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Home » Esteri

Nelle ultime proteste antigovernative in Etiopia sono morti oltre 500 manifestanti

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Dopo nove mesi di silenzio, il governo di Addis Abeba ha confermato la morte di centinaia di persone durante le recenti proteste scoppiate nel paese

Il governo etiope ha ufficialmente ammesso la morte di oltre 500 manifestanti durante le proteste antigovernative scoppiate nell’ultimo periodo nella regione di Oromia, in Etiopia.

La conferma arriva dopo quasi un anno di silenzio da parte del governo di Addis Abeba sulle continue repressioni da parte delle forze dell’ordine nei confronti dei manifestanti di etnia oromo, che costituiscono il più grande gruppo etnico etiope e rappresentano circa un terzo della popolazione. 

L’annuncio è arrivato martedì 11 ottobre da parte del primo ministro del paese, Hailemariam Desalegn, il quale ha dichiarato che il numero delle vittime, provocate sia da un’azione di forza da parte delle autorità sia per incidenti dovuti alla calca, si aggira intorno a 500. 

Quest’ammissione è giunta pochi giorni dopo la dichiarazione da parte del governo etiope dello stato di emergenza a livello nazionale, che rimarrà in vigore per i prossimi sei mesi. Non sono mancate accuse da parte del primo ministro contro infiltrazioni dall’esterno che mirano a seminare il caos nella nazione, abitata da oltre 100 milioni di persone. 

— LEGGI ANCHE: Chi sono gli Oromo e perché protestano 

L’ultimo episodio di violenza risale al 2 ottobre scorso, quando un gruppo di persone che stava partecipando a una festa religiosa nella città di Bishoftu, nella regione di Oromia, ha iniziato a gridare slogan antigovernativi, e la situazione è degenerata in scontri con le forze di polizia, che hanno disperso i manifestanti con gas lacrimogeni. 

Nel caos delle proteste, numerosi manifestanti presi dal panico sono rimasti schiacciati dalla calca. Secondo gli attivisti locali, almeno 50 persone hanno perso la vita, ma il governo non ha mai confermato ufficialmente la cifra, limitandosi ad annunciare che diverse vite erano andate perse e che i responsabili sarebbero stati puniti. 

Nella sua recente dichiarazione, il primo ministro Desalegn ha precisato che il bilancio delle persone rimaste uccise nelle proteste era di almeno 170, mentre le vittime nella città di Ahmara erano 120. Negli ultimi nove mesi, attivisti e gruppi d’opposizione hanno contestato queste dichiarazioni, sostenendo che il numero delle persone uccise nel corso delle proteste era di gran lunga superiore. 

Le comunità oromo e Amhara, che costituiscono complessivamente il 61 per cento della popolazione del paese, hanno protestato contro l’appropriazione delle loro terre e le continue violazioni dei diritti umani da parte del governo. 

Nonostante l’ammissione senza precedenti, il primo ministro etiope ha messo in guardia contro quelli che ha definito “gruppi armati estremisti e violenti” che dilagano nel paese. A ciò si sommano le dichiarazioni rilasciate all’inizio della settimana dal ministro delle Informazioni etiope Getachew Reda, che ha accusato gruppi di persone provenienti dall’Eritrea e dall’Egitto di aver contribuito a creare disordini. 

Il ministro degli Esteri egiziano aveva replicato alle accuse affermando di sostenere le proteste degli oromo, ma precisando al contempo che il suo paese non interviene negli affari interni del governo etiope. 

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