Francia, l’estrema destra imbraccia le mazze contro la rivolta delle banlieue
I movimenti nazionalisti più radicali hanno risposto alla rivolta delle banlieue organizzando ronde per pestare i manifestanti. Si attivano anche i camerati italiani
«Fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene», raccontava Hubert, uno dei tre protagonisti del film capolavoro di Mathieu Kassovitz “La Haine” (“L’odio”, 1995), il più famoso affresco delle periferie parigine: «La conosci la storia di un tizio che cada da un palazzo di cinquanta piani? E ad ogni piano per farsi coraggio si ripete “fino a qui tutto bene”. Sembriamo noi nello sprofondo dove siamo, fino a qui tutto bene. Ma il problema non è la caduta, è l’atterraggio».
La fine è segnata, non ti rimane che attendere. È il senso di disperazione che ammutolisce, che non vuoi, anzi, non puoi, guardare in faccia. Una condizione di vita che diventa rabbia, odio.
In fondo è quasi inutile chiedersi quale sia l’origine della violenza che ha invaso Parigi e la Francia, una vera e propria onda in grado di ripresentarsi con cicli quasi matematici. Il film di Kassovitz di quasi trent’anni fa, in fondo, aveva raccontato tutto. Se la Parigi “ville lumiere” dei venti arrondissement supera di poco i 10 milioni di abitanti, la cintura delle periferie, la banlieue, arriva a dieci.
Nate nel dopoguerra come baraccopoli che ospitavano gli abitanti delle ex colonie francesi arrivati come mano d’opera per la ricostruzione post-guerra della capitale, le aree periferiche di Parigi sono lo specchio di quella caduta libera di un sistema sociale che ormai da anni mostra un mix tra crudeltà e cinismo.
«Non basta demolire edifici, recintare spazi, ridipingere facciate, per migliorare la vita degli abitanti. Le loro prime richieste sono i servizi pubblici, la scuola, l’alloggio, l’accesso all’occupazione», spiega la sociologa e urbanista francese Marie-Hélène Bacqué, intervistata da Mediapart.
Prosegue la sua analisi: «La politica della città, cioè la politica riguardante i cosiddetti quartieri “svantaggiati”, ha perso per molti la sua sostanza sociale. È stata burocratizzata e i professionisti e le associazioni che vi contribuiscono sono oggi in gran parte esauriti dalle logiche della concorrenza e delle offerte, dai controlli pigri a cui sono sottoposti». Una situazione che si trascina dagli anni Novanta.
Nelle ultime rivolte francesi, però, è emerso un elemento nuovo, uno scenario che fino ad oggi non era apparso – almeno in maniera così evidente – nelle rivolte delle periferie. Nelle immagini video che sono circolate sui canali social – Telegram e TikTok, soprattutto – si vedono gruppi di giovani armati di mazze da baseball che aggrediscono i manifestanti. Non hanno nulla a che vedere con le periferie, con le rivolte. Sono esponenti della destra radicale, scesa in piazza per colpire i manifestanti, soprattutto se di origine straniera, anche se di seconda o terza generazione.
“Le racaille”
Occorre fare un salto indietro. Il 7 maggio 2002 il presidente francese Jacques Chirac nomina ministro dell’Interno Nicholas Sarkozy, il rampante politico della destra francese che all’epoca stava iniziando a scalare la macchina pubblica d’Oltralpe, prima di finire malissimo, impigliato in un’inchiesta giudiziaria che lo ha portato recentemente a una condanna definitiva per finanziamento illecito e altri reati contro la Pubblica amministrazione.
Tre anni dopo la sua nomina, nel novembre 2005, a Clichy-sous-Bois, nelle periferia di Parigi, scoppiano durissime rivolte, come reazione alla morte di due ragazzi rimasti fulminati in una cabina elettrica dove si erano rifugiati per sfuggire a una pattuglia della polizia.
Qualche mese prima degli scontri Nicholas Sarkozy aveva alzato decisamente il livello della tensione. Dopo la morte di un bambino per un proiettile vagante durante uno scontro tra bande rivali nella zona di La Courneuve, l’allora ministro dell’iInterno assicurò che avrebbe «pulito la città con in modalità Kärcher», ovvero il sistema di pompe con acqua ad alta pressione utilizzato dai netturbini per spazzare le strade. Poco dopo definì i giovani della periferia «racaille», la feccia. Una parola che, da lì a poco, divenne un vero e proprio slogan.
La destra del partito Les Républicaines, lo stesso di Sarkozy, ha ripreso nei giorni scorsi, dopo i nuovi scontri, la linea tracciata nel 2002 di “legge e ordine”, proponendo l’aumento dei posti di detenzione, la punibilità penale piena a partire dai 16 anni, la responsabilità penale dei genitori, e la decadenza della nazionalità francese per i condannati con doppio passaporto.
«La Repubblica deve passare all’azione di fronte alla disgregazione dell’autorità», ha commentato il presidente del partito Eric Ciotti.
Il tema delicato che la destra vuole cavalcare è quello etnico. A chi evidenziava come gran parte dei manifestanti fossero francesi, i politici di Les Républicaines hanno risposto sprezzanti: «Certo, sono francesi ma non sono francesi per la loro identità. E, purtroppo, per la seconda, la terza generazione, c’è come una sorta di regressione verso le origini etniche».
Onda nera
La parola, spregiativa, «racaille», da almeno vent’anni è divenuta un vero e proprio slogan della destra più radicale in Francia.
Generation Identitaire, movimento sciolto per razzismo nel 2021, la pronunciava in ogni occasione, la metteva sui manifesti, negli striscioni durante i cortei, per definire non solo i migranti, ma quella parte, considerevole, della società francese con origini non europee. Un razzismo su base etnica e culturale che da tempo si sta diffondendo in tutta Europa.
La sezione italiana di Generazione Identitaria, molto vicina agli ambienti leghisti, già dal 2017 aveva iniziato a tradurre in italiano quell’insulto pronunciato da Sarkozy e ripreso dal mondo della destra radicale. Chi non era di origine europea ed era approdato nel nostro Paese, a prescindere dai motivi, diventava semplicemente «feccia».
Quanto sia esplosiva la situazione in Francia lo dimostra una raccolta fondi, avviata dall’ex portavoce della campagna di Eric Zemmour, Jean Messiha, a favore della famiglia del poliziotto accusato dell’omicidio di Nahel M., 17 anni, la cui morte è stata la scintilla che ha innescato i giorni di rivolta.
In appena quattro giorni su GoFundMe sono arrivate più di cinquantamila donazioni, per un milione di euro complessivamente. Per avere un termine di paragone, un’analoga raccolta fatta per aiutare la famiglia del giovane Nahel aveva nello stesso periodo raggiunto un quarto di quella cifra.
La destra francese non si è però limitata a raccogliere fondi per il poliziotto accusato di omicidio. Alcuni gruppi derivati dal Gud (Groupe Union Défense, organizzazione di estrema destra nata negli anni Sessanta e poi sciolta), attivi soprattutto ad Angers, sono passati alle vie di fatto, organizzando delle ronde contro i manifestanti. Il loro punto di ritrovo è stato chiuso nei giorni scorsi e un’inchiesta è stata aperta dalla Procura locale. Ma di certo il segnale è pessimo.
Solidarietà dai “cugini”
L’organizzazione giovanile di Casapound, il Blocco Studentesco, non ha perso tempo. Sui canali social ha pubblicato le parole di solidarietà con i mazzieri dell’estrema destra francese: «Solidarietà alla meglio gioventù di Angers che combatte contro l’antifascismo e i “nuovi europei”. Nessuna repressione fermerà il fuoco della lotta».
Poche ore dopo il canale Telegram dell’organizzazione ha postato un video girato a Roma, mentre i militanti stendevano uno striscione vicino a via Cavour. Nello stesso tempo hanno rilanciato una raccolta fondi organizzata dal Rassemblement Des Étudiants De Droite di Angers (gruppo derivato dal Gud) «per le spese legali dei camerati francesi».
Fino ad oggi sono stati raccolti 13.857 euro, attraverso 558 donazioni. Tra questi ci sono moltissimi esponenti di Casapound, come il militante storico Alberto Palladino, detto “Zippo”.
La destra radicale italiana ha sempre voluto mostrare i muscoli quando si tratta di periferie. Il 4 luglio, mentre in Francia esplodevano le proteste, il gruppo romano Azione Frontale pubblicizzava una «passeggiata per la sicurezza» a Torre Angela. «Difendi Roma, scendi in strada con noi», era lo slogan sul manifesto. E nel post su Telegram dell’account legato al mondo di Casapound che rilanciava l’iniziativa, il legame con le ronde francesi era apertamente dichiarato: «Noi l’ultimo baluardo per una società in caduta libera.
Da sempre al fianco dei cittadini per bene, contro tutto e tutti! Onore ai camerati francesi che stanno lottando contro un’orda barbarica che sta mettendo a ferro e fuoco il loro Paese». Qualcuno da sempre soffia sul fuoco e, come ripeteva l’uomo che cadeva dal palazzo di cinquanta piani, «fino a qui tutto bene».