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Governare logora: l’alleanza in Europa coi gilet gialli serve a Di Maio per tornare ad essere populista

Immagine di copertina
Luigi Di Maio e, a destra, una delle immagini simbolo della protesta dei gilet gialli.

Dietro il corteggiamento ai gilet gialli c'è la necessità, per il M5s, di ritrovare l'identità smarrita nei mesi passati al governo. L'internazionale populista che si è creata attorno al movimento francese rappresenta un'occasione ghiotta. E sullo sfondo c'è anche Steve Bannon

Alla disperata ricerca di una “casa” europea. C’è chi, in queste ore, sta descrivendo in questo modo il tentativo di avvicinamento ai gilet gialli messo in atto dal capo politico del M5s Luigi Di Maio.

Capo politico, non ministro dell’Interno o vicepremier perché, come ha sottolineato lo stesso Giuseppe Conte, “queste affermazioni sui gilet gialli Di Maio le fa come leader del Movimento 5 Stelle, non come membro del governo”.

Dopo aver inviato una lettera di sostegno al movimento di protesta francese (“Non mollate! Il Movimento 5 Stelle è pronto a darvi il sostegno di cui avete bisogno”), offrendo anche l’utilizzo della piattaforma Rousseau, in un’intervista rilasciata al Fatto Quotidiano mercoledì 9 gennaio Di Maio ha alzato la posta.

“Sto formando un gruppo per le Europee – ha detto – E nei prossimi giorni incontrerò anche alcuni dei gilet gialli. […] Se vogliono candidarsi alle Europee, io intendo spiegare loro che gruppo vogliamo creare”.

Due leader del movimento, Eric Drouet, e Ingrid Levavasseur, si sono dichiarati disponibili a trattare un’alleanza col M5s. “Per noi è un appoggio molto importante. L’alleanza è assolutamente fattibile”, ha detto Drouer.

“Contenta che una persona come Di Maio ci tenda la mano, sono pronta ad afferrarla”, ha aggiunto Levavasseur.

Il gruppo a cui sta lavorando Di Maio sarà aperto anche ad altre forze politiche, con le quali il leader M5s ha annunciato di essere in trattativa: si va dai polacchi di Kukiz’15, partito connotato chiaramente a destra, ai populisti croati di Živi zid, fino ai liberali finlandesi di Liike Nyt.

Come lo stesso vicepremier precisa nell’intervista, si tratta di partiti con posizioni diverse tra loro. “Non siamo d’accordo con i polacchi su diritti civili e aborto, mentre i finlandesi sono molto liberali, quindi su alcune cose non la vediamo nello stesso modo. Invece i croati non credono nell’euro, mentre per noi non si esce dalla moneta unica”.

Ciò che terrebbe insieme questi partiti, in un’ipotetica alleanza europea, secondo il ministro del Lavoro è il richiamo alla partecipazione popolare: “Vogliamo creare la grande famiglia europea della democrazia diretta”, è lo slogan lanciato da Di Maio sulle colonne del Fatto.

Del resto, il vicepremier si era rivolto in questi stessi termini anche ai gilet gialli: “Il grido che si alza forte dalle piazze francesi è in definitiva uno: ‘fateci partecipare!’”.

Per tenere insieme l’ala destra e quella sinistra del M5s, insomma, Di Maio sta tentando di rilanciare lo spirito pentastellato delle origini, quello legato alla partecipazione dal basso, ai meet-up, alla lotta contro la casta (in questo caso la classe politica dei partiti tradizionali in Europa).

Sullo sfondo c’è l’esigenza di ritrovare un’identità che non sia appiattita sul sovranismo anti-migranti di Salvini e dei suoi partner europei (Le Pen e compagnia).

Il tutto tenendo ferme le istanze sui diritti sociali, la critica alla globalizzazione selvaggia e alle disuguaglianze. Non a caso i polacchi di Kukiz’15 hanno al centro del loro programma la distruzione della partitocrazia, mentre i croati di Živi zid hanno fatto battaglie per le case popolari e contro gli sfratti.

E gilet gialli? Che ruolo hanno in tutto questo?

C’entra innanzitutto la necessità di trovare un alleato potenzialmente forte in Europa. Il movimento francese, che presto potrebbe costituirsi in partito, è stimato nei sondaggi per le europee a un lusinghiero 12-13 per cento.

In Francia, nonostante le violenze, quasi la metà della popolazione supporta i gilet gialli e si dice favorevole alle loro istanze.

Si tratterebbe insomma, da un punto di vista numerico, del partner più forte per il M5s. I pentastellati, del resto, cercano una famiglia europea ormai da molto tempo.

Ci avevano provato con la paradossale offerta di alleanza all’Alde, il gruppo liberale e turbo-europeista guidato da Guy Verhofstadt.

Avevano poi corteggiato, non più tardi di un anno fa, persino Emmanuel Macron, a cui Di Maio aveva inviato una lettera sottolineando l’intento comune di creare un movimento che andasse oltre le ideologie e le contrapposizioni tra destra e sinistra.

C’era chi, all’epoca, aveva parlato di una svolta europeista e atlantista dei grillini.

Se questi tentativi erano apparsi goffi e in contraddizione con le posizioni storiche del Movimento, coi gilet gialli la questione è diversa. È vero che si tratta di un gruppo di protesta fortemente eterogeneo, diviso tra ala moderata ed estremista, al momento privo di un baricentro politico e programmatico riconoscibile.

E tuttavia, è un movimento che tiene insieme le istanze sociali con quelle del populismo plebiscitario: revisione della Costituzione, tagli ai costi della politica, introduzione di referendum propositivi.

Insomma, potenzialmente il partner ideale per “l’internazionale della democrazia diretta” lanciata da Di Maio.

Ma non c’è solo questo. Se il potenziale dei gilet gialli in termini di coesione e di voti è tutto da verificare, quello simbolico è già potentissimo e va ben oltre la Francia e il movimento stesso.

Si tratta infatti di un gruppo che ha riunito attorno a sé istanze presenti già da tempo nell’agenda delle principali forze populiste globali, conferendo a queste stesse istanze un’ulteriore carica di protesta dal basso e, appunto, un fortissimo capitale simbolico.

Non è un caso, come avevamo già spiegato in questo articolo, che sul movimento abbiano cercato di mettere il cappello politico i principali leader populisti mondiali, politici e non: da Trump a Putin, passando ovviamente per Le Pen e Mélenchon, fino ad arrivare a Steve Bannon.

C’è chi pensa che il movimento dei gilet gialli, infatti, si saldi alla perfezione con il progetto dell’ex stratega di Trump di creare un’internazionale populista attraverso la sua fondazione The Movement.

L’obiettivo di Bannon, a breve termine, è proprio quello di avere un impatto sulle elezioni europee di maggio. In questo scenario, Di Maio si è buttato a pesce su quest’alleanza politico-sociale che ha nel simbolismo dei gilet gialli e nel coordinamento operato da Bannon i suoi capisaldi.

Aspetto non marginale, questa presa di posizione può permettere al capo politico dei Cinque Stelle di riguadagnare l’immagine di  leader di lotta che l’azione di governo sta inevitabilmente appannando.

Le promesse non mantenute su Tap, Ilva, trivelle, lo scopiazzamento del Pd sul salvataggio delle banche, sono tutti elementi che hanno usurato la macchina propagandistica con cui per anni i Cinque Stelle hanno incarnato la protesta degli italiani contro establishment e ingiustizie sociali.

Urge un tagliando, e se stare al governo logora, c’è un agone politico in cui i pentastellati sono ancora opposizione, ed è quella dell’Europa. E proprio spostando sull’asse europeo la propaganda di lotta e di opposizione Di Maio sta provando a rifarsi una verginità politica.

Mettere il cappello sulla protesta dei gilet gialli, in quest’ottica, non è né una ragionata scelta politica né un tentativo goffo ed estemporaneo. È una necessità.

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