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Gli aborti clandestini

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La legge sull'aborto indonesiana è molto restrittiva. Così molte donne si trovano costrette a ricorrere a cliniche illegali

YOGYAKARTA – “Dal mio letto vedevo tutte le altre. Era caldo e umido. I muri così sottili che si sentiva il baccano della casa di fianco. La donna, lei che si sarebbe incaricata di farmi abortire, faceva segno a ognuna di noi di fare silenzio. Era una mia scelta, volevo che fosse fatto. Una signora sulla cinquantina è stata la prima. La gravidanza era avanzata. Hanno messo tutto in un sacchetto di plastica nero. Il dottore non è rimasto nella stanza tutto il tempo, entrava, usciva. In ogni caso avevamo pagato per restare nella casa 24 ore. Non è una questione sanitaria, ma di tempo, di soldi. Dopo aver finito ci hanno riportate alla stessa fermata dell’autobus dove eravamo state caricate su di una automobile, che poi si è persa in un quartiere periferico di Jakarta. Non avevo idea di dove fossi”.

Putra (nome di fantasia), 32 anni, insegna storia in una università di Yogyakarta. Dieci anni dopo racconta di quel giorno in un inglese corretto, quasi fosse una storia non sua. Suo figlio, seduto composto di fianco, si attacca alla cannuccia del frullato. Lei continua: “Allora la mia famiglia non l’avrebbe accettato. Non avevo i mezzi. Ho messo insieme i soldi. In una clinica pubblica della capitale ho avuto il contatto della persona che mi avrebbe potuto aiutare”. Una storia, una su 2,4 milioni. Questo il numero di aborti che l’agenzia National Population and Family Planning – Bkkbn – stima che avvengano ogni anno in Indonesia, 800 mila di questi fatti da giovani adolescenti. La legge che regola la materia è del 1992, rivista nel 2009: consente l’aborto solo entro le prime sei settimane di gravidanza per casi di violenza sessuale o di grave rischio per la salute della madre. È sempre necessario il consenso della famiglia o del marito della donna. Fuori da queste restrizioni ogni interruzione di gravidanza è considerata come un crimine che può essere punito con quattro anni di reclusione per chi abortisce. Un massimo di dieci per il dottore responsabile del caso.

Malgrado l’Indonesia resti una società fortemente tradizionale, religiosamente conservatrice e in cui l’educazione sessuale è carente o inesistente, le donne hanno facile accesso al mercato violento dell’aborto clandestino. Su internet, nelle cliniche pubbliche, o in alcune strade della capitale – come ad esempio Jalan Raden Saleh – un aborto si compra e si vende, a un prezzo che varia in rapporto ai mesi di gravidanza. I prezzi vanno da due milioni di rupie – 160 euro – ai quattro, ma c’è chi chiede molto di più. Spesso per mettere insieme la somma le donne si indebitano con amici e conoscenti, altre sono costrette a vendere il proprio motorino, uno dei beni di proprietà più comuni in questo Paese.

È successo a Inna, che oggi è alla testa di Samsara, una associazione pro-aborto, che rivendica il diritto delle donne al controllo sul proprio corpo, sulla nascita dei propri figli, e che contesta l’ipocrisia di una politica consapevole delle pericolose pratiche clandestine, ma che non prende nessun genere di provvedimento. “Tutti sanno dove sono queste cliniche, mi chiedo come mai non vengono mai chiuse. Il problema dell’Indonesia è la corruzione a tutti i livelli”. E continua: “Non c’è stato nessuno a sostenermi dopo l’esperienza traumatica del mio aborto, per questo ho deciso che avrei aperto una associazione per aiutare le donne che decidono di abortire. Così è nata Samsara”. Oggi l’associazione, che ha la sua sede in una casa persa tra le risaie di Yogyakarta, ha migliaia di contatti al mese. Diverse persone lavorano a tempo pieno per assistere le donne che decidono di interrompere la propria gravidanza.

“Basta una ricerca veloce su internet, su siti indonesiani, e trovi tutte le pillole abortive che vuoi”, spiega Adinda (nome di fantasia), 20 anni. Il tono è quello di un’ovvietà. Studentessa di Bandung, grande città nell’isola di Giava, Adinda ha deciso di interrompere una gravidanza indesiderata circa due anni fa. Ha comprato le pillole su internet e le ha avute consegnate a casa senza nessun problema. “Non sapevo quale fosse la procedura. E non potevo parlare con nessuno, né famiglia né amici. Così ho deciso di contattare Samsara”. Adinda ha avuto telefonicamente le istruzioni per prendere le pillole abortive, evitando le gravi conseguenze di chi le assume senza alcuna assistenza, non consapevole delle conseguenze.

È così che in Indonesia e nel mondo tante donne continuano a morire, o hanno danni permanenti, a causa di aborti pericolosi. Secondo una ricerca dell’Unicef ogni anno nel mondo sono dai 2,2 ai 4 milioni gli aborti non sicuri portati a termine da adolescenti d’età compresa tra i 15 e i 19 anni.

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