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Il G7 annuncia un prestito da 50 miliardi di dollari all’Ucraina ma l’Europa (e l’Italia) rischia di restare con il cerino in mano

Immagine di copertina
Credit: AGF

Il G7 ha annunciato un prestito da 50 miliardi di dollari all’Ucraina garantito dai fondi congelati alla Russia dopo l’invasione iniziata nel febbraio 2022 ma l’Europa e Paesi già molto indebitati come l’Italia rischiano di restare con il cerino in mano.

L’annuncio ha permesso alla premier Giorgia Meloni di esultare per il risultato conseguito al vertice in Puglia, già approvato negli scorsi giorni dall’Ecofin. Anche il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che in realtà aveva chiesto la consegna a Kiev di tutti i fondi congelati a Mosca, ha salutato la decisione come un passo avanti per difendere il suo Paese aggredito da due anni dal Cremlino.

Tuttavia c’è ancora molto da decidere e toccherà ora ai ministri delle Finanze del G7 trovare un modo per attuare il provvedimento, tecnicamente e legalmente molto complesso. Se fonti interne ai colloqui hanno assicurato che l’Ucraina avrà a disposizione questi soldi entro la fine dell’anno, gli Usa hanno già ammesso che per ora non si sa né chi pagherà né quando i fondi arriveranno a Kiev.

L’impegno assunto al summit di Borgo Egnazia dai leader di Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti di concedere all’Ucraina un prestito da 50 miliardi di dollari garantito dai 280 miliardi di fondi congelati alla Banca centrale russa comincia già a far discutere. In un’intervista concessa ieri, la segretaria al Tesoro Usa Janet Yellen ha detto che si tratta di obbligare Mosca “a contribuire al risarcimento dei danni causati” dalla guerra e questo sarà “solo il primo” di altri prestiti simili a Kiev. Il presidente russo Vladimir Putin intanto l’ha definito un “furto” e ha minacciato ritorsioni.

Ma perché un prestito e non un finanziamento a fondo perduto? D’altronde, secondo il Kiel Institute, dei 102 miliardi di euro di risorse già stanziate (oltre ai 75,8 promessi) dalle istituzioni europee a favore di Kiev ben 31 miliardi non sono prestiti e nemmeno 22,8 dei quasi 70 miliardi di dollari erogati dagli Usa.

Eppure un conto sono gli aiuti e un altro i fondi russi, che sono stati “solo” congelati dopo l’invasione iniziata da Putin nel febbraio 2022 ma non ancora confiscati. Questi beni non sono più accessibili dal Cremlino ma appartengono comunque legalmente a Mosca. Per requisirli servirebbe il verdetto di un tribunale e una sentenza del genere non ha precedenti nella storia.

Da dove arriveranno allora i soldi per il prestito? Oltre i due terzi dei 280 miliardi di dollari congelati alla Russia sono depositati nelle banche dell’Unione europea. La sola Euroclear Bank, un istituto di credito belga, detiene 170 miliardi di dollari di asset russi sottoposti a sanzioni, che soltanto l’anno scorso hanno generato più di 4 miliardi di dollari di utili e altri 595 milioni nei primi tre mesi del 2024.

Ma come funzionerà questo prestito? Come detto, toccherà ora ai ministri delle Finanze del G7 decidere i dettagli, tuttavia verosimilmente saranno i Paesi membri, con gli Usa in testa, a erogare effettivamente i fondi a Kiev, indebitandosi a loro volta con l’emissione di titoli di Stato.

La restituzione di questi soldi dovrebbe poi essere garantita dagli utili generati dagli asset congelati alla Russia (stimati in almeno tre miliardi di dollari all’anno) e, in ultima istanza, dalla loro confisca – non esclusa a priori dalla segretaria Yellen in un editoriale pubblicato sul New York Times – a meno che Mosca non risarcisca l’Ucraina. Ma qui cominciano i problemi.

La Casa bianca ha infatti chiarito che, se necessario, gli Stati Uniti sono disposti a versare l’intero importo da 50 miliardi di dollari ma si aspettano che gli altri Paesi del G7 facciano la loro parte. Insomma dopo l’apparente unità sembrano già cominciati i distinguo, tanto che la stessa Janet Yellen ha dovuto ammettere di non poter “fornire alcun tipo di calendario su quando il denaro inizierà effettivamente ad affluire in Ucraina”.

Da mesi, le maggiori preoccupazioni riguardano Stati già indebitati come Italia, Giappone, Francia e Regno Unito che potrebbero dover essere costretti ad accantonare nuove risorse in previsione di eventuali perdite future sui prestiti concessi a Kiev, il cui rating – in quanto Paese in guerra (e la sta pure perdendo al momento) prefigura un’alta probabilità di default. Così la garanzia dei beni congelati alla Russia potrebbe non bastare a rimborsare il prestito. Chi pagherà allora?

Un funzionario francese ha ammesso ad Associated Press che se i fondi congelati alla Russia non generassero sufficienti utili per ripagare il prestito o se Mosca riuscisse a riprendere il controllo di quei beni, in caso di default di Kiev “allora si porrebbe la questione della condivisione degli oneri” del debito. Tradotto: l’Europa e l’Italia rischiano di restare con il cerino in mano.

Gli unici a guadagnarci a questo punto potrebbero essere i mercanti di armi. Kiev potrà infatti giustamente spendere questi soldi come vorrà e in tempi difficili al fronte è chiaro che privilegerà la componente militare. D’altronde è stato lo stesso consigliere per la sicurezza nazionale della Casa bianca, Jake Sullivan, a spiegare che l’obiettivo del prestito è “fornire le risorse necessarie all’Ucraina per le sue esigenze economiche, energetiche e di altro tipo, in modo da avere la resilienza necessaria per resistere alla continua aggressione della Russia”.

La questione è senza dubbio politica più che economica e in questi casi, come fu per la pandemia di Covid-19, l’Europa ha saputo adeguare le proprie regole, anche quelle più stringenti sul debito, ma in tempi di ritorno dell’austerity non è detto che questo accada. Anche se non sembra ci siano più limiti quando si parla di spese per la difesa. Di Kiev o o la nostra.

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