A Ghouta si continua a morire nonostante la tregua
I ribelli e le truppe governative si attribuiscono reciprocamente la responsabilità della violazione del cessate il fuoco ordinato dal presidente russo Vladimir Putin
Nonostante la tregua umanitaria di 30 giorni disposta dalle Nazioni Unite, martedì 27 febbraio 2018 sono proseguiti i combattimenti nella zona di Ghouta Est, l’enclave in mano ai ribelli siriani che da oltre una settimana è sotto intensi bombardamenti delle truppe governative di Bashar al-Assad.
Anche il presidente russo Vladimir Putin lunedì 26 febbraio aveva ordinato una pausa quotidiana di cinque ore ai combattimenti, dalle 9 alle 14, per permettere l’evacuazione dei civili.
I ribelli hanno detto che ci sono stati attacchi aerei e di artiglieria da parte delle truppe governative, mentre la Russia ha affermato che a violare la tregua sarebbero stati i ribelli stessi, che avrebbero bombardato un corridoio umanitario destinato all’evacuazione dei civili.
Quasi 400mila persone sono ancora intrappolate nell’enclave vicino a Damasco, che è sotto assedio dal 2013.
In un forte video diffuso dalla BBC si vede il dramma dei feriti assiepati in uno dei pochi ospedali ancora funzionanti nella zona.
La Protezione Civile della Siria, i cui volontari sono conosciuti come “Caschi bianchi”, ha riferito di morti civili in attacchi aerei contro le città di Harasta e Misraba.
Il ministero della Difesa russo, nel frattempo, ha detto che i ribelli nella Ghouta orientale “hanno portato avanti un’offensiva” durante la tregua, compreso un attacco alle posizioni del governo in due insediamenti.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato di avere una lista di oltre 1.000 persone gravemente ammalate e ferite che hanno urgentemente bisogno di essere evacuate.
Un’infermiera della città di Harasta, nel distretto di Ghouta orientale, ha rilasciato a Global Voices una drammatica testimonianza sulle condizioni degli ospedali della zona.
Le accuse di colpi di mortaio sono state negate dai due gruppi ribelli islamici che dominano la Ghouta orientale, Jaysh al-Islam e Faylaq al-Rahman, mentre i militari siriani hanno detto di non aver effettuato attacchi aerei.
Il futuro della tregua e l’estensione della “pausa” giornaliera dipenderanno “da come si comportano i gruppi terroristici”, ha detto il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov.
Il ministro degli Esteri francese ha affermato che è essenziale fornire aiuti umanitari, ma le organizzazioni umanitarie – tra cui il Comitato internazionale della Croce Rossa – sostengono che il tempo previsto dall’iniziativa russa non è sufficiente.
L’assedio governativo ha portato infatti all’esaurimento delle scorte di cibo.
Sabato 24 febbraio il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha invocato una tregua di 30 giorni nell’area di Ghouta, al fine di permettere l’arrivo di medicinali e di evacuare i civili.
La Russia è stata accusata di voler rimandare più volte il voto chiedendo delle modifiche alla bozza di risoluzione, con argomenti giudicati volutamente pretestuosi da numerosi osservatori.
Sebbene la risoluzione dell’Onu abbia come obiettivo primario quello di mettere in salvo i civili nel Ghouta, i suoi effetti si applicano all’intera Siria, dove al momento sono in corso altri conflitti, in particolare nella zona di Afrin e in quella di Iblid.
La bozza chiede una tregua generale in tutto il paese. Nel testo si sostiene che 5.6 milioni di siriani si trovino in condizione di estremo pericolo.
Lunedì 26 febbraio si sono registrate delle violazioni al cessate il fuoco, con raid aerei del regime siriano che hanno provocato, secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani (OSDU), nove morti e 31 feriti.
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