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Elezioni legislative 2024: la Francia è appesa allo spauracchio Le Pen

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Credit: AP Photo

L'unione delle Sinistre, il monito di Macron contro gli opposti estremismi, l'appello delle stelle della Nazionale, la spaccatura dei Repubblicani e poi la guerra in Ucraina e le alleanze internazionali. Ecco le conseguenze e le prospettive della valanga dell'estrema destra

Marine Le Pen è sicura di vincere ma mette comunque le mani avanti. A pochi giorni dal primo turno delle elezioni legislative convocate in Francia dal presidente Emmanuel Macron dopo la debacle del suo partito Renaissance alle ultime Europee, dove la compagine fedele all’Eliseo è stata doppiata dall’estrema destra, la leader del Rassemblement National (Rn) parla già da kingmaker, ipotizza un governo composto da personalità esterne al suo movimento e assicura che il suo delfino Jordan Bardella rinuncerà alla carica di primo ministro se il Rn non otterrà la maggioranza assoluta in Parlamento.

La sua analisi, affidata a Le Monde, è chiara: «I Repubblicani (il centrodestra, ndr) stanno implodendo. Reconquête! (I concorrenti dell’estrema destra di Eric Zemmour, ndr) sta implodendo. L’esecutivo (nominato da Macron, ndr) sta implodendo. Una ricomposizione generale sta avendo luogo sullo sfondo della decomposizione della Francia». Un processo che, secondo Le Pen, è destinato a continuare oltre i due turni di voto del 30 giugno e 7 luglio, finché il suo partito non arriverà al governo e lei non raggiungerà l’Eliseo nel 2027. Uno scenario inconcepibile fino a qualche anno fa ma che ora invece si ha l’impressione possa realmente accadere. O forse è già avvenuto.

L’impensabile
La rappresentazione plastica dello sconvolgimento scatenato dalla vittoria dell’estrema destra alle Europee – arrivata a superare il 31,3% rispetto al 14,6% della coalizione macronista, classificatasi seconda per un soffio rispetto ai socialisti “glucksmannianizzati” (13,8%) – è quanto accaduto con la Nazionale di calcio impegnata in Germania a Euro2024. Prima gli appelli delle stelle Marcus Thuram e Kylian Mbappé a «battersi affinché il Rassemblement National non passi», poi il richiamo della Federcalcio transalpina che ha chiesto il rispetto della «neutralità» dei Blues e infine il contro-appello del centrocampista della Juventus, Adrien Rabiot, a lasciare la politica fuori dal campo. Nessuno ricorda in tempi recenti un così esplicito dissenso interno alla Nazionale, sintomatico di quanto sta accadendo nel resto del Paese. Soprattutto in politica.

L’affermazione di Le Pen ha portato in primis alla creazione del Nouveau Front Populaire, l’unione delle tante e diverse sinistre francesi che, con l’appoggio dei maggiori sindacati, raccoglie principalmente il Partito socialista di Olivier Faure (che ha riesumato per l’occasione l’ex presidente François Hollande), la Place Publique di Raphaël Glucksmann, La France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon, le formazioni ecologiste di Marine Tondelier e Benoît Hamon e il Partito Comunista Francese di Fabien Roussel, tutti movimenti sempre in competizione tra loro in questi anni e che prima d’ora non erano mai riusciti a fare fronte comune.

Ma anche dall’altra parte il caos non è da meno. La guerra intestina tra i Repubblicani, arrivati quinti alle Europee con il 7,2% dietro al partito di Mélenchon (9,89%), è cominciata quando il loro segretario Éric Ciotti, poi sconfessato, ha ventilato l’ipotesi di un’alleanza con l’estrema destra, rompendo il tradizionale cordone sanitario contro i Le Pen in nome dello spauracchio delle sinistre unite. Un accordo poi formalizzato comunque dal solo Ciotti con Bardella, che ha portato il Rn ad appoggiare quattro candidati (da poco entrati nei) Repubblicani nel dipartimento Hauts-de-Seine, a ovest di Parigi. In crisi però sembra anche l’altro movimento di estrema destra guidato da Zemmour, Reconquête!, che ha di recente espulso la nipote di Marine, Marion Maréchal, tornata ad appoggiare la zia.

In questo scenario, le poche speranze delle formazioni di centro che si rifanno al presidente Macron sono affidate ai moniti contro gli opposti estremismi, che però urne e sondaggi non sembrano premiare finora. Ma all’Eliseo potrebbero essere meno preoccupati di quanto si creda.

La “trappola” del presidente
Un’indiscrezione circolata sui giornali, poi negata dalla presidenza francese, rivelava un Macron pronto «da settimane» a sciogliere l’Assemblea Nazionale per «intrappolare i partiti». Smentita o meno, in molti in Francia e all’estero vagheggiano di un presunto piano dell’Eliseo per «cuocere a fuoco lento» il Rassemblement National. Tutto si basa sulle prerogative costituzionali della presidenza della Repubblica. Anche in caso di una larga vittoria dell’estrema destra, Macron dovrebbe sì affidare ai seguaci di Le Pen l’incarico di formare un governo ma la coabitazione lascerebbe comunque all’Eliseo il controllo sui principali dossier: politica estera, difesa e armi nucleari e presenza ai vertici internazionali.

All’esecutivo toccherebbero invece tutte le peggiori gatte da pelare interne, in primis la tenuta dei conti pubblici. Parigi, insieme a Italia, Belgio, Ungheria, Malta, Polonia e Slovacchia, rischia una procedura di infrazione da parte dell’Ue per deficit eccessivo e, con un debito pubblico in crescita e un rating internazionale in discesa, per un governo Bardella o chi per lui potrebbe essere difficile rispettare le costose promesse elettorali del Rn. Tanto che Le Pen ha già frenato sulla cancellazione della contestatissima riforma delle pensioni voluta da Macron, che alza l’età pensionabile a 64 anni. Eppure il presunto “trappolone” presenta diverse falle.

L’idea che un Matignon targato Rassemblement National porti alla luce l’incapacità di governare dell’estrema destra e alla lunga danneggi il consenso di Le Pen, riportando in auge il centro fondato da Macron è contraddittoria. Intanto, come già successo per la destra italiana da Gianfranco Fini a Giorgia Meloni, l’esperienza di governo potrebbe “normalizzare” Le Pen, in caso contrario invece una coabitazione caotica potrebbe danneggiare anche le stesse formazioni che si rifanno all’Eliseo e bloccarne l’agenda. È infatti vero che Macron conserverà le sue prerogative ma, ad esempio, in materia di politica estera dovrà fare i conti con il Parlamento se vorrà inviare altri aiuti o addirittura truppe in Ucraina o appoggiare l’ingresso di Kiev nella Nato e nell’Ue. Ma questo è solo uno dei tanti temi che preoccupano, non solo Parigi ma anche Bruxelles e persino Roma.

Speranze e paure romane
La prospettiva di una vittoria lepenista alle prossime elezioni, per quanto appoggiata da un partner di minoranza del nostro governo come la Lega dello storico alleato di Marine Matteo Salvini, non scalda i cuori a Palazzo Chigi né ovviamente nell’Ue. Malgrado le recenti ricomposizioni, il Trattato del Quirinale firmato da Mario Draghi e Sergio Mattarella e le rassicurazioni sulla postura internazionale del Rassemblement National da parte di Bardella, la nascita di un governo nazionalista a Parigi rappresenta una sfida per le ambizioni di Roma.

In ogni sede internazionale ed europea, i piani di Meloni sul tema più importante per la maggioranza – quello della gestione dei flussi migratori – verrebbero ostacolati dalle politiche di Le Pen, che non ha alcuna intenzione di condividere l’onere dell’accoglienza, senza contare la competizione sui dossier africani (dove la Francia si ritira, vedi il Niger, l’Italia mantiene le sue truppe). Idem sugli affari economici bilaterali, che coinvolgono importanti aziende come Fincantieri, Stellantis e il gruppo Bolloré.

Ma i timori potrebbero essere bilanciati, almeno nel breve periodo, da un’opportunità. Secondo un’analisi di Bloomberg infatti, la vittoria dell’estrema destra, dell’estrema sinistra o persino un Parlamento senza maggioranza potrebbero mettere nel mirino della speculazione internazionale Parigi, favorendo i titoli pubblici italiani. Bonne chance!

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