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Boris Johnson, un suo ex consulente lo attacca: “Era contrario a restrizioni anti-Covid perché morivano solo 80enni”

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Credit: Andrew Parsons/n10 Downing street/ANSA

Boris Johnson era “riluttante” a inasprire le restrizioni anti-Covidnell’autunno del 2020 nonostante l’aumento dei decessi per Coronavirus nel Regno Unito, perché “essenzialmente” tutte le persone che morivano avevano “oltre 80 anni”. L’accusa arriva direttamente dall’ex consulente capo del premier britannico Dominic Cummings, dimessosi nel novembre scorso dopo uno scandalo privato.

In una lunga intervista concessa alla giornalista della BBC, Laura Kuenssberg, Cummings ha inoltre accusato BoJo di aver insistito all’inizio della pandemia per proseguire i propri incontri settimanali con la regina Elisabetta nonostante i rischi, rendendosi conto solo in un secondo momento del pericolo di contagiare la sovrana allora 93enne.

Secondo Cummings, nell’ottobre scorso quando nel Regno Unito i decessi per Covid avevano raggiunto i 100 al giorno, Johnson avrebbe preferito che il contagio “attraversasse il Paese” piuttosto che distruggere l’economia. “Non mi bevo più tutta questa roba esagerata del Servizio sanitario nazionale”, avrebbe scritto il premier britannico in un messaggio inviato al proprio consulente capo.

I contagi da Covid-19 erano diminuiti la scorsa estate nel Regno Unito, tornando rapidamente a salire all’inizio dell’autunno. L’inasprirsi della crisi sanitaria aveva provocato un intenso dibattito all’interno del governo britannico su quali misure fosse necessario adottare.

Nel corso dell’intervista alla BBC, la prima rilasciata personalmente da Cummings dalla sua uscita dalla scena pubblica, l’ex consulente di Boris Johnson ha rivelato di aver consigliato al premier – già da metà settembre – di introdurre restrizioni anti-Covid più severe, un punto su cui sarebbero stati d’accordo anche il consigliere scientifico capo del governo britannico Sir Patrick Vallance e l’epidemiologo Chris Whitty, principale consigliere sanitario delle autorità d’Oltremanica, che oggi rifiutano di commentare.

Allora, BoJo avrebbe opposto il proprio rifiuto: “No, no no, no, no, non lo farò”. Secondo Cummings, il primo ministro voleva dare allora ascolto a certi ambienti “dei media e del partito conservatore che urlavano” di non aumentare le restrizioni, “riferendosi sempre” al Daily Telegraph, testata per cui in passato il premier aveva scritto, come “il mio vero capo”.

Il 13 ottobre 2020, con i decessi per Covid saliti nel Regno Unito a oltre 100 al giorno, il leader laburista Sir Keir Starmer aveva chiesto l’inasprimento delle misure anti-Covid “per due o tre settimane”, ma il governo aveva deciso di non ascoltare l’opposizione. In un messaggio inviato il 15 ottobre a Cummings su WhatsApp, visto dalla BBC, Boris Johnson non si mostrava particolarmente scosso dai dati sulle vittime della pandemia.

Il premier, secondo il suo ex consulente capo, avrebbe notato come l’età media dei deceduti si attestasse allora tra gli 81 e gli 82 anni per gli uomini e intorno agli 85 per le donne. “È al di sopra dell’aspettativa media di vita”, avrebbe scritto Johnson. “Quindi prendi il Covid e vivi più a lungo”.

“Quasi nessuno sotto i 60 anni va in ospedale … e tra questi praticamente tutti sopravvivono”, avrebbe aggiunto il premier britannico. “Non mi bevo più tutta questa roba esagerata del Servizio sanitario nazionale. Penso che potremmo aver bisogno di aggiustare il tiro… Ci sono al massimo 3 milioni di persone in questo Paese con un’età superiore agli 80 anni”. Per questo, secondo Cummings, Johnson era convinto che non si sarebbe arrivati a un nuovo lockdown.

Attraverso un portavoce del governo intervistato dalla BBC, Downing Street ha smentito la ricostruzione dell’ex consulente capo del primo ministro. Il 31 ottobre infatti Johnson annunciò un blocco di quattro settimane in tutta l’Inghilterra a partire dal 5 novembre, definendo la misura necessaria per proteggere il Servizio sanitario nazionale visto che i dati suggerivano la possibilità di arrivare a “diverse migliaia di decessi al giorno” senza “interventi decisi”.

Secondo il governo britannico, durante la pandemia il premier ha intrapreso “le misure necessarie per tutelare le vite e i mezzi di sussistenza della popolazione, guidato dai migliori consigli scientifici”. Downing Street rivendica inoltre di aver impedito il collasso del Servizio sanitario nazionale.

Ma le accuse di Cummings non si fermano alla gestione della crisi sanitaria, arrivando anche a coinvolgere il comportamento personale del primo ministro, fermato dai propri consulenti – secondo la ricostruzione resa nell’intervista alla BBC, prima di mettere in pericolo la regina Elisabetta.

All’inizio della pandemia, secondo Cummings, il premier Boris Johnson avrebbe voluto continuare a incontrare la sovrana, allora 93enne, per i consueti faccia a faccia settimanali previsti tra Sua Maestà e il capo del governo.

Il 18 marzo dello scorso anno, ha ricordato l’ex consulente del primo ministro britannico, Johnson avrebbe detto: “Vado a incontrare la regina… È quello che faccio ogni mercoledì: al diavolo tutto il resto. Vado a trovarla”.

Cummings sostiene di essere intervenuto personalmente per fermare il premier. “Alcune persone in questo ufficio si stanno mettendo in isolamento. Tu potresti avere il Coronavirus. Io potrei avere il Coronavirus”, avrebbe detto l’allora consulente a Johnson. “Non puoi andare a incontrare la regina. E se vai e la contagi? Ovviamente non puoi andare”.

Ai dubbi del premier, Cummings avrebbe rincarato la dose: “Se la contagiassi e lei morisse, che faresti? Non puoi andare. Non puoi rischiare. È una completa follia”. Soltanto allora il primo ministro britannico, ammettendo di non aver riflettuto sulle possibili conseguenze, avrebbe cambiato idea: “Sì, hai ragione… non posso andare”.

Anche questa ricostruzione è stata categoricamente smentita da Downing Street, mentre Buckingham Palace – come di consueto – ha rifiutato ogni commento.

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