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Gerusalemme, primo sfratto da cinque anni a Sheikh Jarrah: Israele demolisce la casa di una famiglia palestinese

Immagine di copertina
Una ruspa israeliana demolisce l'abitazione della famiglia palestinese Salhiya nel quartiere Sheikh Jarrah di Gerusalemme Est, il 19 gennaio. Credit: EPA/ABIR SULTAN

Gerusalemme, primo sfratto da cinque anni a Sheikh Jarrah: Israele demolisce la casa di una famiglia palestinese

La polizia israeliana ha sfrattato una famiglia palestinese dalla propria casa nel quartiere di Sheikh Jarrah a Gerusalemme est, ponendo fine a una lunga disputa che aveva suscitato proteste a livello internazionale. Si tratta del primo sfratto avvenuto dal 2017 a Sheikh Jarrah, da decenni al centro di dispute legali tra gruppi di coloni israeliani e le famiglie palestinesi che vi abitano. Lo scorso maggio le tensioni nel quartiere erano sfociate in una guerra tra Israele e Hamas, la peggiore dal 2014.

La casa occupava un terreno espropriato nel 2017 dalle autorità israeliane, secondo cui l’edificio era stato costruito illegalmente durante gli anni ’90, su uno spazio destinato ad uso pubblico. La famiglia Salihiya che vi abitava sosteneva invece di risiedere nella casa dagli anni ’50 e di aver acquistato il terreno da privati.

Dopo anni di ricorsi, lunedì scorso gli agenti hanno fatto un primo tentativo di sfrattare la famiglia, per poi ritirarsi dopo che il padre, Mahmoud Salhiyeh, aveva minacciato di darsi alle fiamme e di far esplodere la sua casa assieme a lui. “Non ce ne andremo. O vivremo o moriremo. Mi brucerò con la benzina”, aveva detto Salihiya in un video dopo essersi barricato sul tetto con una tanica. Mentre le autorità negoziavano con i residenti, avevano iniziato a demolire un vivaio che la famiglia aveva costruito nel cortile.

La polizia è poi tornata la scorsa notte intorno alle 3, in un raid che ha portato all’arresto di almeno 18 persone, tra cui la maggior parte dei membri della famiglia Salihiya e diversi attivisti. Dopo lo sfratto, che ha coinvolto decine di agenti, una ruspa ha demolito la casa, lasciando a terra diversi effetti personali dei Salihiya.

Secondo la città di Gerusalemme, al posto della casa dovrà essere costruita una scuola per studenti palestinesi con bisogni educativi speciali, sei asili nido e altre strutture pubbliche. Gli attivisti che hanno contestato lo sfratto sostengono invece che l’azione fa parte di una campagna per espellere i palestinesi dal quartiere, sottolineato come la città avrebbe potuto scegliere di sviluppare il progetto in un altro terreno destinato a uso pubblico nelle vicinanze, assegnato invece alla costruzione di una scuola religiosa ultra-ortodossa.

La casa si trovava a poca distanza dal consolato britannico a Gerusalemme Est, che negli scorsi giorni ha ribadito come, tranne in casi eccezionali, gli sfratti all’interno dei territori occupati siano contrari al diritto internazionale. Il consolato ha chiesto al governo israeliano di “cessare queste pratiche che servono solo ad aumentare le tensioni”.

Secondo l’ong Ir Amim, attualmente a Sheikh Jarrah circa 300 palestinesi rischiano lo sfratto. Nella maggior parte dei casi, a chiedere di allontanare le famiglie non sono autorità pubbliche, come nel caso dei Salhiyeh, ma gruppi di ebrei israeliani che rivendicano la proprietà delle abitazioni in cui risiedono.

Questo grazie a una legge del 1970 che permette di reclamare la proprietà dei terreni appartenuti agli ebrei prima della guerra arabo-israeliana del 1948. Una possibilità che la legge però non riconosce ai palestinesi che hanno perso appezzamenti nella stessa guerra, anche se risiedono ancora in aree controllate da Israele.

A maggio, le tensioni per il possibile sfratto di diverse famiglie nel quartiere, situato circa due chilometri a nord della Città vecchia, avevano spinto Hamas prima a minacciare e poi a lanciare un attacco contro Israele, scagliando razzi contro Gerusalemme per la prima volta dal 2014. In risposta l’aviazione israeliana ha condotto centinaia di raid nella striscia di Gaza, che hanno portato alla morte di oltre 250 palestinesi nell’arco di 11 giorni, a fronte di 13 israeliani uccisi.

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