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Home » Esteri

Regeni, 4 anni dopo: tutta la fuffa della politica che ci ha preso in giro

Immagine di copertina
Credit: Gianluca Costantini

I genitori di Giulio Regeni, il ricercatore torturato e ucciso al Cairo nel 2016, combattono da anni una lunga e ardua battaglia per la verità. Un battaglia condotta con dignità e costanza. Mentre dalla politica solo parole al vento

“Con Al-Sisi abbiamo parlato del caso Regeni. Oggi al Cairo ci sono carabinieri e polizia e si fermeranno anche domani: l’importante e’ che la collaborazione riprenda. Al-Sisi mi ha rassicurato che la collaborazione da parte loro sarà massima”: dichiarazione del presidente del Consiglio Giuseppe Conte rilasciata il 14 gennaio 2020.

“Si è oggi svolta una lunga conversazione telefonica tra il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e il Presidente della Repubblica Araba d’Egitto, Abdel Fattah Al Sisi. Al centro dei colloqui – riferisce una nota di palazzo Chigi – la cooperazione bilaterale, con particolare riguardo alla ripresa dei contatti per l’urgente rilancio della collaborazione giudiziaria sull’omicidio di Giulio Regeni”.  26 dicembre 2019.

“Andrà avanti in maniera sempre più stringente la collaborazione tra la magistratura italiana ed egiziana per appurare tutta la verità sul caso Regeni. Ma, nel frattempo, il Governo italiano non deciderà altri passi per fare pressione sulle autorità egiziane, meno che mai proporrà il ritiro del nostro attuale ambasciatore al Cairo Giampaolo Cantini”. Così si sarebbe espresso il premier italiano Giuseppe Conte il 28 giugno 2019, nel faccia a faccia con il presidente egiziano Al Sisi a margine dei lavori del G20 a Osaka.

“La parola giusta è fuffa. Noi siamo 4 anni che chiediamo verità e giustizia per Giulio”. Claudio Regeni, 20 gennaio 2020.

Ha ragione signor Claudio. La parola, l’unica parola giusta che forse è ora di chiamare in causa è “fuffa”.

I genitori di Giulio Regeni, il ricercatore torturato e ucciso al Cairo, in Egitto, nel 2016, combattono da anni una lunga e ardua battaglia per la verità. Un battaglia condotta con dignità e costanza.

A distanza di 4 anni da quel terribile 25 gennaio 2016, quando di Giulio si persero le tracce, tocca ricordare come tutti i politici che si sono succeduti abbiano parlato e fatto promesse senza portare a casa nulla che servisse per avere giustizia rispetto a una morte così atroce.

Il 25 gennaio del 2016 il giovane ricercatore di Fiumicello esce di casa per andare in piazza Tahrir. Ma non ci arriverà mai perché scompare a una fermata della metropolitana, non lontana dal centro. Il suo corpo, seminudo e con segni evidenti di tortura, viene ritrovato il 3 febbraio lungo la superstrada che collega il Cairo con Giza. Del suo corpo, riportato in Italia pochi giorni dopo, sua mamma Paola dirà: “Su quel viso ho visto tutto il male del mondo e ho detto: perché si è riversato su di lui?”.

Partono le inchieste e i depistaggi, l’allora ambasciatore italiano al Cairo viene ritirato. Sarà Cantini a rimpiazzarlo per “cercare la verità”. Mai più si sono avute notizie da lui.

“Presidente Conte, si ricordi di Giulio mentre stringerà la mano del Generale Al Sisi e pretenda, senza ulteriori dilazioni o distrazioni di sorta, la verità sulla sua uccisione”. Era Aprile 2019 quando Paola e Claudio Regeni si rivolgevano al premier Conte in una lettera aperta su Repubblica.

Il premier disse di essere rimasto molto turbato da quelle righe, “L’Italia non può avere pace fino a quando non avrà la verità”, affermò Conte.

Il tempo passa, inesorabile, e con esso le speranze fuggono via.

“Non abbiamo ricevuto nessuna risposta al mio appello alla richiesta di fatti e informazioni, né ci è stato restituito alcun indumento di Giulio”, dice oggi Claudio Regeni. “Ci sono 80/100 piazze italiane che partecipano con fiaccolate, ci sono vicini e chiedono con noi verità e giustizia”. Ma, “tutte le nostre richieste quando eravamo andati a Bruxelles sono rimaste lettera morta. Bruxelles ha assunto anche un certo impegno che è andato del tutto disperso”.

C’è stato Conte e prima di lui molti altri che hanno promesso, che hanno regalato facili speranze e illusioni.

“Abbiamo ricordato all’Egitto che per noi il caso Regeni è una priorità”. Il 2018 come ministro degli Esteri c’era Enzo Moavero. Dopo il bilaterale con il presidente egiziano Al Sisi alla Conferenza di Palermo sulla Libia  raccontò: “Abbiamo costantemente sottolineato in tutti gli incontri in questi mesi che l’Italia non dimentica e desidera che sia fatta giustizia e sia portata luce la verità sulla fine terribile” di Regeni. La riposta egiziana è che “nei contatti in corso tra le procure si sta lavorando per fare i necessari passi avanti”. L’Italia continuerà a insistere”. Niente da fare.

Ma c’è stato anche il leader leghista Matteo Salvini che sul caso Regeni ha detto tutto e il contrario di tutto:

“Ho parlato con il presidente egiziano Al Sisi. Mi ha assicurato che sul caso di Giulio Regeni sarà fatta chiarezza e giustizia per la famiglia e per l’Italia, in modo rapido e con risposte certe”. Era il 2018 e Salvini era ministro dell’Interno.

Come era diventato ottimista Matteo Salvini. Proprio lui che nel 2016 diceva: “L’Italia conta come il due di picche, l’Egitto ci sta evidentemente prendendo in giro, l’Italia è un paese che viene irriso dall’Egitto, voglio sperare che ci sia un ministro del governo italiano che tiri fuori gli attributi”.

Come non ricordare Angelino Alfano, l’ex ministro degli Esteri che parlava di “ineludibili rapporti con l’Egitto”. O Maurizio Martina che si faceva immortalare mentre portava i fiori sulla tomba di Giulio.

In questi anni la politica ha ripetuto sempre le stesse cose e con formule pressoché simili, senza ottenere nulla.

Un ragazzo di 28 anni, un ricercatore italiano, nei primi anni del 2000, è stato torturato e ucciso da persone appartenenti agli apparati militari egiziani.

Se si può accettare che questa morte possa finire nel dimenticatoio, stiamo rinnegando decenni di progresso civile e sociale.

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