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Home » Esteri

Germania Anno Zero fra calcio e realtà: l’ascesa di AfD, Euro2024 e il doppio volto di Berlino

Immagine di copertina
Credit: AP Photo

Il crollo del Spd e l’ascesa di Alternative für Deutschland (Afd) mostrano il doppio volto del Paese che ospita Euro 2024. Tanto la Nazionale sa essere inclusiva e multietnica, quanto la politica risulta divisiva. Così nell’Est l’estrema destra è diventata il primo partito

Era il 22 giugno del ’74 quando ad Amburgo andava in scena un derby che è difficile da spiegare a un ragazzo di oggi: Germania Est contro Germania Ovest, l’emblema della Guerra fredda, del Paese diviso dal muro che attraversava Berlino, dei blocchi contrapposti e delle famiglie separate da un’ingiustizia durata per ben ventotto anni. Per la cronaca, prevalse la Germania Est grazie a un gol di Jürgen Sparwasser, mezzala del Magdeburgo, vincitore, proprio quell’anno, della Coppa delle Coppe contro il Milan. Quel successo è passato alla storia, essendo stato l’unico di una squadra della Germania Est nelle competizioni europee. 

Mezzo secolo dopo
Mezzo secolo dopo, la Germania è ormai unita da più di trent’anni ma le divisioni sostanziali sono evidenti. Basti pensare che di tutti gli stadi in cui si giocano gli Europei, uno soltanto, quello di Lipsia, si trova a Est. Senza contare che due sole nazionali, Croazia e Inghilterra, alloggiano rispettivamente in Brandeburgo e in Turingia. E che dire dei giocatori, provenienti quasi tutti dall’Ovest, a differenza di ciò che avvenne dopo l’unificazione, quando il numero di calciatori dell’Est che facevano parte della Mannschaft arrivò addirittura a sette, compresi pilastri come Matthias Sammer, protagonista con la Germania che vinse gli Europei inglesi del ’96, aggiudicandosi lo stesso anno persino il Pallone d’oro, e Michael Ballack, faro della Nazionale che dieci anni dopo sarebbe stata costretta ad arrendersi in semifinale al cospetto degli Azzurri di Lippi. Oggi, fatto salvo Toni Kroos, nativo di Greifswald, il vuoto. Meno circoli dilettantistici, meno opportunità, l’obbligo, per chi abbia una qualsivoglia ambizione, anche nel calcio, di trasferirsi a Ovest e, in questo deserto, l’ascesa di un partito pericoloso come Alternative für Deutschland, tra i cui esponenti serpeggiano addirittura sentimenti filo-nazisti.

Ci siamo posti queste riflessioni proprio mentre vedevamo le partite di questi giorni, osservando con quanto trasporto fossero applauditi i campioni allenati da Julian Nagelsmann, emblema di un Paese multietnico nel quale, non a caso, fra i protagonisti principali troviamo Antonio Rüdiger, originario della Sierra Leone, Jamal Musiala, originario della Nigeria, e due “turchi” come İlkay Gündoğan ed Emre Can. È mai possibile che gli stessi tedeschi che festeggiano per i gol e per le giocate dei loro beniamini poi votino un soggetto del genere? Se ciò accade, significa che si è rotto qualcosa all’interno di quella che un tempo era considerata la “locomotiva d’Europa”. 

Consapevolezza
Non a caso, la Federcalcio tedesca (Dfb) ha deciso di correre ai ripari, accantonando per un attimo il business e facendo svolgere alla squadra la prima settimana di ritiro non nel centro tecnico dell’Adidas, dove si allena adesso, ma a Blankenhaim, in Turingia, ossia in uno dei tre land che, insieme a Brandeburgo e Sassonia, andrà al voto a settembre, dando il via all’anno elettorale che condurrà la Germania alle politiche nel settembre 2025. 

Sempre non per caso, come riportato da Domani, Michael Bartsch, giornalista e intellettuale nato a Brema, su Der Freitag ha definito la Nazionale uno strumento in grado di «salvare la democrazia». «Per la squadra ogni mezzo è giusto. Inchiodare gli avversari al campo, bere segretamente una pozione magica, mettere tutti i portieri tra i pali, in modo che nessun tedesco sul divano vada di nuovo in depressione quando subisce un gol», ha affermato, con stile caustico ed efficace. «Voi calciatori tra i piedi non avete solo la palla, ma anche la responsabilità di impedire una rivolta popolare disfattista alle urne!».

Ora, forse Bartsch esagera un po’; fatto sta che determinate decisioni non sono state assunte per mere ragioni sportive. In Germania, a differenza che da noi, esiste ancora, per fortuna, una forte cultura anti-totalitaria, che individua nella deriva nazistoide in atto un nemico esiziale, capace di minare le fondamenta stesse della comunità e, pertanto, da contrastare con il massimo vigore. 

“Un solo popolo”
Tutto ciò è ancor più necessario alla luce della scaltrezza dei vertici di AfD. Una delle frasi iconiche della riunificazione tedesca recita, infatti, “Wir sind das volk” (“Noi siamo la gente”, “un solo popolo”). Venne gridata a Lipsia nei giorni dell’abbattimento del Muro di Berlino, contribuendo ad aprire una crepa decisiva nell’ormai anti-storica barriera.

Ebbene, dal 2019 quella frase è diventata uno degli slogan dell’estrema destra, nel tentativo di convincere gli abitanti della Sassonia di essere stati traditi. Il che, in parte, è anche vero, dato che i divari fra Est e Ovest sono acuti e che le politiche messe in atto da Olaf Scholz e dal suo governo hanno fatto poco o nulla per alleviare le disuguaglianze che costituiscono il miglior propellente per chi vorrebbe distruggere l’Europa. Il punto è se si possa accettare passivamente una simile deriva, 

Perfida Uefa
Di sicuro, non aiuta l’atteggiamento assunto dalla Uefa, la quale ci istiga a sostenere persino la Superlega pur di manifestare apertamente il nostro disappunto nei confronti delle sue decisioni. L’ultima, in ordine cronologico, riguarda il dissenso da parte dei giocatori: semplicemente, non è ammesso. Anche per questo fioccano cartellini ridicoli, come se i giocatori fossero dei circensi anziché degli esseri umani.

Siamo tornati alla logica dei gladiatori: non persone, dotate di un pensiero e di una visione del mondo, ma semplici strumenti per far divertire il pubblico, in nome dell’idea balzana secondo cui nessun evento calcistico di livello planetario debba smuovere le coscienze. Del resto, ricorderete senz’altro le polemiche relative alla fascia arcobaleno al braccio del capitano tedesco Manuel Neuer per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle discriminazioni che è costretta a subire, specie in alcuni Paesi, la comunità Lgbtq+. Da allora, la situazione è addirittura peggiorata. 

Calciatori protagonisti
Per fortuna, esistono ancora personalità del calibro di Kylian Mbappé e Marcus Thuram, i quali possono permettersi di esprimere la propria visione del mondo senza che nessuno possa sanzionarli. E anche il già menzionato Toni Kroos, tornando alla Germania, con le sue prese di posizione contro il calcio saudita e il mancato rispetto dei diritti umani a quelle latitudini, ha fatto alla grande la propria parte. Non è così da noi, dove i ragazzi di Luciano Spalletti non sono stati messi nelle condizioni di votare agli Europei e a Davide Frattesi è stato persino impedito, in conferenza stampa, di rispondere a una domanda di un collega di Radio Rai che gli aveva chiesto cosa ne pensasse dell’avanzata dell’onda nera nel Vecchio Continente. 

C’è chi glissa, chi predica neutralità, chi sostiene che si debba parlare unicamente di calcio e poi c’è la realtà, che ci parla espressamente di una generazione di calciatori che non accetta, a differenza dei predecessori, di vivere nella propria bolla ma vuole contare, dire la propria e prendere posizione in merito ai grandi temi politici, sociali e civili del nostro tempo. La destra, diffusa a ogni latitudine, l’ha capito e teme questa tendenza più di ogni altra cosa, al punto che fa di tutto per ostacolarla. Per fortuna perderanno, perché, in Germania come altrove, il calcio è politica. Bisogna solo capire quanto ci vorrà, poiché da questa variabile dipende il nostro destino.

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