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Home » Esteri

Giorgia Meloni fa l’americana. All’ombra di Pechino

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Credit: AP Photo

La visita di Meloni alla Casa bianca è stata un successo. Joe Biden ha promosso la Premier in Atlantismo. Ma il tanto atteso annuncio della disdetta agli accordi con Pechino non è ancora arrivato. Così il Governo è stato rimandato a settembre. Quando Tajani visiterà la Cina

Niente compiti delle vacanze: la premier Giorgia Meloni esce dall’incontro con il presidente Usa Joe Biden promossa, senza crediti da recuperare. Ma l’autunno sarà impegnativo, perché “zio Joe” s’aspetta che l’Italia di Giorgia non rinnovi il protocollo d’intesa stipulato con la Cina per la Nuova Via della Seta – il nostro è l’unico Paese del G7 ad averlo fatto -; in cambio, offre un atteggiamento benevolo e incoraggiante verso i progetti di Roma per la presidenza di turno italiana del G7, specie per le iniziative sull’Africa – ancora più attuali dopo il colpo di Stato in Niger – e quel Piano Mattei i cui contenuti restano però fumosi.

Sul “memorandum of understanding” sottoscritto nel 2019 dal governo giallo-verde – premier Antonio Conte, vice-premier allora come oggi Matteo Salvini –, Meloni dice di non avere ancora preso una decisione, nega pressioni e tanto meno “diktat” dagli Usa e insiste che la questione deve essere discussa dal Governo e dal Parlamento italiani, previa una sua missione a Pechino, decisa, ma non ancora fissata. Numerose le valutazioni in gioco: non compromettere l’unità occidentale ed europea nei rapporti con la Cina, anche dal punto di vista della sicurezza; ma non perdere neppure i vantaggi derivanti dal “patto” che si articola in 29 intese, di cui 10 accordi commerciali e 19 istituzionali.

Senza strappi
Nei propositi di Meloni, la missione in Cina (dove si recherà a settembre il vicepremier Tajani, ndr) è uno dei punti fissi di un autunno internazionale caldo. In agosto, la premier sarà spettatrice, come tutti i suoi colleghi occidentali, del vertice dei Brics che si farà a Johannesburg, in Sudafrica, dal 22 al 24. L’appuntamento fra Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica è stato svuotato di un elemento di tensione dopo la decisione del presidente russo Vladimir Putin di non parteciparvi, evitando così ai padroni di casa il dilemma se arrestarlo o meno in esecuzione del mandato di arresto della Corte penale internazionale dell’Aia per crimini di guerra. Dal vertice degli Emergenti, tuttavia, si aspettano mosse sul fronte della pace in Ucraina e, soprattutto, della definizione di un nuovo ordine mondiale non più “Occidente centrico”.

Due settimane dopo, sarà già tempo di G20: il 9 e 10 settembre in India a Nuova Delhi. La coesione del consesso è apparsa molto fragile sul conflitto in Ucraina, riducendo la prospettiva di decisioni di rilievo; ma l’evento offre l’occasione di un fitto intreccio di contatti bilaterali. Dopo il G20, sarà già tempo di lavorare al G7 in Puglia nella seconda metà di giugno: le relazioni con la Cina e l’Africa saranno certamente in agenda; e una priorità sarà pure la ricostruzione dell’Ucraina, nella speranza che il conflitto si sia concluso.

Sulla Cina, «gli Stati Uniti non hanno mai posto la questione di cosa debba fare l’Italia», puntualizza Meloni. L’orientamento al no pare però netto, così da porre termine all’anomalia italiana nel G7 – nell’Ue, invece, una dozzina di Paesi hanno protocolli d’intesa con Pechino. Gli Stati Uniti ritengono che tali patti mettano a repentaglio tecnologie sensibili e infrastrutture vitali e aumentino l’influenza geo-politica, oltre che economica e commerciale, cinese. La premier vuole però evitare strappi: niente rinnovo, ma niente rotture.

Un filo esile
La visita di Meloni a Washington ha avuto un bilancio positivo: tanti complimenti, zero litigi, discreta curiosità per la prima donna premier italiana, pochi pregiudizi per la sua matrice politica (anche se i media sottolineano che è il capo dell’esecutivo più a destra della storia repubblicana). Eppure, di qui in avanti per Giorgia le relazioni con gli Usa saranno come camminare sulla corda: deve, infatti, mantenere l’equilibrio tra la vicinanza dei governi – tradizionale e consolidata, ma ugualmente da verificare a ogni scelta – e il suo tifo da leader di partito per Donald Trump – oppure Ron DeSantis -, quale che sia lo sfidante repubblicano del presidente democratico a Usa 2024.

La visita a Washington conferma la sintonia, quasi un’ansia di allineamento, del Governo Meloni con l’amministrazione Biden, specie sull’Ucraina. Per la premier, questa è la posizione migliore: «Avevano raccontato che un’Italia di centro-destra sarebbe stata un disastro sul piano della tenuta dei rapporti internazionali, della crescita economica e delle istituzioni. Invece, il governo è affidabile, credibile, pone con determinazione il tema dei propri interessi nazionali e rispetta quelli degli altri».
Meloni cerca di tenere distinti i due piani: come leader politica, riconosce che la sua famiglia è quella dei conservatori – lo speaker della Camera, il repubblicano Kevin McCarthy, le testimonia particolare apprezzamento -; come premier, esalta il solido rapporto tra i due Paesi.

«Con questa leader e la sua visione, il rapporto fra Usa e Italia non può che rafforzarsi»: è l’elogio dello speaker della Camera Kevin McCarthy, che ricorda le sue origini in parte italiane – Biden non è da meno: un nonno della moglie era di Gesso nel Messinese -. «È una delle personalità – aggiunge McCarthy – che ci ha più colpito, una persona che guarda avanti». Lei si dice «orgogliosa» del contributo degli italiani alla storia americana; e onorata di essere al Congresso, «nel cuore della democrazia».
Dal punto di vista del posizionamento della presidente di Fratelli d’Italia nel match tra Trump e DeSantis per la nomination repubblicana a Usa 2024, l’incontro con McCarthy non porta chiarimenti: lo speaker della Camera non è noto per il suo coraggio politico e sta con il più forte, dopo essere certo di avere capito chi lo sia. McCarthy, però, porta avanti un’iniziativa – velleitaria – di impeachment del presidente Biden, su cui Meloni evita di pronunciarsi. Nessun accenno neppure agli scricchiolii repubblicani sull’Ucraina, tra Trump che dice: «Farò finire la guerra in 24 ore» e DeSantis che teorizza: «l’Europa non è più il centro dei nostri interessi».

Colei che si definiva l’underdog della politica italiana entra fiera alla Casa Bianca: «Non mi sento Cenerentola – dice ai giornalisti -, sono consapevole del mio ruolo e del Paese che rappresento». E ne esce baldanzosa, dopo oltre un’ora e mezza di colloquio nello Studio Ovale: Meloni e Biden hanno totale sintonia sul fronte ucraino e vedono entrambi la Cina tra «sfida e opportunità».
Dal presidente, la premier incassa un’apertura di credito per le mosse italiane sul tema ormai divenuto la cifra primaria della sua politica estera: l’attenzione al fianco Sud e l’impegno a guardare al Mediterraneo e all’Africa, per frenarne l’ondata dei migranti e svilupparne il potenziale. E gli Usa sono in benevola attesa di contenuti e dettagli del Piano Mattei.
In tempi «difficili sappiamo chi sono gli amici», dice Meloni. E sottolinea che i rapporti tra Italia e Usa sono indipendenti «dal colore politico dei loro governi»: ragion per cui la sua «sintonia» con i repubblicani non le impedisce «di avere un ottimo rapporto» con l’amministrazione democratica.

Fino all’autunno, l’orizzonte appare senza nubi. Dopo, Cina e Usa 2024 potrebbero portare temporali.

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