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Grecia, dopo la fiducia a Tsipras si va verso elezioni “con il coltello tra i denti”. Intervista allo scrittore Dimitri Deliolanes

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“Tsipras ha ottenuto la fiducia, ma per le prossime elezioni di ottobre 2019 lo scontro tra la sinistra di Syriza e la destra di Nuova Democrazia sarà durissimo”.

A parlare a TPI.it è Dimitri Deliolanes, scrittore e giornalista da Atene, è stato per molti anni corrispondente da Roma per l’emittente televisiva greca ‘ERT’. Esperto di politica interna greca.

Il commento è all’indomani del voto di fiducia, ottenuta il 16 gennaio 2019 dal premier greco Alexis Tsipras, dopo le dimissioni del ministro della Difesa, Panos Kammeno, e dopo la crisi per l’accordo raggiunto sul nome della Macedonia settentrionale. Tsipras ha ottenuto 151 voti a favore su 300 deputati, il numero minimo per continuare a governare fino alle elezioni di ottobre 2019.

È stato il premier Tsipras stesso a chiedere una fiducia sul suo governo. Una fiducia ottenuta per un pugno di voti: 145 sono quelli di Syriza, gli altri sei voti di chi sono? Il governo che dovrà arrivare fino a fine mandato ne esce indebolito?

Un gesto volontario quello di Tsipras, rischioso ma simbolico, poteva anche non chiederlo il voto alla fiducia. Per la Grecia non è una novità questo margine basso. Storicamente se non è un voto di scarto, sono due o tre al massimo: negli ultimi 30 anni è così. Intanto perché il parlamento in Grecia è composto da 300 persone e non da 630 come in Italia, poi perché la Grecia è sempre stata bipartitica. Per cui ci sono governi monocolore, con un’opposizione.

Non siamo abituati alle alleanze. Rispetto alla votazione di ieri sera c’è stato in parlamento un dibattito fin troppo acceso, ai limiti dell’isteria: si parlava di compravendita, di voti illegali. In realtà questi partitini nati in tempo di crisi come To Potamii centristi eccetera, che sono riusciti a entrare in parlamento, si stanno sfaldando.

Stiamo lentamente uscendo dal controllo della Troika e con la fine della crisi questi piccoli partiti stanno finendo. Quindi per la paura di sparire si stanno avvicinando o alla destra o a sinistra a Syriza. I deputati che si spostano ai due poli, rappresentano un cambiamento di fase politica, altro che compravendita. Ecco perché ha avuto i voti stanotte Tsipras.

Quale sarà il destino di questi mini partiti allora?

L’attuale parlamento è uno dei più pluralisti della storia della Grecia. Dalla caduta della Dittatura dei colonnelli fino alle elezioni del 2012, il panorama politico greco è stato bipolare, con due principali partiti: Nuova Democrazia (ND) e i socialisti di PASOK, che si alternavano alla guida del governo.

Escluso il partito comunista fermo al suo 6, 7 per cento e esclusi i neo nazisti di Alba Dorata che secondo i sondaggi hanno attorno al 9 per cento, gli altri partiti che si muovo nell’area più o meno di centro sono destinati a sparire. Mi riferisco a Greci Indipendenti, proprio il partito del ministro della Difesa che si è dimesso, che è nato nel 2012 da una scissione di Nuova Democrazia. O ancora a To Potami che è stato fondato sempre nel 2012 nelle più oscure condizioni, capeggiato da un giornalista televisivo, un po’ il Di Maio incompetente della Grecia.

La destra cavalca la disputa intorno al nome della Macedonia, FYROM. Perché ne ha fatto una sua battaglia, un suo tema sul quale battere il ferro caldo? 

Sono due le risposte: prima cosa la questione Macedone è stata creata dalla destra. Nel momento dello sfaldamento della Jugoslavia e della proclamazione di indipendenza nel 1991 della Repubblica socialista di macedonia, in quel frangente c’era un governo di destra in Grecia e fu il ministro degli Esteri di allora, Antōnīs Samaras che invece di trovare una mediazione europea all’epoca, lui, per suo tornaconto personale ha basato la sua carriera politica su questa cosa.

Il fatto è che di base la questione della Macedonia è molto sentita. C’è una componente nazionalista, sì, ma va ricordato anche che dall’altra parte stavano esagerando: dal governo di Skopje si volevano appropriare non solo del nome della regione a nord della Grecia, ma anche della cultura e della nascita della civiltà, dicendo di essere gli unici discendenti degli antichi macedoni da Alessandro Magno in poi. Da noi anche la sinistra è legata a questa questione identitaria.  Ma è come se in Austria si cominciassero a chiamare “Roma”, che ha una storia, una sua tradizione millenaria. I romani avrebbero qualcosa da ridire.

E il secondo motivo? Ma un “semplice nome” può scatenare tutte queste polemiche?

La seconda causa è perché l’accordo sul nome è stato ottenuto a giugno scorso da questo governo. Se fosse stato ottenuto da un altro governo e non da Syriza, non avrebbero alzato questo polverone e mosso le piazze. Tanto è vero che quando è stato chiesto ai Greci Indipendenti se revocherebbero l’accordo sul nome della Macedonia se dovessero andare la potere, la loro risposta è stata “no”.  Quindi l’uso del tema è strumentale.

C’è il fatto del nome, e poi c’è il conseguente blocco dell’entrata nella NATO per la Macedonia. Il veto greco sulla nato è stato funzionale per negoziare per il nome.

È una patata bollente: infatti dal ’91 nessuno si era voluto prendere la briga di creare il caos politico, trovando un compromesso. Tsipras l’ha fatto.

I Greci Indipendenti dopo le dimissioni del ministero della Difesa, avevano minacciato di far dimissionare altri sei ministri. Sarà così o verrà fatto un passo indietro?

Questi sei ministri hanno detto a Panos Kammeno “attaccati perché noi restiamo qua”. “Stimiamo il governo Tsipras, siamo favorevoli anche sull’accordo per la Macedonia e non ce ne andiamo” si sono ribellati i deputati. È il termometro politico questa decisione, di un cambiamento in atto.

Cosa bisogna tenere d’occhio dunque per le elezioni politiche del 2019?

Assolutamente il ritorno alla bipolarizzazione. In parlamento ci saranno ovviamente i nazisti, ovviamente Syriza, Nuova democrazia, i comunisti e con un 5 per cento l’ex potente socialista ormai ridotto ai minimi termini, Pasok, o addirittura può sparire anche lui. Proprio come sta succedendo in tutti gli altri partiti socialisti in Europa. La Grecia è stata la prima, infatti esiste il termine “Pasochizzazzione” per definire la triste sorte del partito socialista che è passato dal 44 per cento al 4 per cento nei vari paesi. Ma soprattutto sarà uno scontro duro, durissimo di opposizione tra Syriza e Nuova Democrazia. Uno scontro con il coltello tra i denti.

C’è ancora da avere paura di Alba Dorata? 

Si attende per quest’anno la sentenza del processo per l’omicidio del rapper musicista antirazzista Pavlos Fyssas, che va avanti da cinque anni. L’accusa per il gruppo dirigente è di costituire un’associazione a delinquere, e una sentenza prima delle elezioni deciderebbe la sorte di questo gruppo nazista.

Ma attenzione: l’estrema destra oramai in Grecia non è limitata ad Alba Dorata, il partito Nuova Democrazia è ormai fortemente spostato a destra. Questo è avvenuto per una serie di mosse che ha fatto il presidente del partito Kyriakos Mitsotakis, ponendo in capo al partito delle persone fuoriuscite da un movimento di estrema destra che ora non esiste più.

Oramai non si mascherano più, basti pensare che utilizzano delle argomentazioni da guerra civile, da guerra fredda che ricorda i tempi della dittatura dei colonnelli. Il vice presidente del partito è un editore di libri antisemiti e fascisti.

O ancora, il presidente del gruppo parlamentare di Nuova Democrazia, noto amico del padre di Marine Le Pen, ieri, prima del voto della fiducia a Tsipras ha detto: “Faremo sparire la sinistra, ma non nei luoghi, proprio nelle idee, che non devono più girare in parlamento”. Qua non si sta parlando di una sfida politica, ma di annientamento delle idee. Questo è il clima in Grecia, oggi.

 

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