la guerra in Congo non fa notizia. È considerata lontana anche se non è cosi lontana dai nostri interessi economici e dalle nostre abitudini quotidiane.

Parlare di guerra in Congo significa mettere il dito sui minerali clandestini che rappresentano il vero nervo della guerra in quel paese considerato un vero e proprio scandalo geologico per le sue sconsiderate ricchezze strategiche cosi utili alla nostra economia, soprattutto quella tecnologica che vive e prospera saccheggiando il sottosuolo del Congo.

Avete mai sentito parlare di un minerale chiamato coltan? Cercate di capire cosa sia e comprenderete il perché di una guerra infinita. Interrogate il vostro smartphone e chiedetevi la ragione di quella goccia di sangue nel processo della sua fabbricazione.

Immaginate il complesso meccanismo elettronico del velivolo che vi porta in vacanza e troverete che il sudore e il sangue dei congolesi hanno contribuito ad allestire il suo motore. Provate a smontare il vostro computer e scoprirete la storia di un bambino di 10 anni sepolto dallo smottamento del terreno mentre scavava alla ricerca del prezioso metallo.

“Qui si parla di minerali e di telefoni mobili per parlare di un’economia senza controllo, del tutto priva di etica, che si occupa di estrazione dei minerali e del loro trasferimento alle industrie; qui si parla di intere comunità che son i soggetti primi di tutto il processo, una forza lavoro sfruttata e senza diritti… Parliamo di minerali e di cellulari perché dietro un prodotto di straordinario successo si nascondono i buchi neri che celano le verità scomode del processo produttivo” (Minerali clandestini, Chiamal’Africa).

Minerali estratti dal sottosuolo nelle peggiori condizioni lavorative, oggetti di una speculazione economica che provocato e provocherà ancora morti e conflitti. La guerra in Congo non è “etnica” se non nelle persone che la combattono e ne patiscono le terribili conseguenze.

Ma gli interessi intorno ad essa parlano di noi, della nostra globalizzazione senza etica, delle multinazionali senza anima, delle élite locali che hanno tradito i loro popoli, dei paesi vicini che hanno cannibalizzato il territorio congolese, della new economy scintillante nei suoi pannelli pubblicitari ma che nasconde bene l’origine insanguinata dei suoi prodotti di base.

A cura di Jean Léonard Touadi

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