Fame e siccità, oltre 31 milioni di persone a rischio malnutrizione in Corno d’Africa. L’appello dell’Unhcr su TPI: “Aiutateci a salvare migliaia di bambini: 200mila solo in Etiopia”
"Ormai è da più di un anno che le porzioni di cibo disponibile riescono a coprire a stento il 60 per cento dei bisogni nutrizionali delle persone", spiega da Addis Abeba Lucrezia Vittori di Unhcr. "Di fatto siamo in continuo deficit di finanziamento e questo sta esponendo a malattie mortali più di 200mila bambini e 40mila madri"
Fame e siccità: oltre 31 milioni di persone a rischio malnutrizione in Corno d’Africa. Unhcr lancia la campagna “Torniamo a sentire”
Hadji Al Nour Sar ha 30 anni e sei figli, viene da El Geneina, nel Sudan sud-occidentale, da dove è dovuta fuggire in Ciad a causa della fame e delle violenze provocate dalla guerra civile in corso nel suo Paese dall’aprile dell’anno scorso. Oggi vive con altre migliaia di rifugiati nel campo profughi di Aboutengue, nel Ciad orientale: “Mi mancano casa nostra, il nostro cibo, i miei vestiti”, racconta dal campo dove è assistita dall’Unhcr cullando la figlia neonata.
Shamsa Amin Ali invece ha 38 anni e vive da rifugiata in Kenya. Viene dalla Somalia da dove è dovuta fuggire a causa della siccità. “Non avevo nulla da mangiare per i miei figli. Piangevano e piangevano. Ho pensato di togliermi la vita piuttosto che vederli morire di fame davanti a me”, ricorda dal campo di Dadaab, in Kenya, dove insieme a centinaia di migliaia di altri profughi è assistita dall’Unhcr. “Questa è la peggiore siccità che abbia mai visto. Abbiamo camminato per otto giorni per arrivare qui”.
Anche Guuray Abdi, 69 anni, vive a Dadaab. “La siccità è peggiore del conflitto in corso in Somalia, ha reso la vita ancora più difficile. Immagina di non essere in grado di sfamare i tuoi figli e di mandarli a dormire a stomaco vuoto”, racconta. “Ci sono stati combattimenti nel mio villaggio. Un mio parente e suo figlio sono stati entrambi uccisi e i suoi figli sono fuggiti in Etiopia. Ma quando la siccità ha reclamato l’ultimo dei nostri raccolti, non abbiamo avuto altra scelta che fuggire in Kenya”.
La regione del Corno d’Africa sta affrontando la più lunga e grave siccità degli ultimi 40 anni. Ma la situazione è esacerbata dalle crisi regionali in corso, con guerre e varie forme di instabilità politica che alimentano la fame. Così almeno 31,7 milioni di persone sono strette nella morsa dell’insicurezza alimentare acuta in tutta l’area. Un problema gravissimo e che colpisce in modo sproporzionato le comunità più vulnerabili, ovvero rifugiati e sfollati che vivono in Paesi fragili come il Kenya e dove sono in corso conflitti e violenze come Somalia, Sudan ed Etiopia. Soltanto in quest’ultimo Paese, 200mila bambini sono a rischio.
Per accendere i riflettori sul dramma in corso e per raccogliere i fondi necessari a salvare milioni di persone, l’Unhcr ha lanciato la campagna “Torniamo a sentire” con la quale chiede a tutti di donare per contribuire a garantire aiuti essenziali per la sopravvivenza, cibo, alloggi di emergenza, acqua potabile e cure mediche a milioni di rifugiati e sfollati nel Corno d’Africa. TPI ha raccolto la testimonianza di Lucrezia Vittori, associate communications officer presso Unhcr Ethiopia, di stanza ad Addis Abeba.
Qual è la situazione sul campo?
«L’Etiopia è il secondo Paese in Africa che ospita il maggior numero di persone rifugiate e fra i primi dieci al mondo per numero di rifugiati che accoglie. Nel 2024, per la prima volta nella storia, i rifugiati nel Paese hanno superato il milione di persone.
Solo nel 2023, più di 140mila persone sono state costrette alla fuga a causa di conflitti e di violenze in Sudan e Somalia e hanno varcato il confine etiope in cerca di rifugio. Una cifra che è tre volte tanto il numero di rifugiati che l’Etiopia ha accolto negli anni passati. La maggior parte delle persone rifugiate, circa l’80 per cento, è composta da donne e bambini che hanno intrapreso viaggi pericolosi per cercare salvezza. La maggior parte di loro vive in dei campi situati in zone molto remote, aggravando ulteriormente la loro vulnerabilità».
Che può dirci della crisi in Sudan dopo quasi 15 mesi di guerra civile?
«La crisi in Sudan è diventata una delle peggiori crisi umanitarie al mondo. Dall’inizio del conflitto, nell’aprile 2023, più di 9,2 milioni di persone sono state costrette a fuggire. I Paesi confinanti, fra cui l’Etiopia, li hanno generosamente accolti. Nonostante ciò, le risorse scarseggiano e non siamo in grado di rispondere da soli a queste emergenze. Con il conflitto in Sudan, le emergenze ricorrenti nella regione e l’aggravarsi della crisi climatica, i bisogni delle persone che sono state costrette a fuggire stanno aumentando».
Che effetti ha sul resto della regione?
«Ad oggi in Etiopia abbiamo circa 19,7 milioni di persone che soffrono di insicurezza alimentare. Le donne e i bambini sono i più colpiti dalla fame. Si stima che circa la metà dei bambini rifugiati sotto i cinque anni siano denutriti. Per sopravvivere, la maggior parte delle famiglie deve ridurre le porzioni di cibo a un pasto al giorno, o deve prendere del cibo in prestito, e più della meta dei genitori saltano i pasti per poter nutrire i propri figli. Le risorse sono limitate ma le esigenze in aumento, quest’anno il Wfp (il Programma alimentare mondiale) ha dovuto ridurre le porzioni per assicurare che tutte le persone rifugiate vengano assistite. Ormai è da più di un anno, da maggio 2023, che le porzioni di cibo disponibile riescono a coprire a stento il 60 per cento dei bisogni nutrizionali delle persone. Di fatto siamo in continuo deficit di finanziamento e questo sta esponendo a malattie mortali più di 200mila bambini e 40mila madri. La continua insicurezza alimentare nel Paese sta già portando a conseguenze dannose, inclusa la malnutrizione acuta».
L’Etiopia e l’intero Corno d’Africa sono tra le principali località di partenza per i migranti climatici diretti (anche) in Europa. Che conseguenze ha l’attuale crisi sulle partenze?
«Shock climatici mortali come la siccità e le inondazioni hanno portato milioni di persone alla sofferenza e alla disperazione. Una grave siccità sta, ancora una volta, perseguitando l’Etiopia, con quasi 4 milioni di persone che necessitano urgentemente di una risposta multisettoriale nelle regioni del Tigray, Afar, Amhara e in alcune parti dell’Oromia, nelle regioni meridionali e sud-occidentali. In queste aree, la siccità ha bruciato fattorie, prosciugato fiumi e fonti d’acqua e seccato pascoli, mettendo in pericolo milioni di vite e bestiame. Teniamo conto che oltre un milione di persone, nelle regioni meridionali, è ancora alle prese con gli effetti persistenti della grave e prolungata siccità del periodo 2021-2023; dopodiché, le famiglie in queste zone hanno dovuto fare i conti anche con gli effetti devastanti delle inondazioni del novembre 2023, quando inondazioni e smottamenti dovuti a forti piogge hanno colpito circa 1,5 milioni di abitanti tra Somalia, Oromia, Afar, Etiopia meridionale e Gambella. Secondo l’Unocha circa 632.700 sfollati hanno perso i propri mezzi di sussistenza a causa della siccità».
Cosa può fare Unhcr?
«Questo alternarsi di fenomeni estremi, dalla siccità alle inondazioni, che è effetto della crisi climatica, senza dubbio ha ulteriormente esacerbato l’attuale crisi di sfollamenti forzati all’interno e all’esterno dei confini dell’Etiopia, dove peraltro i casi di sfollamento continuano ad aumentare alla luce delle crisi in corso.
Le inondazioni hanno esacerbato i rischi sanitari, tra cui il colera e la malaria, che hanno aumentato i tassi di morbilità e mortalità nella popolazione la cui immunità è indebolita dalla prolungata insicurezza alimentare e dalla malnutrizione a causa della prolungata siccità. Ma purtroppo la capacità di risposta complessiva dell’Unhcr rimane limitata rispetto ai bisogni effettivi e in aumento, a causa della mancanza di finanziamenti».
Qual è l’effetto su un Paese come l’Etiopia?
«Secondo l’Humanitarian Response Plan 2024, ci sono 4,4 milioni di sfollati interni in Etiopia e 15,8 milioni di persone necessitano di assistenza umanitaria urgente. Le due regioni più grandi del Paese – Amhara e Oromia – sono state gravemente colpite da conflitti interni negli ultimi mesi. Le tensioni politiche sono culminate in scontri armati. La precaria situazione della sicurezza in queste regioni continua a ostacolare l’accesso umanitario alle popolazioni colpite.
Alla fine del 2023, i programmi dell’Unhcr in Etiopia erano finanziati per meno della meta (36 per cento dei 431 milioni di dollari necessari). Nel 2024, il fabbisogno complessivo per la risposta dell’Unhcr in Etiopia ammonta a circa 426 milioni di dollari. Ma fino ad oggi, l’Unhcr in Etiopia ha ricevuto solo il 14 per cento dei finanziamenti richiesti. Come è facile immaginare, questi deficit di finanziamento stanno creando gravi ripercussioni nelle vite delle persone rifugiate, impattando negativamente su interventi fondamentali quali ad esempio l’accesso all’istruzione, la salute, la fornitura di alloggi di emergenza, di acqua e di igiene. Il Governo Etiope continua ad accogliere generosamente le persone rifugiate, ma Unhcr e i suoi partner hanno bisogno urgente di finanziamenti per continuare ad assistere e a fornire servizi a questa moltitudine di persone che sono, loro malgrado, costrette a fuggire».